Il Papa e l’ambiente
Circola una leggenda secondo la quale con la “Laudato si’” il magistero della Chiesa avrebbe ceduto all’ideologia ambientalista. Un refrain tipico di certa destra politica, accreditato di recente anche da Lorenzo Bertocchi sulla “Verità”, il neonato quotidiano diretto da Maurizio Belpietro. Il nuovo giornale non sembra peraltro avere grande simpatia per papa Bergoglio, criticato pure per aver usato l’espressione “Inshallah” nella risposta alla domanda del patriarca caldeo Sako sulla possibilità di un suo viaggio in Iraq. “La Verità” ha biasimato l’espressione araba adoperata dal papa vedendovi, se non un accenno di dhimmitudine, di sicuro scarsa considerazione per le sofferenze dei cristiani perseguitati nei paesi islamici. Una polemica che appare pretestuosa se consideriamo che “Inshallah” non è affatto una pavida concessione all’islam bensì un termine che, sebbene di derivazione coranica, viene comunemente usato anche dai cristiani di lingua araba (non essendo altro che l’equivalente di “se Dio vuole” o “a Dio piacendo”; “Allah” in arabo significa semplicemente “Dio”).
Sembra di capire – ma speriamo di essere quanto prima smentiti – che anche “La Verità” si muova nell’orizzonte occidentalista dello scontro di civiltà, per il quale l’islam va identificato in blocco col wahhabismo – l’ideologia dell’islamismo radicale – e pertanto assegnato alla categoria di “nemico oggettivo” dell’Occidente, mentre la “linea Bergoglio”, considerata poco “occidentalista”, sarebbe meritevole di fraterne correzioni di rotta.
Ma come dicevamo, su questo contiamo di essere presto smentiti. Per tornare alla questione ecologica, la vulgata del “cedimento dottrinale” sembra confermata dal fatto che mai prima di Bergoglio un papa aveva consacrato un’enciclica – cioè un documento magisteriale che impegna la Chiesa sul piano dottrinale – all’ecologia. Come dare torto allora a chi dipinge Francesco come un «papa verde» impegnato a pilotare la barca di Pietro verso le secche dell’ecologismo?
E però, come direbbe l’immortale Quelo impersonato da Corrado Guzzanti, la risposta è sbagliata. Sì, perché il «magistero ecologico» della Chiesa di Roma non inizia affatto con Francesco, ma coi suoi predecessori Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Anche il Concilio Vaticano II si è occupato della questione. La realtà è ben differente: i papi possono essere considerati dei veri e propri precursori dell’ecologia sulla scena internazionale, tra i primi a mettere in guardia contro la «catastrofe ecologica», come fece Paolo VI in un discorso pronunciato nel 1970 davanti alla Fao (l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura).
Per divulgare il pensiero della Chiesa sull’ecologia il frate domenicano Thomas Michelet, docente presso l’Angelicum di Roma, ha pensato bene di radunare e commentare 50 testi fondamentali riguardanti le responsabilità dell’uomo nei confronti della natura. Il risultato del suo lavoro è stato da poco raccolto in un volume in lingua francese: “Les papes et l’écologie, de Vatican II à Laudato si’” (Artège, 2016). Oltre alla “Laudato si’”, l’antologia di fratel Thomas elenca documenti pontifici, estratti di encicliche, lettere apostoliche, omelie, discorsi e messaggi (alle Nazioni Unite, in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente o della Giornata mondiale della pace, ecc.) e, ancora, articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica e del Compendio della dottrina sociale della Chiesa. Il documento più vecchio appare la costituzione conciliare Gaudium et spes (8 dicembre 1965).
