Carne rossa – Mangiare poco e cosa mangiare è uno degli argomenti che da sempre appassiona gli italiani. La curiosità è che più si va avanti con l’età e più si diventa salutisti.
Uno degli argomenti che da sempre divide medici e ricercatori è quello inerente la carne e specialmente la famosa ‘carne rossa’. Da sempre c’è chi non può fare a meno di una super bistecca “fiorentina” e chi si tiene il più possibile lontano da questo tipo di alimento per paura di ammalarsi.
Ma la verità da che parte sta? L’unica certezza è che la carne fa male quando è bruciata ma sul resto vi sono continue evoluzioni che sembrano pilotate a vantaggio o svantaggio a secondo degli interessi di alcuni o di altri.
In queste ore arriva l’ennesima notizia che è bene portare a conoscenza ma che va valutata ed interpretata con attenzione.
Il New York Times smonta lo studio che sembrava attenuare, se non negare, il legame tra consumo di carne rossa e malattie. È infatti ancora una volta il giornale statunitense a denunciare i pesanti conflitti di interesse che gettano più di un’ombra su una ricerca che, nei giorni scorsi, ha avuto una vasta eco sui media di tutto il mondo, ma ha suscitato dubbi altrettanto pesanti.
Secondo quanto riportato in un dettagliato articolo, l’epidemiologo canadese Bradley C. Johnston della Dalhousie University, autore principale dello studio pubblicato sulla finora prestigiosa rivista specializzata Annals of Internal Medicine (che potrebbe, a causa delle polemiche, perdere parte della sua credibilità, come vedremo in un attimo), ha scritto di non avere conflitti di interesse, ma in realtà avrebbe ricevuto finanziamenti dal discusso International Life Science Institute o Ilsi fino al 2016, e questo sarebbe più che sufficiente a giudicare quell’affermazione non del tutto vera.
Anche perché nel 2016 lo stesso ricercatore, sempre sulla stessa rivista, aveva pubblicato un altro studio molto discusso, questa volta esplicitamente pagato dall’Ilsi, le cui conclusioni assolvevano lo zucchero dai suoi legami con l’obesità e le altre malattie metaboliche, e che in seguito è stato totalmente screditato.
L’Ilsi è stato fondato dalla Coca-Cola e da altri colossi dell’agroalimentare quarant’anni fa, e oggi ha tra i suoi partner McDonald’s, Cargill e Pepsi Cola; ufficialmente no profit, in realtà esercita pesanti azioni di lobbying in tutto il mondo proprio attraverso il finanziamento di persone e iniziative ritenute favorevoli agli interessi dei suoi membri, e in questo modo è già riuscito a influenzare a suo favore decisioni importanti di sanità pubblica: per questo, gli studi che esso finanzia sono considerati con crescente scetticismo.
Il New York Times ha scoperto i passati legami con l’industria dell’autore di uno studio che contrasta le raccomandazioni a limitare il consumo di carne rossa.
Nel caso specifico, esperti di conflitti di interesse del settore, come la stimata nutrizionista Marion Nestle della New York University, hanno sottolineato come, anche se il denaro dell’Ilsi non è stato impiegato direttamente nello studio sulla carne rossa, il fatto che Johnston ne abbia goduto pochi mesi prima, di per sé, pone più di un dubbio sull’imparzialità dell’autore.
Per quanto riguarda Johnston, la sua difesa sembra pretestuosa: al momento dello svolgimento dello studio il finanziamento Ilsi era terminato da tre anni, e la sua negazione esplicita apposta in calce all’articolo sarebbe dunque veritiera. Una spiegazione che non convince.
Così come non convince del tutto l’atteggiamento della rivista. Non solo ha ribadito che l’epidemiologo canadese ha risposto correttamente alla domanda di dichiarare eventuali sostegni economici, ma ha anche sostenuto che verificare i finanziamenti passati sarebbe impraticabile: tutti gli autori di studi, in qualche momento della loro carriera, hanno ricevuto finanziamenti privati. Il che è indubbio, soprattutto in realtà come quella degli Stati Uniti. Tuttavia, il punto è che non tutti i finanziamenti sono uguali: nel caso dello studio sullo zucchero, per esempio, l’Associated Press aveva rivelato le e-mail nelle quali Ilsi e Johnston concordavano il disegno dello studio, orientato in modo da giungere a conclusioni gradite all’organizzazione, e distorsioni simili si sono viste in molte altre situazioni analoghe.
