Movienerd – Un macchinista che sta per andare in pensione trova un reggiseno sul suo treno. Lascia il villaggio tra le montagne dove vive e comincia la ricerca della proprietaria dell’oggetto tra le minuscole case di Baku. In una buffa e commovente vicenda senza dialoghi, la storia di una ricerca di amore e appartenenza Nel cast: Paz Vega, Maia Morgenstern, Chulpan Khamatova, Miki Manojlovic e Denis Lavant. Questa in breve la storia del film “The Bra il reggipetto”, una leggera favola tutta da guardare e giunta nei cinema italiani dalla scorsa fine settimana.
Un treno merci passa attraverso i grandi prati sotto le montagne del Caucaso. Nella cabina Nurlan, il macchinista, guida il treno lungo il percorso che passa attraverso un angusto quartiere di Baku, dove il tracciato dei binari è così vicino alle case da corrispondere esattamente alla strada che separa tra loro i modesti edifici.
La vita del quartiere si svolge sui binari: gli uomini bevono il tè seduti ai tavolini posti sulle rotaie, le donne stendono i panni su fili sospesi sopra il tracciato ferroviario.
Quando il treno passa, gli abitanti si alzano, raccolgono frettolosamente i loro oggetti, scappano nelle case e tutto ciò che resta viene intercettato dalla carrozza guidata da Nurlan.
Lui, a fine giornata, raccoglie gli oggetti rimasti attaccati al treno e li riporta ai loro legittimi proprietari: lenzuola, palloni, piume di pollo. L’ultimo giorno di lavoro, in procinto di andare in pensione, trova attaccato al tergicristalli un oggetto inusuale: un reggiseno. Nurlan lo mette nella sua valigia e lo porta nel villaggio di campagna in cui vive. Nei giorni a seguire, pensare alla donna che ha perso quel reggiseno gli toglie il sonno. La grande solitudine in cui vive lo spinge infine a mettersi alla ricerca della sua proprietaria: una ricerca che si rivelerà difficile, buffa, commovente, e che per lui finirà per coincidere con la ricerca dell’amore e dell’appartenenza.
Veit Helmer il regista dice del suo film: “The Bra senza dubbio inizia come una commedia ma poi il protagonista, il macchinista Nurlan, incappa in esperienze che possiamo definire tragiche. Ma è anche una storia d’amore, una storia d’amore con un finale inatteso. Ho scelto di fare un film senza dialoghi perché considero il parlato un modo per raccontare storie non-filmico. Il cinema è essenzialmente fatto di storie che vengono narrate attraverso immagini e suoni, ma non si può semplicemente eliminare i dialoghi dalla sceneggiatura. I film senza dialoghi devono essere concepiti proprio in quanto tali, questo comporta un lavoro notevole nella scrittura. Ma credo che il risultato sia qualcosa di unico per il pubblico che guarda il film”.
Come è nata l’idea di questa storia?
“Sono stato ispirato dalla vicinanza della capitale dell’Azerbaigian, Baku. Lì, in una zona in particolare, i binari dei treni sono così incredibilmente vicini alle case che vengono usati come strade e luoghi di aggregazione. Gli abitanti di quest’area chiamano il loro quartiere “Shangai”. La vita si svolge sui binari, dove i treni passano varie volte al giorno. Questi luoghi mi hanno suggerito di scrivere una storia su un macchinista solitario che, al termine della sua giornata di lavoro, riporta ai legittimi proprietari gli oggetti che il treno durante la giornata ha intercettato passando. Appena prima del suo pensionamento, il macchinista trova un reggiseno. Il film racconta l’avventurosa ricerca della sua proprietaria”.
Come sei arrivato alla location dove hai girato?