Si può senz’altro dire che l’enciclica “Laudato si’”, come spiega padre Michelet, consacra l’esistenza di un «magistero ecologico». Per quanto si tratti di magistero ordinario, non straordinario, che impegnerebbe l’infallibilità papale richiedendo l’obbedienza della fede, l’enciclica di papa Bergoglio propone nondimeno «una dottrina antica, ferma e costante» che ogni cattolico è tenuto a conoscere e a meditare. Certo, il domenicano si dice cosciente dell’esistenza, in seno al popolo di Dio, di «un filone clima-scettico, se non eco-allergico, per una sorta di reazione viscerale contro il pacifismo e il gauchismo generalmente veicolati dall’ecologismo».
Dal canto nostro osserviamo che non manca nemmeno, soprattutto nei circoli legati alla destra cattolica, una vera e propria opera di disinformazione sui temi ambientali (peraltro spesso condotta da scrittori senza alcuna preparazione scientifica, né generale né specifica sul complesso tema dei cambiamenti climatici) che cerca di ridurre l’emergenza ambientale al complotto delle lobby ambientaliste e neomalthusiane.
Non è un mistero per nessuno che quello inerente alle questioni climatiche e ambientali sia uno dei temi caldi della politica internazionale, come è noto che la “dottrina Bergoglio” ha scontentato diversi gruppi di potere, soprattutto statunitensi. Non serve che attingere alla documentatissima inchiesta di Nello Scavo (“I nemici di Francesco”, Piemme, 2015) per apprendere che i primi segnali in tal senso cominciarono ad arrivare già nella fase di preparazione della “Laudato si’”.
Il primo ad aprire le danze fu il battagliero think tank liberalconservatore di Chicago, lo Heartland Institute (già attivo supporter della campagna dell’industria del tabacco tesa a minimizzare i rischi per la salute derivanti dal fumo di sigarette). Mentre in Vaticano si apriva un convegno sul riscaldamento globale promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze, lo Heartland Institute spediva a Roma team di “esperti” dei mutamenti climatici a organizzare incontri e tavole rotonde per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di «informare papa Francesco sulla verità della scienza climatica». Verità che naturalmente sarebbe questa: «non c’è alcuna crisi di riscaldamento globale», come ha dichiarato Joseph Bast, presidente del think tank.
Quando la “Laudato si’” è stata pubblicata, Jim Lakely, altro elemento di spicco dell’Heartland Institute, ha liquidato l’enciclica spiegando che il papa «non è ben consigliato dall’ONU». In parallelo Lakely cercava di diffondere una interpretazione “spiritualizzante” del documento pontificio esortando i cattolici a prendere atto che «il Santo Padre è un’autorità spirituale, non scientifica». La lettera era stata stroncata, ancora prima di essere divulgata, anche da “Forbes”, la prestigiosa rivista newyorchese di economia. Particolarmente odiosa l’insinuazione dell’analista Steve Moore, per il quale il documento si era accodato all’«ordine del giorno dei fanatici». È per questo, sentenzia Moore, che «alla base di molte affermazioni del papa non c’è l’intenzione di risollevare il povero, semmai di condannarlo a più povertà e meno libertà».
Insomma, una campagna di delegittimazione in piena regola – alla quale, bisogna dirlo, si sono prestati anche dei cattolici – col chiaro intento di screditare il papa, apostrofato con toni tra il sarcastico, l’irridente e il didascalico.
Su questo punto il magistero del papa argentino è inviso all’establishment repubblicano (con Marco Rubio, Rick Santorum, John Boehner e Pau Ryan in testa), per non parlare dei falchi del Tea Party. Inevitabili i riflessi sulla stampa italiana di orientamento conservatore, come testimonia il mal di pancia che dal giorno dell’elezione di Francesco serpeggia su testate come Libero, Il Giornale e il Foglio (solo per citare le principali).
