Undine -Un amore per sempre film raccontato dal regista Christian Petzold

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Undine è una storica, specializzata nello sviluppo urbano di Berlino. Ma quando l’amato la lascia, l’antica leggenda è destinata ad avverarsi. Undine deve uccidere l’uomo che l’ha tradita e tornare alle acque. Questo e molto altro troviamo nel film Undine – Un amore per sempre di Christian Petzold, con Paula BeerFranz RogowskiMaryam ZareeJacob MatschenzGloria Endres de Oliveira Rafael Stachowiak.

“Voi umani! Voi mostri!” Ingeborg Bachmann inizia così la sua narrazione in “Undine Leaves”. Undine è la donna delle acque che viene tradita. Secondo il mito, dimora in un lago nella foresta. Un uomo, innamorato follemente di una donna, il cui amore è senza speranza e non corrisposto, che non sa cosa fare di sé stesso, dei suoi problemi, senza speranza… può entrare nella foresta, raggiungere la riva del lago e gridare il nome di Undine. E lei verrà. E lo amerà. Il loro amore è un patto. che non potrà mai essere tradito. E se venisse tradito, quell’uomo dovrà morire. Così, l’innamorato, adesso amato, sembra di nuovo libero e spensierato, amabile e desiderabile. Nel mito, la donna precedentemente adorata senza speranza, si riscopre improvvisamente interessata a lui. Così, lascia Undine per sposare lei, il suo primo amore. La notte del matrimonio, Undine entra nella camera da letto e racchiude l’uomo in una bolla d’acqua per affogarlo. “L’ho pianto fino alla morte!” balbetta ai servi che accorrono, prima di scomparire nel lago della foresta.
La nostra Undine è una storica di Berlino, che offre visite guidate per l’amministrazione del senato per lo sviluppo urbano. È stata appena lasciata e tradita da un uomo chiamato Johannes. Secondo la leggenda, si dovrebbe vendicare di Johannes uccidendolo, ma Undine sfida il mito. Non vuole tornare alla maledizione, al lago nella foresta. Non vuole andarsene. Lei vuole amare. Vuole incontrare qualcun altro. Ed è questa la storia d’amore che ci racconta Undine (Christian Petzold).
I tuoi film più recenti hanno tutti retroscena storici o politici. Con Undine hai scelto di partire da una favola.
Lo stesso regista aggiunge: ”  Non penso che sia così diametricalmente diverso. Undine è una storia d’amore, così come lo sono La scelta di Barbara (Barbara), Il segreto del suo volto (Phoenix) e La donna dello scrittore (Transit). Ma raccontano un amore impossibile, danneggiato, o uno che forse può evolversi. Questa volta ho voluto fare un film in cui si vede come l’amore si sviluppa e rimane. Inoltre non esiste una storia che non sia politica. La politica finisce sempre nella narrazione”.
Come sei collegato al materiale di Undine?
“Nel mezzo degli anni ‘90 mi sono ritrovato a leggere il libro di Peter von Matt, “Romantic Treachery – The Faithless in Literature”, che ha un capitolo sul mito di Undine e ho trovato interessante l’idea dell’amore tradito. Conoscevo già la storia di Undine dall’infanzia, ma ricordo sempre tutto male. Forse è necessario per riuscire a scrivere un copione: un ricordo sbagliato, come una falsa testimonianza… La cosa che mi ricordavo meglio era la frase che Undine gridava ai servi dell’uomo infedele che aveva appena ucciso: “L’ho pianto fino alla morte.” Mi è sempre piaciuta quella frase di Fouqué. Quel ricordo si è confuso con altre versioni, quella di Lortzing o “La sirenetta” di Hans-Christian Andersen, in cui lo stesso filo conduttore assume una forma diversa, e a un certo punto lessi anche
“Undine Leaves” di Ingeborg Bachmann. Mi piacque il fatto che fosse Undine a raccontare la storia, piuttosto che un narratore o un uomo. È una donna a parlare. Pensai che un film del genere si sarebbe potuto fare. Uno su Undine o sulla sua disperazione. Nella storia di Ingeborg Bachmann la maledizione è che gli uomini non possono essere fedeli, perché essenzialmente riescono ad amare solo sé stessi. La rottura di questa maledizione, da una prospettiva femminile, mi ha fatto capire che è questo l’approccio narrativo giusto; che la nostra Undine non vuole tornare al lago nella foresta. Che non vuole uccidere. C’è un uomo, Christoph, che è il primo ad amarla per quello che è, ed è un amore per cui vuole combattere.