“L’Azerbaigian mi affascina. É come se fosse perso da qualche parte tra Europa e Asia e nonostante la distanza da Russia, Armenia o Iran, è un luogo in cui si incrociano diverse culture e religioni. Musulmani, cristiani ed ebrei vivono fianco a fianco in pace. Per anni ho voluto girare a Khinaliq, il più alto luogo abitato d’Europa. Ma quando ho visto il quartiere “Shangai”, a Baku, è scattato qualcosa in me e ho deciso di mettere insieme i due luoghi, raccontarli in un’unica narrazione. Già nel 2014 sono stato avvisato del fatto che il quartiere Shangai sarebbe stato demolito. Nel 2017 abbiamo ottenuto il finanziamento per il film e ho potuto girare, appena prima che tutto venisse distrutto”.
Qual è il vantaggio di non usare dialoghi?
“Il parlato è un modo per raccontare storie che considero non-filmico. Il cinema è essenzialmente fatto di storie che vengono narrate attraverso immagini e suoni. Ma non si può semplicemente eliminare i dialoghi dalla sceneggiatura, perché la storia perde senso. I film senza dialoghi devono essere concepiti proprio in quanto tali. Questo comporta un lavoro notevole nella scrittura. Ma credo che il risultato sia qualcosa di unico per il pubblico che guarda il film”.
In questo contesto che ruolo ha la colonna sonora e quali criteri hai usato per sceglierla?
“In un film senza dialoghi, si può mettere musica ovunque, è facile. Penso però che le persone siano stanche dell’utilizzo di troppa musica, la televisione ha su questo la sua responsabilità. La musica diventa preziosa quando viene usata con misura. Ho dovuto corteggiare a lungo Cyril Morin ma per The Bra gli ho chiesto di lavorare con me davvero tanto tempo prima di iniziare il film, in modo da trovarlo libero da altri impegni. Lavorando insieme ci siamo resi conto, non senza sorpresa, che i suoni orientali e dell’Europa dell’Est semplicemente non funzionavano. Perché le immagini esprimevano già abbastanza il fatto che la storia fosse ambientata in questo luogo così inusuale. Era più importante sottolineare i sentimenti e le emozioni dei protagonisti. Per i personaggi femminili, ad esempio, ho riscoperto vecchie canzoni pop dell’Azerbaigian, che abbiamo sentito alla radio o in registrazioni datate”.
The Bra è un film sbarazzino, in un certo senso, e allo stesso tempo è anche un film malinconico. Si può considerarlo una commedia?
“Definire un film con un genere è come chiudere un capo d’abbigliamento in un cassetto: tutti i bottoni e le decorazioni volano via quando cerchi di chiuderlo. Il film senza dubbio inizia come una commedia. Ma poi il macchinista incappa in esperienze che possiamo definire tragiche. Ma il film è anche una storia d’amore. Una storia d’amore con un finale inatteso”.
È stato difficile trovare gli attori giusti?
“Per fare un film senza dialoghi naturalmente non si ha il problema di doversi limitare agli attori che parlano una determinata lingua. Mi è stato chiaro molto presto che volevo . Miki, coi suoi occhi angelici, può persuadere le donne ad aprire la porta della loro casa, senza temere che possa far loro del male. Si è impegnato ad interpretare il suo ruolo anche prima che ricevessimo i finanziamenti. E non si è mai dato alla fuga, nemmeno quando abbiamo avuto dei guai e la polizia è venuta a bussarci alla porta. Per i ruoli femminili ho chiesto alle attrici che più stimo di diversi paesi. Tutte loro sono state entusiaste del progetto. È stata per me una grande benedizione che Paz Vega, Maia Morgenstern e Chulpan Khamatova abbiano voluto e potuto partecipare alle riprese a Baku”.
Come dovrebbe vedere il pubblico The Bra?
“ Spero che gli spettatori possano vedere il film come un piccolo cesto che contiene gioielli preziosi, che magicamente scintillano quando si apre il coperchio. Il più grande complimento per me è quando le persone guardano il film più volte e scoprono cose di cui io non mi ero mai accorto. Viene poi un momento in cui il film, in un certo senso, sviluppa una sua personalità, come un bambino che ha imparato a camminare e lascia i suoi genitori. Quello è il momento di lasciarlo andare, e iniziare un nuovo lavoro!”.