Non deve essere piaciuta molto – soprattutto a colossi delle biotecnologie come la controversa multinazionale Monsanto – nemmeno la sua posizione tutto sommato prudente sugli OGM. «È difficile – si legge nel terzo capitolo della “Laudato si’” – emettere un giudizio generale sullo sviluppo di organismi geneticamente modificati (OGM), vegetali o animali, per fini medici o in agricoltura, dal momento che possono essere molto diversi tra loro e richiedere distinte considerazioni. D’altra parte, i rischi non vanno sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione». L’enciclica non ha certo uno sguardo romantico su un presunto quanto idilliaco “stato di natura” né concede alcunché a una idealizzazione bucolica della natura stessa. Sa bene che in realtà, «le mutazioni genetiche sono state e sono prodotte molte volte dalla natura stessa. Nemmeno quelle provocate dall’essere umano sono un fenomeno moderno».
Appare chiaro che per Bergoglio, sebbene la pratica degli OGM non sia affatto da demonizzare indiscriminatamente (l’enciclica riconosce che «in alcune regioni il loro utilizzo ha prodotto una crescita economica che ha contribuito a risolvere alcuni problemi»), non abbiamo ancora sufficienti certezze sulle ricadute della manipolazione genetica («non disponiamo di prove definitive circa il danno che potrebbero causare i cereali transgenici agli esseri umani», «si riscontrano significative difficoltà che non devono essere minimizzate»).
La “Laudato si’” auspica perciò una «attenzione costante, che porti a considerare tutti gli aspetti etici implicati», ben consapevole che a volte l’informazione sul tema degli OGM è presentata in maniera selettiva, secondo interessi di parte (politici, economici o ideologici). Ciò rende comprensibilmente difficile l’elaborazione di un giudizio equilibrato e prudente. «D’altro canto – prosegue il papa, distanziandosi nettamente dall’ecologismo di marca panteista – è preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi principi alla vita umana. Spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi. Si dimentica che il valore inalienabile di un essere umano va molto oltre il grado del suo sviluppo. Ugualmente, quando la tecnica non riconosce i grandi principi etici, finisce per considerare legittima qualsiasi pratica». Il capitolo conclude con un monito: «la tecnica separata dall’etica difficilmente sarà capace di autolimitare il proprio potere».
Un giudizio prudente, come si può vedere, tutt’altro che semplicistico o avventato, molto attento a non farsi “arruolare” a destra o a sinistra. Bisogna sapere che la Monsanto, che ha fatto investimenti multimilionari nel settore delle biotecnologie (con buoni risultati: negli Usa più del 90% del mais e della soia è OGM), due anni prima aveva tentato di strappare un endorsement a papa Bergoglio. Un tentativo sfumato per poco. Scavo ci racconta infatti come il 7 novembre del 2013 papa Franceso avesse incrociato per pochi istanti in piazza San Pietro Ingo Potrykus, l’inventore del “Golden rice”, un riso geneticamente modificato sviluppato con l’aiuto di Monsanto. Il “Golden rice” aiuta l’organismo a sviluppare la vitamina A indispensabile a popolazioni che si alimentano quasi esclusivamente di riso. La multinazionale ha dato il via libero all’uso gratuito della sua tecnologia. Un’azione meritoria, sebbene non siano mancate le critiche.
Ma proprio quel fugace incontro novembrino col padre del “riso dorato” avrebbe palesato ambiguità destinate ad essere rilevate dall’enciclica “verde” di Francesco. Accade che dopo l’incontro tra Potrykus e Francesco la Monsanto comincia a tempestare la redazioni dei giornali con la foto scattata a Roma e pubblica un comunicato stampa: «Papa Francesco benedice il Golden Rice». La Santa Sede si accorge del gioco della multinazionale, tanto che non è difficile capire a chi si riferisca questo passo (il n. 134) dell’enciclica: «In diversi Paesi si riscontra una tendenza allo sviluppo di oligopoli nella produzione di sementi e di altri prodotti necessari per la coltivazione, e la dipendenza si aggrava se si considera la produzione di semi sterili, che finirebbe per obbligare i contadini a comprarne dalle imprese produttrici».
Proprio per contrastare le reazioni superficiali e soprattutto strumentalizzazioni interessate appare urgente mostrare le radici profonde della vera ecologia teologica, fondata sull’edificio delle tre virtù teologali della fede, della speranza e della carità, distinguendola dalle altre ecologie (scientifiche, politiche e pratiche) che pure hanno il proprio oggetto formale e la propria legittimità.
