Movienerd – Ted Bundy – fascino criminale il serial killer che conquistava le donne

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Ted Bundy – fascino criminale  – Ted Bundy scruta il lato carismatico dell’omonimo serial killer – il lato che ha mostrato agli amici, ai colleghi e alla fine anche al pubblico televisivo degli Stati Uniti. Era esperto nello sfruttare il suo bell’aspetto e la sua personalità affascinante per conquistare la fiducia di molte donne, compresa la sua fidanzata di vecchia data, Elizabeth Kloepfer.

Liz (Lily Collins) sta iniziando un nuovo capitolo nella sua vita. È una giovane mamma single che cresce da sola sua figlia.

Su insistenza della sua migliore amica Joanna (Angela Sarafyan), le due escono una sera in giro per la città. Desiderosa di trovare alla sua amica un nuovo fidanzato, Joanna vede il bel Ted (Zac Efron) in piedi al bar. Sembra che abbia occhi solo per Liz, nonostante ogni donna nella stanza stia provando ad attirare la sua attenzione. La cauta e timida Liz si concede per un ballo e ne rimane completamente catturata.

Più conosce Ted, più si innamora perdutamente. È intelligente, affettuoso, attento e gentile con sua figlia. I due diventano il ritratto della felicità. Sembra quasi troppo bello per essere vero… e forse lo è.

Una notte, mentre Ted è fuori città, viene arrestato e accusato di rapimento e aggressione nei confronti di una giovane studentessa universitaria. Assicura Liz che si tratta di un errore, ma subito dopo viene accusato del macabro omicidio di un’altra giovane donna, poi un altro, e un altro ancora. Qualcosa non è chiaro. Chi è davvero questo Ted Bundy che Liz crede il suo amorevole fidanzato? L’uomo che non avrebbe mai fatto del male a lei o a sua figlia.

Mentre le prove contro Ted continuano ad aumentare, la preoccupazione di Liz si trasforma gradualmente in paranoia. Lacerata tra la vita felice che pensava di aver finalmente trovato e la macabra verità che si sta lentamente rivelando davanti ai suoi occhi, Liz deve decidere se Ted è veramente la vittima che sostiene di essere, o in realtà è il carnefice.

LA STORIA

Seattle, 1969. Elizabeth Kloepfer (Lily Collins) e la sua migliore amica Joanna (Angela Sarafyan) sono al bar del college. Joanna è impaziente di trovare un nuovo fidanzato alla sua amica single e nota un bellissimo sconosciuto (Zac Efron) che guarda Liz da un angolo della stanza. Liz, timida per sua natura, si fa aventi, scopre che il suo nome è Ted e lo bacia persino sulla pista da ballo. Una notte innocente che segna l’inizio della loro relazione apparentemente perfetta.

Anni dopo, Ted, Liz e la giovane figlia di Liz, Molly, sono l’immagine della felicità domestica finché le loro vite non vengono sconvolte quando Ted, che frequenta la facoltà di legge nello Utah, viene fermato per non aver rispettato uno stop. Il poliziotto nota un sacchetto contenente alcuni strumenti – di solito usati per scassinare – sul sedile posteriore e lo arresta, pensando che potesse essere collegato a un tentativo di rapimento nella vicina città di Murray. Ted viene rilasciato su cauzione e torna a Seattle per trovare un’irritata e confusa Liz. Ted la calma e le spiega che è tutto un grande malinteso.

