Cinema – Film – Dall’Islanda arriva “L’albero del vicino”

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L’albero del vicino – Nel giardino di Inga e Baldvin c’è un imponente, bellissimo albero che però getta ombra nel
giardino dei vicini Konrad e Eyborg, proprio dove quest’ultima ama rilassarsi e prendere il sole.
Alle prime rimostranze sulla necessità di ridurre le dimensioni dell’albero, quello che inizia come un apparente e banale battibecco tra vicini di casa, finisce per innescare una spirale di tensione e violenza fuori controllo.
‘L’Albero del Vicino’ è il nuovo successo del cinema islandese. Il regista Hafsteinn Gunnar Sigurösson dona allo spettatore 90 minuti di curiosità ed interesse.
Agnes e Atli sono una giovane coppia in un momento difficile della loro relazione.
Una notte, Agnes scopre il compagno mentre sta guardando sul suo computer un ambiguo video
porno di cui sembra essere proprio lui il protagonista. Sconvolta, Agnes butta Atli immediatamente
fuori di casa e fa di tutto per impedirgli di vedere la figlia Asa. Atli non si rassegna
e, mentre cerca di recuperare maldestramente la situazione con Agnes, si trasferisce temporaneamente a casa dei genitori.
Ma anche lì, le tensioni non mancano.
Inga e Baldvin sono coinvolti in una guerra fredda con i vicini di casa, indispettiti dall’ombra
che il loro maestoso albero produce nell’adiacente giardino e che impedisce alla vezzosa Eybjorg
di prendere il sole. Inga, già provata per la scomparsa del figlio maggiore e prevenuta nei
confronti del mondo, non sopporta la nuova giovane moglie del vicino Konrad, per la quale
quest’ultimo ha lasciato la precedente moglie.
Mentre Atli lotta per veder riconoscere i suoi diritti di padre, lo scontro nel vicinato si fa sempre
più intenso: l’auto di Baldvin viene danneggiata, la gatta di Inga e il cane di Eybjorg scompaiono
misteriosamente, si installano delle telecamere di sicurezza e Konrad viene intravisto con in
mano una voluminosa sega elettrica…
Hafsteinn Gunnar Sigurösson ha accettato di rispondere ad alcune domande sul suo film.
Classe 1978, Hafsteinn si è laureato in cinema alla prestigiosa Columbia University di
New York. Il suo primo film “Either Way” è stato proiettato nei festival cinematografici di
tutto il mondo ed è stato acquistato per il remake conosciuto come “Prince Avalanche”.
Nel 2012 Hafsteinn è stato selezionato dalla prestigiosa rivista specializzata di cinema
Variety come uno dei dieci registi europei “da tenere d’occhio”.

Com’è nata l’idea di realizzare questo film? Si ispira a fatti realmente accaduti?

“Con il co-sceneggiatore Huldar Brei abbiamo iniziato a parlare di questo progetto circa dieci
anni fa. Eravamo entrambi affascinati dall’idea di fare un film sulle dispute fra vicini di casa.
Ciò che trovavo inizialmente interessante era il fatto che questi conflitti potessero essere al
tempo stesso assurdamente ridicoli, perchè scaturiti da questioni di poca importanza ma che
finivano però per assumere, in breve tempo, proporzioni inimmaginabili. A volte sono liti che
possono diventare addirittura feroci, violente e si vedono persone normali, rispettabili, perdere
completamente sia la dignità, sia l’autocontrollo.
In Islanda, in modo particolare, dispute tra vicini per questioni che hanno a che fare con gli alberi
sono molto popolari e, in effetti, la storia de “L’Albero del vicino” in un certo qual modo si è
ispirata a un incidente realmente accaduto, anche se la sceneggiatura poi si è sviluppata in
modo del tutto originale e immaginario. Ciò che è importante sapere è che questi alberi non
sono così tanto comuni in Islanda, così se ti capita di avere un bell’albero in giardino, non hai
nessuna voglia di perderlo. Ma, al tempo stesso, se un albero del tuo vicino getta ombra nel
tuo giardino, impedendoti di vedere il sole, diventi molto determinato nel volerlo eliminare. Soprattutto perché, come si sa, in Islanda non abbiamo molto sole.
È il tipico dilemma che è difficile poter risolvere in modo diplomatico”.

C’è qualcosa nella quotidianità dei conflitti che ti ha particolarmente attratto per arrivare
a raccontare questa storia?