«Non è un’enciclica verde, è un’enciclica sociale», ha sottolineato papa Francesco qualche giorno dopo la pubblicazione della “Laudato si’”. Anche padre Michelet insiste su questo punto: la questione ecologica costituisce un nuovo capitolo dell’insegnamento sociale della Chiesa, una «nuova fase» più che un nuovo capitolo: «È il diritto delle generazioni future, che rappresenta un nuovo tipo di giustizia sociale».
Nella prefazione siglata dal cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio «Justitia et Pax», si sottolinea il carattere organico dell’antologia curata da padre Michelet, che se «parla del posto dell’uomo nell’universo presentandolo come centro e vertice di tutto ciò che si trova sulla terra» al tempo stesso ricorda anche quale debba essere il suo compito: quello di un custode chiamato «a prendersi cura del giardino in cui è stato collocato, rispettando le leggi proprie della nature e il posto di tutte le creature».
L’«ecologia integrale» insegnata dalla Chiesa non fa dell’uomo un dominatore irresponsabile impegnato a sottomettere col ferro e col fuoco una natura ostile e nemica. Ma nemmeno invita a considerarlo una della tante specie del pianeta, una semplice appendice di Gaia.
Un compito tanto più urgente anche per un altro ordine di ragioni. Bisogna considerare, come mostra il demografo e attivista pro-life Steven W. Mosher nel suo “Controllo demografico” (Cantagalli, 2013), che il nascente movimento ambientalista è stato oggetto di una vera e propria “colonizzazione ideologica” da parte del potente movimento per il controllo delle nascite, sicché ecologismo e imperialismo contraccettivo si sono saldati fino ad apparire oggi come un corpo unico.
Mosher, che presiede un ente come il Population Research Institute, noto per il suo impegno contro il mito della bomba demografica, ricorda il ruolo decisivo svolto da Hugh Moore, grande (e facoltoso) paladino del controllo demografico assieme a John D. Rockefeller III. Illuminato da “The Road to Survival” (1948) di William Vogt, direttore di Planned Parenthood Federation of America, Moore si convince che la crescita delle pop0lazione avrebbe causato le guerre del future e la diffusione del comunismo. Diventa così un apostolo del controllo delle nascite, facendo della questione demografica l’unico scopo della propria vita. Così nel 1954 Moore fa leva sulle paure della guerra atomica al tempo della guerra fredda pubblicando un opuscolo, intitolato “The Population Bomb”, destinato a influenza profondamente un giovane entomologo di Stanford. Il suo nome è Paul R. Ehrlich. Divenuto seguace di Moore, l’allievo avrebbe trasfuso in un libro l’allarmismo del maestro. Lo zelo lo spinge a proporre un titolo che ricalca esattamente quello assegnato da Moore al suo opuscolo del 1954. È così, in quell’anno emblematico che è il 1968, che esce “The Population Bomb”, un saggio che avrebbe fatto scuola associando la “bomba demografica” a scenari apocalittici.
“The Population Bomb”, massicciamente pubblicizzato, vende oltre tre milioni di copie e diventa un classico del catastrofismo ambientalista. Ehrlich dal canto suo assurge al rango di star televisiva, le sue conferenze vengono pagate profumatamente. Con lui l’ambientalismo assume colorazioni distopiche, legandosi alle più fosche profezie di stampo malthusiano. La sua tesi consiste in questo: che il modo sconsiderato di riprodursi dell’uomo sta mettendo in pericolo la Madre Terra. Perciò Ehrlich non si stanca di raccomandare: «Unitevi al movimento ambientalista, smettete di fare figli e salvate il pianeta».