Tornato nello Utah, Ted parla con il suo avvocato, John O’Connell (Jeffrey Donovan), che esprime preoccupazione per il suo cliente. Al processo, la vittima, Carol DaRonch (Grace Victoria Cox), descrive la sua aggressione, ma la sua testimonianza viene smontata dall’energico O’Connell. Ritrovando un po’ di speranza, Ted e Liz continuano a pianificare il loro futuro insieme e visitano un canile per trovare un cucciolo per Molly. Lì, in quello che sembra essere un incontro casuale, si imbattono in Carole Ann Boone (Kaya Scodelario), una vecchia amica di Ted che è sbalordita dalle accuse e gli assicura il suo totale supporto. Quello strano incontro rende gelosa Liz, ma lei e Ted sono una squadra e hanno problemi più importanti da gestire. Il giorno dopo tutto degenera. Ted viene dichiarato colpevole di rapimento e inviato in una prigione dello stato dello Utah. Liz è scioccata e prende malissimo la notizia: cade in una brutta depressione, alimentata dall’incertezza e dalla preoccupazione.

In prigione, Ted riceve una visita dal detective Mike Fisher (Terry Kinney) che gli chiede dei suoi viaggi in Colorado. Ted non dà una risposta diretta, ma è sufficiente per estradarlo ad Aspen, dove è accusato di un altro omicidio. Ted si rende conto che gli investigatori stanno trovando somiglianze tra i crimini in più stati e stanno cercando modi per attribuirli a lui.

Colpita da questa rivelazione, Liz inizia a scivolare ancora più nel baratro della depressione. Joanna cerca di convincerla che Ted è un cattivo ragazzo e a un certo punto le prove saranno impossibili da ignorare. Liz comincia a bere pesantemente per alleviare la sua crescente paranoia. Ted la chiama dalla biblioteca del tribunale di Aspen; gli è stato concesso il permesso di fare da co-consulente per il suo processo, dandogli accesso alle risorse della biblioteca. Durante una pausa nel giorno di apertura del processo, Ted chiede di usare il telefono della biblioteca. Mentre il delegato in carica è distratto, salta dalla finestra del secondo piano, correndo per le strade di Aspen e scomparendo nel deserto delle Montagne Rocciose.

Tornata a Seattle, Joanna si decide a parlare con Liz del suo stato di negazione e del crescente abuso di alcol. Le espone le prove contro Ted, inclusa la sua fuga recente e la ricattura – quale persona innocente farebbe questo? Liz fa visita a Ted in carcere nel Colorado e gli dice che non può più stare con lui. Nonostante le sue suppliche, lei lo lascia nel cortile del carcere. Toglie dalla sua scrivania al lavoro tutto ciò che le ricorda Ted e fa amicizia con il suo collega, Jerry (Haley Joel Osment). Nel frattempo, Ted escogita un altro piano per fuggire: ruba una lama dalla tipografia della prigione e crea un buco nel soffitto della sua cella, usando il rumore della doccia come copertura. Alla fine fa una breccia e riesce a strisciare verso la libertà. È capodanno.

Il detective Fisher fa visita a Liz alla ricerca di Ted. Le porge una busta che dice le dimostrerà quanto seria fosse quella situazione, ma è troppo difficile per lei guardare cosa ci sia dentro – non sa cosa credere. Alcune settimane dopo, in Florida, Ted viene nuovamente fermato per guida pericolosa, e nonostante provi a scappare dall’ufficiale di polizia, viene catturato e accusato degli omicidi di diverse donne della Florida State University.

In stato di custodia, lo sceriffo della contea di Leon, Ken Katsaris (Kevin McClatchy) chiarisce a Ted che non avrà vita così facile in Florida come nello Utah e nel Colorado. Dopo ripetuti tentativi falliti di telefonare a Liz, Ted si mette in contatto con una vecchia amica, Carole Ann Boone. Lei va a fargli visita in Florida e accetta di trasferirsi lì per aiutarlo. Preoccupato per le prove contro di lui, il difensore pubblico di Ted, Dan Dowd (Brian Geraghty), gli consiglia di patteggiare, evitando così la pena di morte. Ted è furioso e rifiuta.

