“Roubaix, une lumière”, nelle sale dallo scorso 1 Ottobre, è un film polizesco di Arnaud Desplechin con Roschdy ZEM, Léa SEYDOUX, Sara FORESTIER ed Antoine REINARTZ .
Roubaix, la notte di Natale. Il commissario Daoud (Roschdy Zem) è di pattuglia per le strade della città dove è cresciuto. Al suo fianco c’è Louis Coterell, agente giovane e inesperto appena uscito dall’accademia di polizia.
Daoud e Louis sono chiamati ad indagare sull’omicidio di una vecchia donna: le indiziate del delitto sono Claude (Léa Seydoux) e Marie (Sara Forestier), le due giovani vicine dell’anziana.
Dallo sconvolgente documentario di Mosco Boucault per France 3, Desplechin realizza un thriller sociale teso, febbrile e spirituale, animato dall’intensità teatrale dei suoi attori. Un noir che trascende elegantemente le strutture di genere per scandagliare gli abissi dell’essere umano e la miseria del mondo di oggi. “Per la prima e unica volta nella mia vita – spiega il regista – ho solidarizzato con due criminali: ho voluto riconsiderare le parole crude delle vittime e delle colpevoli come la più pura delle poesie”.
Il regista Arnauld Desplechin parlando del suo film ci racconta: “Cinefilo già da bambino, rifiutavo la società già dal cortile della scuola. Ma credo che grazie al cinema ho saputo accettare il mondo”. Qui riporto in modo molto imperfetto la voce di Daney, sentita alla radio. Per molto tempo, questa frase è stata il mio vade-mecum.
Tutti i miei film, o quasi, sono stati film romantici. Troppo! Ma è questo “troppo” che desideravo.
Oggi ho voluto un film che si attenga alla realtà, in ogni parte. Che riprenda un materiale grezzo che, con l’arte dell’attore, possa accendersi.
Come indica il prologo della sceneggiatura: non ho voluto lasciare nulla all’immaginazione, inventare nulla, ma ho voluto rielaborare delle immagini viste in televisione dieci anni fa e che da allora mi hanno perseguitato.
Perché non ho mai potuto dimenticare queste immagini? Perché solitamente, riesco a identificarmi solo con le vittime. Non mi piacciono troppo i carnefici. E per la prima e unica volta nella mia vita, in due criminali ho scoperto due sorelle.
Ho voluto considerare le crude parole delle vittime e dei colpevoli come la più pura poesia che esista. L’ho considerato come un materiale sacro, cioè: un testo che non finiremo mai d’interpretare.
Come spettatore, ho le vertigini di fronte alla colpevolezza e all’ ingenuità di queste due assassine.
Mentre trascrivevo e mettevo insieme questo materiale pensavo sempre a Delitto e castigo. I tormenti di Raskolnikov sono gli stessi di queste diseredate. Sì, Pietà più di quanto si possa dire, è al centro dell’amore.
Da regista cerco come filmare e dirigere – come gli attori interpreteranno tali ruoli. Credo che la posizione della macchina da presa e la performance dell’attore possano mostrare i peggiori tormenti dell’anima.
Questo è il potere dell’incarnazione proprio del cinema.
Penso che la finzione si arricchisca ad essere un possibile specchio della realtà.
Ciò che senza dubbio mi ha colpito di più mentre scoprivo le immagini all’origine del mio film, sono questi volti di donne. Colpevoli e vittime. L’anziana Lucette, la giovane donna violentata, l’amica che l’accompagna, la giovane scappata di casa e infine le due assassine, che mi conducono in un vortice di terrore…
Così, attraverso la vita di questa stazione di polizia di Roubaix, abbiamo un ritratto, inevitabilmente incompleto, della condizione femminile di oggi.
Un solo film è stata la mia guida cinematografica: Il ladro di Hitchcock. Una notizia restituita alla sua brutalità, alla sua nudità e al suo enigma. L’enigma della verità.
Sappiamo come Hitchcock abbia spinto la sua ossessione per il realismo fino al punto di filmare negli stessi luoghi degli eventi e usando i testimoni nei loro propri ruoli.