Ma il conflitto di interessi non è l’unica pecca dello studio ‘pro’ carne rossa. Un’altra debolezza, da certi punti di vista anche più grave, è quella metodologica, come ha sottolineato l’esperto di salute pubblica Frank Hu, della T.H. Chan School of Public Health di Harvard. Johnston ha infatti utilizzato un sistema statistico chiamato GRADE, messo a punto per confrontare nuovi farmaci con terapie preesistenti in specifiche malattie nell’ambito di studi clinici controllati: si tratta di sperimentazioni nelle quali a un gruppo di pazienti viene data una certa terapia, e a uno di controllo quella preesistente, oppure nessuna terapia, e si va poi a vedere se la malattia è migliorata o passata. È evidente che si tratta di un sistema impossibile da applicare così com’è per valutare l’effetto di una certa dieta sulla salute di intere popolazioni. Se così fosse, ha commentato Hu, con GRADE si potrebbe negare più o meno qualunque legame come quello tra fumo e tumori o grassi saturi e malattie cardiovascolari.
Probabilmente lo studio di Johnston sarà ricordato solo per un motivo: è uno dei più chiari esempi di cattiva scienza e del tentativo di orientare l’opinione pubblica in un senso contrario alle prove, ma favorevole agli interessi commerciali di alcune parti. Resta, invece, in tutta la sua forza statistica, il legame tra consumo eccessivo e regolare di carne rossa e lavorate e aumento del rischio di sviluppare diverse patologie tra le quali, soprattutto, il cancro del colon, confermato in decine e decine di studi accettati da tutta la comunità scientifica internazionale.
Della carne rossa si è interessata anche l’AIRC giungendo alle seguenti deduzioni.
La carne – inclusa quella rossa e quella lavorata – rappresenta senza dubbio una importante fonte di proteine ed è importante ricordare che le proteine animali sono costituite dalle stesse molecole di quelle vegetali, gli amminoacidi.
La pericolosità delle carni rosse e lavorate per il rischio di cancro dipende sia dalle quantità sia dal modo con cui alcune componenti interagiscono con l’organismo. Per esempio, la lavorazione delle carni per la loro conservazione e le modalità di cottura modificano le molecole presenti o ne generano di nuove che possono aumentare il rischio di sviluppare un tumore.
I cibi di origine animale contengono, oltre alle proteine, anche molte altre sostanze tra cui i grassi saturi e il ferro nel gruppo eme. In dosi eccessive essi possono provocare un aumento di colesterolo, dei livelli di insulina nel sangue e l’infiammazione del tratto intestinale, aumentando il rischio di certe patologie, tra cui i tumori, in particolare quelli del colon-retto.
Un consumo modesto di carni rosse non aumenta in modo sostanziale il rischio di ammalarsi di cancro del colon-retto in individui a basso rischio. Le persone a elevato rischio individuale (per familiarità o presenza di altre patologie) dovrebbero discutere del loro piano alimentare insieme a un medico, per valutare quanto è opportuno ridurre l’apporto di carne rossa e carni lavorate, considerando che nella carne vi sono alcuni nutrienti (come la vitamina B12, il ferro e lo zinco) che sono comunque preziosi per il benessere dell’organismo.
Quali patologie sono associate a un eccessivo consumo di carne rossa?
Nessuna patologia è causata soltanto dal consumo di carne rossa. Tuttavia gli epidemiologi concordano sul fatto che gli individui che seguono diete ricche di proteine animali, soprattutto carni rosse e lavorate, hanno un maggior rischio di sviluppare patologie come diabete, infarto e problemi cardiovascolari, obesità e cancro. Riguardo ai tumori, il rischio aumenta soprattutto per quelli dell’apparato gastro-intestinale, come il cancro al colon-retto e allo stomaco, ma anche per alcuni tumori dipendenti dagli ormoni, come quello al seno, alla prostata e all’endometrio. Nel 2015 l’International Agency for Research on Cancer (IARC) di Lione, un’agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità che valuta e classifica le prove di cancerogenicità delle sostanze, ha definito la carne rossa come probabilmente cancerogena (classe 2A della classificazione dello IARC) e la carne rossa lavorata (insaccati e salumi) come sicuramente cancerogena (classe 1 della classificazione dello IARC). Tutti i dati che hanno portato a tale classificazione e le riflessioni sul tema sono contenuti e descritti in dettaglio in una monografia dedicata a “Carni rosse e lavorate”, pubblicata dagli esperti IARC nel 2018 e basata sulla revisione di oltre 800 studi sull’argomento.
I pericoli indotti dall’eccesso di carne rossa nella dieta sono direttamente proporzionali all’abuso del suo consumo.
Una frequenza di due o tre porzioni di carne la settimana non sembra contribuire alla patogenesi di alcuna malattia, fermo restando che l’intero regime dietetico sia equilibrato ed i metodi di cottura idonei.