Il processo inizia e il giudice Edward D. Cowart (John Malkovich) spiega ai partecipanti che sarà il primo nella storia a essere trasmesso a livello nazionale. Nonostante la posta in gioco, Ted prevarica in aula i suoi stessi avvocati. Lui ama l’attenzione su di sé, rivolge spesso sguardi dritti alla telecamera verso Liz, che osserva ogni momento del processo alla TV, con dolore misto a paura, tristezza e preoccupazione. È chiaro che lei e Jerry si siano avvicinati, sebbene Ted rimanga un baratro tra di loro.

Affrontando una strada tutta in salita, la squadra legale di Ted porta sua madre a convincerlo sul patteggiamento. Un irato Ted licenzia Dan Dowd come suo avvocato e inizia a difendersi da solo. Le cose non diventano più facili quando il Dr. Richard Souviron (Barry Mulholland) introduce la prova dei segni dei morsi sulle natiche di una delle ragazze uccise che corrispondono ai denti di Ted. Ted continua a cercare di telefonare a Liz per avere supporto ma Jerry lo affronta per telefono, dicendogli di non chiamare più.

Ted si rivolge a Carole Ann per avere un conforto emotivo, fisico e legale. Lui la porta al banco dei testimoni, la interroga e addirittura la sposa. Dopo aver visto tutto questo, Jerry spegne la TV e dice a Liz che Ted la sta ancora manipolando. Lui le chiede perché si stia comportando come se tutto ciò fosse colpa sua, e lei gli rivela che è stata lei a fare il nome di Ted alla polizia e da allora si sente colpevole.

Ted sembra fiducioso quando la giuria delibera. Il verdetto viene raggiunto in sette ore: Ted è ritenuto colpevole di tutte le accuse mosse contro di lui e condannato a morte. Liz scoppia a piangere sul suo divano di casa, e Jerry, sempre lì a supportarla, la abbraccia. Con il suo aiuto e quello di Joanna, Liz smette di bere e alla fine diventa anche direttrice del suo ufficio. Tutto sembra andare bene fino a dieci anni dopo, quando riceve una lettera da Ted.

Lei va a trovarlo nel braccio della morte in una prigione della Florida. Parlano del loro passato e Liz gli chiede di raccontarle la verità dopo tutti questi anni. Ha bisogno di essere liberata da questo peso, e sentirla da lui è l’unica cosa che le farebbe chiudere quel capitolo. Lui evita di dare risposte dirette finché lei non tira fuori la busta che il detective Fisher le aveva dato molti anni prima. All’interno c’è l’immagine di una donna decapitata in un bosco. Liz gli chiede cosa sia successo alla testa di quella donna. Alla fine, dopo quelle che sembrano ore, Ted scrive una sola parola sul vetro polveroso che li separa: SEGHETTO. Liz comprende il significato e, sconvolta, corre fuori dalla stanza. Crolla nel corridoio, rendendosi conto che tutte le piccole cose di Ted che sembravano innocue in passato facevano davvero tutte parte del male dentro di lui. Alla fine si riprende ed esce ad aspettare Jerry e Molly, che la abbracciano, prima che la famiglia esca fuori dallo schermo e si incammini verso il prossimo capitolo della loro vita.

Il regista Joe Berlinger  ci narra come è nata l’idea del film. Con solo il cinque per cento della popolazione mondiale, l’America è stata la patria del sessantasette percento dei serial killer documentati nel mondo – un incredibile numero di 2.743 assassini nell’ultimo secolo e mezzo. E l’FBI stima che in questo momento ci siano dai 25 ai 50 serial killer attivi operanti negli Stati Uniti. Eppure, un serial killer in particolare ha colpito maggiormente la psiche collettiva americana… Theodore Robert Bundy.