Qui non oso prendere la stessa strada del maestro. Il mio percorso è il seguente: confido, quando verrà il momento, di sapere come dirigere queste parole e come filmare gli attori che le faranno proprie, prima di restituircele. Si, rendere omaggio alla trivialità di queste parole o al loro mistero. Cioè, tramite il genio proprio del cinema, far brillare la grandezza della finzione in una terreno devastato di vite distrutte. È un progetto umile. E la sua ambizione mi travolge. È questa ambizione che voglio abbracciare.
Al centro del film c’è la questione dell’inumano. Chi è umano, chi non lo è più?
Attraverso lo sguardo dell’ispettore Daoud, tutto si mostra profondamente umano. La sofferenza come il crimine.
Per Daoud, il compito della legge è di rendere umano ciò che all’inizio ci ha gettato nel terrore. Daoud chiede a Claude se suo figlio sia in casa. Sì, risponde. Va bene, conclude Daoud. Perché crede nella legge, nel progresso, nel perdono. Forse la famiglia salverà questo bambino. È questa folle scommessa della legge che Daoud sostiene.
Il crimine non è mostrato. Ma le due assassine ripetono la scena, intorno a un’assenza. Offrono la loro testimonianza a Daoud e, così, ritornano tra l’umanità.
Seguendo Daoud voglio dare un volto a queste due donne e riconoscermi in esse senza giudicarle. Per questo ci sono i giudici e io non lo sono … Questo è il tuffo vertiginoso che ho affrontato durante tutta la scrittura.
Ho riservato alla finzione la descrizione dei poliziotti. Mi serviva ritrarli più nel dettaglio.
Due poliziotti molto diversi che simpatizzano. Louis, giovane impacciato cattolico, senza grazia. È sempre in errore. E Daoud, senza famiglia né religione, che con uno sguardo può riconoscere la menzogna dalla verità.
Perché nulla è estraneo a Daoud.0000000000
Straniero nella sua città, denigrato dalla sua famiglia, sa come identificarsi con tutti quelli che incontra. Condivide la loro umanità. Come potrebbe non comprenderli?
Se ho dovuto qui utilizzare la finzione, non ho voluto comunque appesantirla con il romanticismo. Mi sembra che oggi il romanticismo sia ovunque alla televisione.
Volevo che questi poliziotti fossero più iconici che romantici. Mi è sembrato che questo status di icone, il loro silenzio, contenesse più verità che digressioni.
Cosa fa andare avanti Bourvil in I senza nome? Una dichiarazione del suo superiore: tutti gli uomini sono colpevoli.
Cosa fa andare avanti François Perrier in Frank Costello faccia d’angelo? La presenza pura dell’attore, la sua attenzione ai gesti.
È a questo laconismo e a questa attenzione che ho voluto dedicarmi. Daoud è un occhio, è un orecchio. Vede il mondo e lo accetta. Proprio come Serge Daney mi ha insegnato”.
Roubaix non è solo il luogo di nascita del protagonista, ma anche del regista, che dimostra nel corso di tutta la pellicola un sincero attaccamento a questa città, tra le più povere e ad alto tasso di disoccupazione e criminalità della Francia. Stiamo parlando di Roubaix, una di quelle città di provincia nebbiose e inafferrabili che puntellano quella regione di confine tra Francia e Belgio che tanto piaceva a Georges Simenon.
La materialità delle immagini non si ferma a un puro realismo illustrativo, ma è capace di entrare nelle viscere, negli sguardi, nelle anime dei personaggi, tanto che il film assume quasi – come avviene in tutti i grandi polar – una dimensione metafisica, fatta di destini ineluttabili e della voglia di non perdere quel poco che si possiede.
Particolarmente interessante il commissario Daoud, poliziotto di grande umanità, interpretato magistralmente da Roschdy Zem, che rimarrà uno dei protagonisti memorabili della filmografia di Desplechin, Anche gli altri attori, tra cui Léa Seydoux danno un valido contributo, ma Zem è decisamente il più efficace, grazie a una recitazione incisiva e intensa.