Hai riletto tutte le innumerevoli versioni della storia di Undine?
No. Le fiabe, le storie raccontate da tua madre, quelle non c’è bisogno di rileggerle. Quella è una prospettiva che ti rimane impressa nella memoria e trovo che quando scrivo una storia i pezzi nitidi e quelli più sfocati siano estremamente importanti. La riduzione, l’alleggerimento, è tutto nella narrazione. Le fiabe scritte dai fratelli Grimm e simili venivano tramandate oralmente, raccontate ancora e ancora e, a un certo punto, cambiarono sempre di più. Ma alcune cose rimasero uguali. Per me, il cinema è più simile a questa tradizione orale che non alla ricerca nella biblioteca di stato.
La tua Undine è una storica di Berlino, una città che il tuo film mostra ripetutamente da una prospettiva insolita – un plastico.
Quando stavo ancora pensando a un film su Undine, Christoph Hochhäusler mi mostrò dei modelli fantastici di Berlino in mostra al Berlin City Museum. Berlino è costruita sulle paludi, ha sostanzialmente prosciugato un intero ecosistema per diventare una città. Non ha miti propri, è una città moderna, assemblata. Prima era una città commerciale, quindi i suoi miti sono sempre stati importati. Ho immaginato che prosciugando le paludi, tutti i miti e le storie portate dai mercanti viaggiatori tornassero a galla, come pozzanghere destinate ad asciugarsi lentamente. Allo stesso tempo, Berlino è una città che continua a cancellare sempre di più la propria storia. Il Muro, un elemento caratterizzante di Berlino, fu abbattuto in brevissimo tempo. Il nostro modo di affrontare il passato e la storia di Berlino è brutale. Anche l’Humboldt Forum è un saccheggio del passato, perché Platz der Republik fa parte della storia di Berlino. E ho pensato che questi passati distrutti, questi miti residui, fanno parte della nostra storia di Undine.
Nel tuo film Ghosts ti sei concentrato sull’aspetto fiabesco di Berlino – facendo sembrare il tiergarten dietro Potsdamer Platz un luogo incantato.
Il confronto con Ghosts è interessante, anche quel film si basa su una fiaba, “La camicina da morto” dei fratelli Grimm: Un bambino defunto esce dalla sua tomba ogni notte, andando dalla madre a dirle: “Devi smettere di piangere per me, altrimenti non posso morire”. Ma la fiaba non appare nel film. Potrebbe avere a che fare con il laghetto del Tiergarten, essendo stato progettato da Lenné, anche lui era un romantico come Fouqué. Ma alla
città è successo qualcosa tra il 2004, quando girammo Ghosts, e adesso. La storia sta cambiando, così come le leggende e i miti. Undine non è più l’Undine di Fouqué, è una donna moderna, anche se la maledizione del passato continua a rimanerle addosso. Lei quindi fa qualcosa che non fa parte del mito di Undine: se ne va. Non si piega al mito del passato, lo distrugge.
Una buona parte del tuo film è ambientata sott’acqua, con delle scene magiche. Berlin Babylon, il film di Hubertus Siegert sullo sviluppo urbano di Berlino dopo la caduta del Muro, mostra dei sommozzatori professionisti che lavorano nel bacino idrico sotto il cantiere di Potsdamer Platz. Una volta era la piazza più trafficata d’Europa, è virtualmente mitica, e sopra hanno intenzione di costruirci degli edifici orrendi. Ho adorato quelle scene, le mute da sub che ricordano Giulio Verne, gli operai che praticamente smantellano un mito con le fiamme ossidriche. Lavorano per distruggere un centro che è cresciuto organicamente, per costruirne uno nuovo, che non crescerà, che è disegnato. Si ha la sensazione che Potsdamer Platzsia progettata da fanatici delle ferrovie impazziti. E sotto, nell’acqua, si possono sentire i residui della vecchia magia. Ha una qualcosa di Giulio Verne, l’avventura, le persone che saldano sott’acqua in una città che in realtà è finita sotto questo posto.
Il tuo lago non è un lago incantato nel bosco, ma piuttosto un bacino artificiale tra il romanticismo e l’industrializzazione.