Moore nel frattempo opera per cercare di coinvolgere il movimento ambientalista, in piena ascesa, nelle politiche di controllo delle nascite. Lancia campagne pubblicitarie suggerendo che il controllo demografico è la migliore salvaguardia dell’ambiente. Nel primo Earth Day (1970) l’infaticabile Moore investe parecchio denaro facendo stampare trecentomila volantini da distribuire nei campus, invia vignette sulla crisi demografica alle riviste dei college, registrazioni degli show televisivi di Ehrlich, organizza concorsi per premiare il miglior slogan sui problemi ambientali (il primo premio andò allo slogan “la gente inquina”).
Il risultato di questa martellante campagna fu, scrive Mosher, che «l’anno successivo la maggior parte delle principali organizzazioni ambientaliste aveva aderito all’ordine del giorno antinatalista, nella convinzione che l’ambiente avrebbe guadagnato dalla riduzione del tasso di natalità».
Così cominciò a incubare in seno al movimento ambientalista una demografia totalitaria come quella propugnata da Richard Browes di Zero Population Growth (crescita zero), che nel 1969 proponeva di applicare «il diritto penale per limitare le nascite, se vogliamo che il pianeta sopravviva». Guadagnò spazio anche l’idea di una drastica riduzione dei numeri. È quanto auspicato dal gruppo Negative Population Growth, che desiderava ridurre da 200 a 90 milioni il numero degli abitanti degli Stati Uniti. Non colpisce che in simili circostanze abbiano preso piede pensieri nichilisti. Una deriva esemplificata da Dave Foreman, il fondatore di Earth First!: «Noi uomini siamo diventati una malattia, come il vaiolo».
Una copula necrofila, quella tra ecologia e ideologia dell’anti-vita, che la nozione di ecologia integrale intende spezzare e che si riassume nel contrasto a quella che Francesco designa come la «globalizzazione del paradigma tecnocratico». Il paradigma tecnocratico è un figlio legittimo dell’antropocentrismo moderno. Si tratta di una forma di adorazione del potere umano che si manifesta nell’esaltazione della tecnica ed è sempre a rischio di rovesciarsi, per il gioco della maligna solidarietà tra gli idoli, nel suo contrario: un «biocentrismo» altrettanto deviato.
Il filosofo Piero Vassallo ne “L’ideologia del regresso” (D’Auria, 1996) ricostruisce questo percorso avviato da Hegel, che aveva concepito l’Assoluto come estinzione dell’essere e di conseguenza il lavoro umano come malattia purificatoria. A parole sue, Marx ripete lo stesso concetto: il lavoro annienta le cose esistenti. Presupposto di questo pensiero è un profondo odio per la natura, che deve essere liberata dall’attività violenta e nientificatrice dell’homo faber. «La rivoluzione – commenta Vassallo – è la guerra dell’industria contro la natura». La natura amata da Marx è puro materiale, inerte, riserva disponibile. Si può dire che è natura morta. Sotto questo aspetto regressismo e progressismo, ci suggerisce Vassallo, sono due facce della stessa medaglia: «Da questo punto di vista il mito dell’industria (il combattimento dell’uomo contro la natura) è l’interfaccia del naturalismo arcadico (la natura contro l’industria, la civilizzazione e, infine, l’umanità)». In entrambi i casi il presupposto comune è la negazione dell’ordine naturale impresso da una mente creatrice. Così l’antropocentrismo moderno si trova a oscillare tra «violenza sulla natura e abbandono panico alla violenza della natura».
Non si tratta allora di prendere partito tra due idolatrie, di scegliere se divinizzare la natura (come vuole l’ideologia panteista propugnata dall’ecologismo di ispirazione neopagana) oppure l’uomo. Il papa viene a ricordarci che l’uomo non può dirsi né padrone né servo della natura. L’unico modo di intendere la sua signoria sull’universo è di restituirgli un posto da «amministratore responsabile» del creato. Ancora una volta la regola aurea della Chiesa di Roma si rivela quella dell’et-et: non contrapposizione (l’umano contro il naturale) ma alleanza (salvare assieme l’umano e il naturale).
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