La storia di Ted Bundy è sordida e drammatica. Bundy si affidava ai suoi sguardi disarmanti per incantare a morte le sue vittime. Era anche abile nel cambiare il suo modus operandi per confondere gli investigatori. È sfuggito alla custodia della polizia due volte, con fughe dalle prigioni audaci e fantasiose. Poi, pochi giorni prima della sua esecuzione, il 24 gennaio 1989, Bundy ha confessato di aver ucciso oltre 30 donne tra il 1974 e il 1978, dopo anni di negazione dei suoi crimini atroci. Gli esperti ritengono che il vero numero delle vittime di Bundy sia molto più alto.

Ma ciò che distingue veramente Bundy, al di là del conteggio dei cadaveri e della sua capacità di eludere la cattura, è che pochi altri serial killer americani hanno raggiunto il suo livello di celebrità perversa  – e persino ammirazione – da così tante persone che per anni hanno pensato che fosse innocente. Bundy ha brillantemente utilizzato i media americani per ottenere un seguito considerevole e fanatico, sfidando ogni aspettativa. In poche parole, da bello e affascinante uomo bianco, le sue amanti e i molti amici e conoscenti non potevano credere che fosse capace degli atti vili che aveva commesso, permettendogli di sfuggire alla cattura per molti anni. E anche durante il processo, ha attirato tanti sostenitori che non riuscivano a vedere oltre al suo bell’aspetto e al suo fascino.

È vero che ci sono già stati altri film, documentari e libri su quest’infame assassino; quindi perché riprendere di nuovo l’argomento? La risposta sta nella straordinaria sceneggiatura di Michael Werwie, che racconta la storia dal punto di vista della sua vecchia fidanzata, Elizabeth Kloepfer. Strutturando l’azione dalla prospettiva della sua vita reale, non è il solito film voyeuristico sui serial killer. Non stiamo seguendo gli investigatori mentre cacciano Ted, o viaggiando nei suoi panni mentre prova un brivido viscerale nel commettere questi atti orribili o nel rivisitare i luoghi in cui nascondeva i corpi delle sue vittime (come spesso faceva). Invece, il pubblico sperimenta lo svolgersi degli eventi come li percepisce Liz: il fatto che Ted stia vivendo un incubo kafkiano di sfortunate coincidenze… un uomo innocente vittima del sistema. Ciò mi consente di sovvertire il genere sui serial killer, fornendo allo spettatore la tensione dello svelare il vero significato di ciò che si sta effettivamente rivelando.

A prima vista, il mio profilo come regista di documentari che ha trascorso la maggior parte della sua carriera usando il cinema e la televisione per far luce sulla riforma della giustizia criminale e la situazione dei condannati ingiustamente, potrebbe sembrare in contrasto con la storia del serial killer più iconico d’America. Ovviamente, una persona condannata ingiustamente è qualcuno che è INNOCENTE ma che tutti credono che sia colpevole. Questa sceneggiatura mi ha dato l’opportunità di esplorare il fenomeno opposto… una persona COLPEVOLE che tutti intorno a lui credono innocente. L’esplorazione di questo fenomeno inverso – una donna che crede nell’innocenza del suo colpevole amante – fornisce al film un aspetto emotivamente coinvolgente nella storia di Ted Bundy.

Ovviamente, molti spettatori sapranno già che Ted Bundy è un serial killer ancora prima che inizi il film (a meno che lo spettatore non legga assolutamente nulla sul film prima di entrare in sala), ma spero che possano in qualche modo sospendere tale conoscenza, e addirittura mettere in discussione ciò che conoscono di Bundy e intraprendere lo stesso percorso emotivo di Liz, iniziando a fare il tifo per la loro relazione e sentendosi poi tradito e disgustato quando Bundy finalmente ammette i suoi crimini. In questo modo, il film non tratta della meccanica di come un serial killer uccide o di come viene catturato, ma, piuttosto, di come si cade in preda a un psicopatico a causa della sua credibilità. Bundy ha davvero amato Liz? Questa è la domanda irrisolvibile del film – molti esperti ritengono che i sociopatici siano incapaci di amare. Io non ne sono così sicuro. Ma lui l’ha ingannata in maniera incredibile, ed è la natura dell’inganno che questo film esplora.