Il lago dove abbiamo girato è vicino Wuppertal, la regione in cui sono cresciuto. Il Wupper è un fiume che segna un confine, uno Stige dell’età industriale. È qui che è nata la Thyssen: una piccola fucina sul Wupper che è diventata una società mondiale copiando quello che all’epoca era il miglior acciaio al mondo, l’acciaio bluito svizzero, riuscendo ariprodurlo a molto meno. All’industria serviva molta energia, quindi tutti gli affluenti del Wupper sono stati arginati per produrre energia o acqua potabile. E poiché all’inizio dell’età industriale, ovvero quando furono costruite queste strutture, non era ancora stata sviluppata un’estetica propria, queste spesso assomigliano a vecchie chiese. Il bacino contiene sia l’acqua arginata, l’energia e una valle allagata dove un tempo sorgeva un villaggio. Sotto troviamo questa vita misteriosa, nascosta, le vecchie storie, mentre sopra abbiamo la modernità, l’acciaio, eppure è tutto nello stesso spazio. È così che volevo costruire la storia. Nello stesso spazio. Queste creature maledette, protagonisti di favole e
miti che fanno il loro comodo sotto, nel film compaiono come resti.
Consideri Undine una figura fiabesca?
Abbiamo già parlato di Ghosts. I film di Ghosts parlano di fantasmi che vogliono diventare umani. I terrotisti di The State I Am In vogliono diventare padri e madri, vogliono una vita. Forse è questo il fulcro di tutti i miei film… Si potrebbe dire che Undine è una figura fiabesca che vuole diventare umana. E la vediamo mentre fa avverare il suo sogno. È già umana, vuole rimanere umana. Quando va in immersione con Cristoph, svanisce improvvisamente, come se l’acqua la stesse attirando al suo elemento. Lei non ricorda nulla e dice: “No, non voglio tornare qui”. Ma il mondo maledetto/incantato, il mondo mitologico, non la vuole lasciar andare. Le rimane addosso, è brutale, la trascina… I miti e le favole, i miti maschili, lasciano poca libertà di fuga a Undine. Undine è una donna che deve sfuggire alla proiezione maschile.
È possibile sfuggire alla maledizione della proiezione?
Ho sempre trovato interessanti le persone nate un secolo prima del loro tempo, che rappresentano qualcosa che è ancora arrivato. Forse anche Undine è uno di questi personaggi, che critica la sua maledizione troppo presto e per questo deve combattere. Quando lascia Johannes, l’uomo che l’ha tradita, è libera. Torna a casa, si sdraia sul letto e ascolta “Stayin ‘Alive”, la canzone con cui è stata resuscitata dall’uomo che la ama. È allora che diventa libera. Ma è proprio in quel momento che la maledizione ritrova il suo effetto. È quando ti senti più libero che sei più vulnerabile. La maledizione del vecchio mondo richiede un prezzo impossibile per la sua libertà. Ma ne vale la pena, per quell’istante. Tiene stretto questo momento di libertà, affinché ciò che ha vissuto rimanga presente. Ecco perché l’ultima inquadratura del film è sua. Vediamo il mondo dal suo punto di vista. Era estremamente importante.
Come ti sei preparato per le scene subacquee?
Ho visto molti film per prepararmi. Il film subacqueo più suggestivo che conosco è 20,000 leghe sotto i mari di Richard Fleischer. C’è una scena in cui James Mason, il Capitano Nemo, e il suo equipaggio con le mute pesanti da sommozzatori seppelliscono un defunto sott’acqua, con una croce di conchiglie. Kirk Douglas e gli altri terresti vedono la scena e, in quel momento, il mondo subacqueo trasforma anche loro. Ho pensato che il nostro film sarebbe
dovuto essere così: dovremmo finire 20.000 leghe sotto il mare, sotto la Berlino moderna, il mondo di oggi, con i suoi modelli e le sue spiegazioni, i suoi sogni e la sua distruzione; che per un istante, le origini dei modelli, le origini di questa magia, diventano percettibili. Abbiamo costruito tutto questo mondo sottomarino prima ancora che aggiungessimo l’acqua. Ci sono archi, piante, enormi pareti scanalate della diga, la turbina… Per me era importante che questo mondo esistesse davvero, che dovessimo ricorrere all’animazione digitale solo per i dettagli. La magia è nel fisicamente tangibile, il modello costruito, come nei modelli di Berlino che compaiono nel film. Il momento in cui Franz Rogowski e Paula Beer si immergono doveva essere reale. Dovevano poter superare piante reali davanti a un muro della diga ed entrare in una caverna. Abbiamo dovuto aggiungere il pesce gatto con la CGI, non si può addestrare un pesce. Ma prima di cominciare questo lavoro, gli specialisti VFX hanno trascorso cinque giorni sul set sottomarino con noi. Così hanno potuto usare l’esperienza come riferimento per il processo di animazione computerizzata incredibilmente complesso. Doveva corrispondere con la magia del nostro mondo sottomarino reale.