“Nei miei film mi sono sempre ispirato alla banalità delle cose di tutti i giorni, sono sempre state
un’attrazione per me e un’ importante risorsa cinematografica. Principalmente perché la maggior
parte della nostra vita è costituita dalla quotidianità: è ciò che conosciamo meglio e che
meglio di ogni cosa crea connessioni tra le esistenze umane.
Mi è sembrata una bella sfida realizzare un film drammatico, un po’ thriller, su un soggetto così
innocente come quello di un bellissimo albero. Girare un film di guerra dove il campo di battaglia
è la propria casa”.

Come sei riuscito a fare in modo che i personaggi risultassero così convincenti, sia individualmente,
sia nel loro insieme?

Quando si costruiscono i personaggi credo sia importante lavorare sulle qualità che si riscontrano
in altre persone, incluso me stesso. Quando inizia il lavoro con gli attori, per me accadono
cose importanti. È proprio quello il momento in cui i personaggi che animano il film per me
diventano reali. Gli attori apportano molto al progetto e, a volte, cercano come riferimento persone
che conoscono. Con questo non voglio dire che gli attori imitino persone reali o qualcosa
del genere. E se lo fanno, beh… non me lo dicono!
E comunque nel nostro film non ci sarebbe un’influenza diretta. Quello che abbiamo fatto è
stato usare il lavoro degli attori per trovare un terreno comune da cui partire mentre mettevamo
a punto la nostra visione del film nella sceneggiatura”.
C’è stato qualche film che ti ha particolarmente inspirato per la realizzazione de “L’Albero
del vicino?”
“Ci sono sempre film e registi che influenzano il tuo processo creativo ma il segreto è nasconderli,
così non diventano ovvi. Spero di essere riuscito a farlo anche con “L’Albero del vicino”.
C’erano alcuni film di cui ho discusso con il direttore della fotografia, Monika Lenczewska, che
includevano opere di Michael Haneke, Joachim Trier, Ruber Ostlund, David Lynch Lynne
Ramsey, Derek Cianfance, solo per citarne alcuni. Come puoi vedere dalla lista, filmakers molto
diversi”.

La musica svolge un ruolo importante nel definire la crescente tonalità “dark” del film.
“Ho sempre avuto intenzione, fin dall’inizio, di raccontare una storia con un’anima thriller. Può
non sembrare cosi ovvio quando leggi lo script, così usare la musica insieme alla cinematografia
è stato uno strumento importante per creare quella sensazione di imbarazzo e suspense.
Specialmente da quando il racconto prende svolte inaspettate, nella seconda metà, la colonna
sonora si è rivelata un mezzo fondamentale e molto efficace per preparare al cambiamento. Il
compositore Daniel Bjarnason e io siamo amici di lunga data e abbiamo cercato tanto un progetto
su cui lavorare insieme. Alla fine, il progetto è arrivato. Ero certo che su “L’Albero del vicino”
la musica di Daniel avrebbe creato una perfetta combinazione con la sceneggiatura.
Ciò che gli ho detto fin dall’ inizio è che non volevo un uso convenzionale della musica, cioè
che fosse posizionata solo per sostenere le immagini, ma che avesse una personalità propria.
E lui certamente c’è riuscito”.

Il film è una sorta di ammonizione verso i nostri tempi, su cosa può accadere quando la
coesitenza e il compromesso iniziano a fallire?

“Di questi tempi ci sono cose terribili nell’aria e credo che abbiamo raggiunto il punto in cui è
veramente minacciata la nostra stessa esistenza sul pianeta. Basta guardare all’argomento
più importante che ci coinvolge tutti: il cambiamento climatico. E proprio su questo, l’intero
mondo dovrebbe unirsi e cercare di modificare le proprie abitudini di vita ma sembra che non
ci riesca proprio. Abbiamo tutti gli stessi obiettivi e davvero dovremmo raggiungere dei compromessi in un modo o in un altro ed essere altruisti l’uno verso l’altro. Se non lo facciamo
mettiamo a rischio seriamente il futuro dei nostri figli. E tuttavia continuiamo a non farlo. È una
brutta situazione, questo terribile e individualistico modo di pensare e vivere, incoraggiato dalla
nostra società capitalistica.
Quello che ho cercato di fare durante lo sviluppo di questa sceneggiatura è stato “aprire” la
linea narrativa in modo da esporla a diverse interpretazioni. Alla fine si trasforma in una sorta
di favola dove si esprime la metafora più grande, quella della convivenza tra esseri umani. In
tal senso questa storia può anche essere letta come una lotta fra due nazioni in conflitto, oppure
tra gruppi etnici o religiosi – queste questioni credo possano avere molti punti in comune
con quelle che scaturiscono tra vicini di casa”.




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