In altre parole, non è solo la capacità di violenza del serial killer, ma anche la sua duplicità e dualità che lo rendono un progetto affascinante per me. Avvicinandoci alla storia di Ted Bundy attraverso la prospettiva della sua donna, siamo in grado di esaminare come un uomo colpevole possa presentarsi al mondo e sperimentare il prezzo emotivo di coloro che pensavano di conoscerlo bene. Spero che questo film offra un nuovo modo di entrare nel suo mondo sordido, non attraverso gli omicidi, ma sovvertendo le aspettative su questo genere, per focalizzarci sulle bugie che Bundy ha raccontato mentre commetteva le uccisioni. In effetti, non si vedono omicidi in questo film fino alla fine, una scelta molto consapevole per consentire al pubblico di comprendere emotivamente che coloro che fanno del male non sono semplicemente dei mostri bidimensionali facili da riconoscere nella società e quindi evitabili. Invece, per mia esperienza, credo che quelli che fanno del male – dal serial killer al prete pedofilo – sono persone apparentemente ordinarie, che potrebbero essere il tuo vicino di casa o l’allenatore del liceo. Come lo stesso Bundy dice alla fine del film: “Gli assassini non escono nell’oscurità con denti aguzzi e la saliva che gocciola dal loro mento. Le persone non si rendono conto che tra loro ci sono degli assassini. Le persone che amavano e che ammiravano il giorno dopo potevano trasformarsi nelle persone più demoniache immaginabili”. Questa è la vera natura del male: difficile da spiegare, spesso molto banale e di solito molto contraddittoria. Aspetti della condizione umana che questa sceneggiatura mi ha permesso di esplorare.

Il mio lavoro di documentarista si è concentrato anche sulla difficile situazione delle vittime. Dovendo il pubblico vivere il punto di vista di Liz e sperimentando il tradimento, spero di fornire allo spettatore una comprensione emotiva di come si possa diventare una vittima del comportamento predatorio maschile. Gli anni ’70 videro aumentare l’emancipazione femminile: le donne divennero più libere sessualmente, iniziarono a lavorare in numero maggiore e a viaggiare in maniera più indipendente, spesso facendo l’autostop. Purtroppo, nonostante il progresso sociale, questo ha reso le donne più vulnerabili ai serial killer e ad altre violenze che hanno visto un massiccio aumento negli anni ’70.

Per questo, anche se il termine serial killer non era ancora di uso comune all’inizio degli anni ’70, il fenomeno in sé era in pieno svolgimento. Bundy ha preso di mira un certo tipo di giovane donna, ma ha negato i suoi crimini fino a poco prima della sua esecuzione. La negazione di Bundy e l’attendibilità della sua negazione in questo film rappresentano per me la vittimizzazione delle donne da parte dei predatori sessuali che il movimento #metoo ha così fortemente portato alla ribalta nella nostra attuale coscienza collettiva. Liz ha dovuto affrontare Ted nel braccio della morte alla fine del film – non perché avesse bisogno di sentirgli ammettere la verità (lei già sapeva la verità) – ma per ritenere questo predatore sessuale e vile serial killer responsabile delle sue azioni. Ha vissuto un momento difficilissimo – simbolo di come le donne abbiano dovuto sopportare l’ingiustizia storica di non essere credute come vittime, e di dubitare di se stesse.

Il processo di Bundy è stato il primo processo televisivo nazionale nella storia americana e ha trasformato Bundy in un fenomeno mediatico. Oltre ai media nazionali, c’erano media presenti da tutti i 50 stati e 9 paesi stranieri. Questo avveniva prima dei canali di News h24 e dell’esplosione delle stazioni via cavo che conosciamo oggi.

La raccolta di notizie elettroniche e la tecnologia satellitare erano agli inizi, il loro banco di prova è stato proprio il processo di Bundy a Miami. Dieci anni dopo, l’esecuzione di Bundy era coperta dal vivo e guardata da milioni di persone, con uno dei primi usi dei camion satellitari mobili. Bundy ha trasformato l’omicidio seriale in uno spettacolo televisivo nazionale, e credo che una linea retta possa essere tracciata tra Bundy e il processo di O.J. nel 1995, per quanto riguarda l’appetito apparentemente insaziabile di oggi per la cronaca nera. Come regista specializzato in questo genere di narrazione del crimine, ho voluto esplorare il processo che per me è il “big bang” del vero fenomeno criminale odierno. Sono molto consapevole della contraddizione di creare intrattenimento dalle tragedie della gente, motivo per cui ho spinto il tono dell’eccezionale sceneggiatura originale di Michael Werwie verso una discesa più realistica sugli orrori e sulle implicazioni delle azioni di Bundy.

In definitiva, l’attrattiva di questo progetto riguarda la natura della verità. Ho scelto di aprire con una citazione di Goethe (“Poche persone hanno l’immaginazione per la realtà”). Per me, significa che la verità di solito è proprio di fronte a noi, ma è spesso difficile da vedere. Bundy è ricordato come carismatico, di bell’aspetto e affascinante, ma queste verità sono troppo riduttive. In realtà, era anche un ladro, molto manipolatore, uno stupratore seriale e assassino che praticava la necrofilia e talvolta tagliava la testa alle sue vittime. A differenza della maggior parte dei serial killer, ha negato i suoi crimini quando è stato catturato, e ha iniziato a fare dichiarazioni pochi giorni prima della sua esecuzione per risparmiarsi la vita, ma ha fatto finta di essere pentito. Bundy è spesso associato all’avvento dell’analisi comportamentale dell’FBI (chiamato profiling) – ma la verità è che l’FBI ha creato il profiling in risposta al totale fallimento delle forze dell’ordine di assicurare Ted alla giustizia. In un’epoca anteriore al DNA e persino ai fax, i dipartimenti di polizia non condividevano le informazioni tra di loro e non esistevano database centralizzati come quelli che abbiamo oggi. Le tre volte che Bundy è stato arrestato non erano a causa di un lavoro investigativo particolare, ma perché era un guidatore spericolato, fermato dalla polizia che inizialmente non sapeva chi fosse. Se Bundy fosse stato un guidatore più attento, potrebbe non essere mai stato catturato affatto. Anche se era evidentemente colpevole e meritevole di condanna, le prove forensi contro Bundy durante il suo processo a Miami erano deboli – tranne che per le prove del morso che hanno suggellato il suo destino. Era la prima volta che le prove di un morso venivano usate in un caso criminale, eppure oggi questo tipo di prove sono state ampiamente ridimensionate. Trovo che questa sia una delle grandi ironie del caso Bundy, in particolare per quanto riguarda la natura della verità.

Questo tema della natura della verità è la ragione per cui ho deciso che il titolo del film non sarebbe dovuto comparire fino alla fine del film. Certamente, le persone conosceranno già il titolo quando compreranno i biglietti ed entreranno nelle sale. E quel titolo sembrerà ancora più ironico: il film deve divertirsi con il suo soggetto. Ma, quando John Malkovich nel ruolo del giudice Edward D. Cowart lo condanna a morte per i suoi atti “Estremamente malvagi, incredibilmente crudeli e vili”, il titolo assume una nuova pregnanza e significato. Vediamo il titolo per quello che è – la descrizione di un vero assassino di esseri umani reali. Non sembra più un titolo carino o divertente. È reale ed è orribile ed è sempre stato così: non avevamo considerato il titolo in quel modo prima dell’inizio del film. E questa è la natura della saga di Bundy: la verità è sempre stata lì davanti agli occhi di tutti, ma nessuno è stato in grado di affrontare la verità fino a quando non è stato troppo tardi.




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