Come hai creato la scomposizione del film?
In Undine ci sono due prospettive importanti: quella di Undine e quella del mondo. Il film è la storia di Undine e, quando lascia il mondo, diventa la storia del suo cercatore, di Christoph. Quindi se c’è il mondo e qualcuno che lo guarda e lo attraversa, hai praticamente solo quelle due prospettive: una è della persona che lo vede e l’altra è come vede quel mondo. Ci sono pochissime sequenze lunghe: il muro della diga, i modelli… Sapevo che il mondo era questo e che in questo mondo i due amanti fluttuano come pesci in un acquario.
La cosa più importante è considerare chi sta raccontando la storia. Di chi si sta parlando, chi sta guardando?
Questa è la domanda cruciale nel cinema. La telecamera sta guardando, sta interagendo? Dove mi trovo? Perché qui? Queste sono le domande che devi porti costantemente. È chiaro che puoi posizionarti in modo tale che le cose appaiano belle. Ma quella non è un’inquadratura. In una scena Undine e Christoph sono distesi su un pontile di legno e si baciano, sembra uscita da un quadro impressionista francese, uno di Manet. Ma non abbiamo scelto quell’inquadratura per la sua bellezza, ma perché l’abbiamo riusata più in là, quando Franz Rogowski entra in acqua alla fine, solo che a quel punto è solo ed è notte. Ed è contrastando il suo ricordo di quell’immagine romantica precedente che la perdita della donna che ama diventa chiara. La sua solitudine diventa evidente tramite il ricordo di quell’immagine. Noi, come narratori, guardiamo quell’immagine di Manet e la sua narrativa, ma lo facciamo perché il suo narratore appare due volte.
L’impressionismo francese è stato un punto di riferimento più importante del romanticismo tedesco?
In realtà non ci ho pensato molto. Ovviamente sono collegati. A pensarci bene, tutte le riprese riprese del lago sono essenzialmente immagini che, passando per l’impressionismo francese, riportano al romanticismo tedesco. Ma non è esattamente Caspar David Friedrich; non sono immagini del romanticismo tedesco, sono state già infrante dalla luce, dalla risoluzione. Mi è piaciuto. Probabilmente è per questo che in preparazione abbiamo visto più foto di Manet che di Caspar David Friedrich. Ma per quanto ci possiamo impegnare, non riusciamo ad allontanarci troppo dal romanticismo tedesco. Quindi ci dobbiamo avvicinare da un’altra prospettiva, dagli impressionisti, dal cinema, da Edward Hopper… In questo film, Undine sente la magia lontana dall’acqua. Per me contava di più che la magia si manifestasse nel presente, attraverso
l’amore, non perché sembrasse già tutto un luogo incantato. La diga all’alba, il mondo acquatico, la città sommersa, il pesce gatto… Sembra tutto bellissimo e ti trascina dentro immediatamente. Ma l’appartamento in cui vive Undine non è un luogo incantato cresciuto organicamente, è incantato solo dal loro amore. Due innamorati che incantano un posto brutto con il loro amore, lo trovo notevole.
CHRISTIAN PETZOLD
Nato nel 1960, Christian Petzold ha studiato
filologia tedesca e teatro presso la Free University
of Berlin e, successivamente, ha studiato regia alla
German Film and Television Academy of Berlin tra il
1988 e il 1994.
Filmografia: Pilots (1995), Cuba Libre (1996), The
Sex Thief (1998), The State I Am In (2001),
SomethingToRemindMe(2002),Wolfsburg(2003),
Ghosts (2005), Yella (2007), Jerichow (2008),
Dreileben–SomethingBetterThanDeath(2011),
Barbara (2012), Phoenix (2014), Transit (2018)



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