Politica – Dl Aiuti, il governo ottiene la fiducia in Senato ma i 5 stelle non votano

522

Politica – Tira una brutta aria per il Governo Draghi e la figura di Amato traghettatore inizia ad incombere sul desiderio di voto e cambiamento della maggior parte degli italiani.

L’Aula del Senato ha confermato la fiducia al governo posta sul dl aiuti. I sì sono stati 172, i no 39, nessun astenuto ma la tensione resta.

LE DICHIARAZIONI DI VOTO

Matteo Renzi di Italia Viva ha rivolto un appello a Draghi affinché il governo vada avanti. Il Pd con Simona Malpezzi ha chiesto “responsabilità da parte di tutti”, mentre per Vasco Errani di Leu occorre “verificare se un ultimo colpo di reni sia possibile”.

Secondo Primo Di Nicola, capogruppo di Insieme per il futuro (il partito doi Luigi Di Maio), “chi segue gli interessi di partito gira le spalle al Paese”. La capogruppo del M5s al Senato Mariolina Castellone ha confermato il non voto sulla fiducia e sottolineato invece che “chi parla di responsabilità non votò il Pnrr con il Conte bis. Gli irresponsabili non siamo noi, irresponsabile è chi non dà risposte al Paese”.

Nel centrodestra: FdI con Luca Ciriani ha sollecitato il ritorno alle urne. Dal Carroccio Paolo Tosato ha assicurato: “La Lega è leale ma se mancano le condizioni si voti”. per Anna Maria Bernini di Forza Italia “è evidente che se qualcuno non voterà la fiducia, oggi nascerà una nuova maggioranza di governo”.

I PARTITI FANNO CAMPAGNA ELETTORALE

Dal Pd il segretario Enrico Letta fa sapere di non essere disposto a tirare avanti chicchessia. In Parlamento “diremo che siamo disponibili a una continuazione di questo governo Draghi, non siamo disponibili a tirare avanti chicchessia: se non ci saranno le condizioni, se altri partiti della maggioranza si sfileranno, allora la parola passerà agli italiani e noi saremo pronti ad andare di fronte agli italiani con il nostro progetto per il futuro dell’Italia. Una maggioranza senza il M5s “a me sembra un’ipotesi totalmente improbabile. Dopodiché il Parlamento è sovrano, quindi ascolteremo tutti”.  Sul Movimento ha aggiunto Letta: “Quello che è successo ieri a Roma e la decisione del M5s di non votare la fiducia al decreto Aiuti cambia lo scenario politico. Prendiamo atto di questa scelta, non è la nostra: è una scelta che ci divide.

L’ex M5s Luigi Di Maio attacca gli ex compagni di partito: “I dirigenti M5S stavano pianificando da mesi l’apertura di una crisi per mettere fine al governo Draghi. Sperano in 9 mesi di campagna elettorale per risalire nei sondaggi, ma così condannano solo il Paese al baratro economico e sociale. Non potevamo essere complici di questo piano cinico e opportunista, che trascina il paese al voto anticipato e al collasso economico e sociale”, ha affermato il ministro degli Esteri.

LA GIORNATA DEL MOVIMENTO

I 5 stelle non voteranno la fiducia al decreto aiuti che stamani va in Aula al Senato. L’annuncio del leader Giuseppe Conte, aprendo ieri sera l’assemblea congiunta dei parlamentari pentastellati al termine di una giornata convulsa e contraddittoria, mette i governo a un passo dalla crisi. L’orientamento era emerso nel corso del Consiglio nazionale dei pentastellati. Non sono bastate le promesse di un nuovo patto sociale e di nuove misure contro i bassi salari a convincere il M5s e alla vigilia del voto di fiducia in Senato il partito si divide su una decisione sofferta che potrebbe essere prodromica ad altri “strappi” dentro al Movimento, sancendo la rottura netta con il governo Draghi.

Senza un appoggio chiaro, avrebbe ribadito il premier Mario Draghi direttamente a Conte nel corso di una telefonata, l’esperienza del governo è da considerarsi finita. Il Pd e la Lega lo mettono a verbale, qualsiasi strappo segnerebbe la fine dell’esperienza a Palazzo Chigi. E si andrebbe – avvertono Salvini e Letta – dritti verso nuove elezioni. Con il partito di via Bellerio che rimarca: “senza il voto dei pentastellati la maggioranza non c’è più”. E Giorgia Meloni che aggiunge: “Basta, pietà. Tutti a casa: elezioni subito!” In Senato “non possiamo che agire con coerenza e linearità” rispetto a quanto fatto alla Camera sul dl aiuti, “i cittadini non comprenderebbero una soluzione diversa”, ha spiegato Conte, che nella telefonata con Draghi ha registrato “la sua disponibilità” ma senza accontentarsi di “impegni: occorrono concrete misure”. L’ex premier rivendica al M5s il ruolo di “unica forza politica che sta incalzando il governo sulle emergenze”, e anche l’importanza del Reddito di cittadinanza, avvertendo – anche alzando la voce – che “non permetteremo mai che venga smantellato”.

Conte si è trovato di fronte ad un bivio cruciale: chiedere di votare sì nell’Aula di Palazzo Madama ai suoi e rischiare di spaccare senza ritorno il Movimento, compromettendo la sua leadership; oppure assecondare chi da giorni è in pressing per consumare una rottura definitiva con Palazzo Chigi. Ha prevalso la seconda strada. Ma le pressioni su Giuseppe Conte non sono certo solo interne.

Il segretario del Pd indica una “svolta” nell’azione del governo che sarebbe irresponsabile non sostenere: “metterlo a rischio ora sarebbe paradossale”, dice anche lui ai suoi deputati e senatori convocati subito dopo pranzo in una riunione congiunta a Montecitorio. Da parte del Pd non ci sono ricatti né ripicche ma se il M5s fa cadere il governo si “va al voto”. E il sospetto dei Dem è che ormai questo sia anche l’obiettivo del centrodestra. Lo dice chiaramente Giuseppe Provenzano, il vice segretario: “stanno provando a cogliere l’attimo, ai 5S chiediamo di non fargli questo regalo”. Salvini professa lealtà ma assicura anche di non essere disponibile a fare la caccia ai “responsabili” in Parlamento. “Meglio – dice – far votare gli italiani che far passare loro 9 mesi sulle montagne russe. Se i 5 stelle faranno una scelta parola agli italiani”. Ma dentro la Lega affiorano posizioni più prudenti: il governatore del Veneto Zaia e quello della Lombardia Attilio Fontana – arrivati a Roma per incontrare proprio Draghi e parlare delle olimpiadi invernali Milano-Cortina – affermano chiaramente di puntare sulla continuità. “Se si può andare avanti anche senza M5s? Giro la domanda – risponde ai cronisti il primo – al presidente Mattarella che, come prevede la Costituzione, sentirà le forze politiche, vedrà i numeri e deciderà”. Ancora diversa, a dire il vero, la posizione di FI: prima Silvio Berlusconi e poi Antonio Tajani si dicono convinti che anche senza il M5S i numeri ci siano per continuare”. Ma quello che “non può’ esserci – aggiungono – è un altro presidente del Consiglio”.

Per il Popolo della Famiglia Mario Adinolfi commenta: “Mattarella non faccia il Savoia. Ci hanno venduto Draghi come un redivivo Giolitti, ora è politicamente fragile come un Luigi Facta. Se il Capo dello Stato non restituisce subito la parola agli italiani, produce un atto eversivo. La maggioranza non c’è più, se ne prenda atto”.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *