Movienerd cinema e protagonisti – Si è spento ad Asiago il regista Ermanno Olmi

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Si è spento ad Asiago il regista Ermanno Olmi. Aveva 86 anni, era nato il 24 luglio 1931 a Bergamo. Regista autodidatta, pioniere nel campo del documentario, creatore di un linguaggio personale e fuori da ogni schema fin da opere come ”Il tempo si e’ fermato”, ”I recuperanti” e la ”Circostanza”, sperimentatore incessante ha portato per la prima volta al cinema il dialetto come lingua (”L’albero degli zoccoli”) e i grandi miti della tradizione cristiana (”Cammina cammina”).
Il regista venne alla luce in una famiglia contadina dalle profonde convinzioni cattoliche. Rimasto orfano di padre, morto durante la guerra, frequentò prima il liceo scientifico, poi il liceo artistico.
Giovanissimo ecco il trasferimento a Milano, dove si iscrisse all’Accademia di Arte Drammatica per seguire i corsi di recitazione; nello stesso tempo, allo scopo di mantenersi, trovò un lavoro presso la Edisonvolta, dove già lavorava la madre.
L’azienda gli affidò l’organizzazione delle attività ricreative, in particolare quelle relative al servizio cinematografico. In seguito venne incaricato di riprendere e documentare le produzioni industriali: è il momento buono di dimostrare la sua intraprendenza e il suo talento. Infatti, pur con quasi nessuna esperienza alle spalle diresse, tra il 1953 ed il 1961, decine di documentari, tra i quali “La diga sul ghiacciaio” (1953), “Tre fili fino a Milano” (1958), “Un metro è lungo cinque” (1961).
Al termine di questa esperienza, si nota come in tutti gli oltre quaranta documentari sia preminente
Nel frattempo il debutto nel lungometraggio con “Il tempo si è fermato” (1958), una storia imperniata sull’amicizia fra uno studente ed un guardiano di diga che si dipana nell’isolamento e la solitudine tipici della montagna; sono i temi che si ritroveranno anche nella maturità, una cifra stilistica che privilegia i sentimenti delle persone “semplici” e lo sguardo sulle condizioni provocate dalla solitudine.
Due anni dopo Olmi conquistò i favori della critica con “Il posto” (realizzato con la casa di produzione “22 dicembre”, fondata insieme ad un gruppo di amici), opera sulle aspirazioni di due giovani alle prese con il loro primo impiego. La pellicola ottenne il premio OCIC e il premio della critica alla Mostra di Venezia
L’attenzione al quotidiano, alle cose minute della vita, viene ribadita nel successivo “I fidanzati” (1963), vicenda d’ambiente operaio venata d’intimismo. E’ poi la volta di “…E venne un uomo” (1965), biografia attenta e partecipe di Giovanni XXIII, priva di scontati agiografismi.
Dopo un periodo contrassegnato da lavori non del tutto riusciti (“Un certo giorno”, 1968; “I recuperanti”, 1969; “Durante l’estate”, 1971; “La circostanza”, 1974), il regista ritrova l’ispirazione dei giorni migliori nella coralità de “L’albero degli zoccoli” (1977), Palma d’oro al Festival di Cannes. Il film rappresenta uno sguardo poetico ma al tempo stesso realistico e privo di gratuite concessioni sentimentali al mondo contadino, qualità che ne fanno un assoluto capolavoro.
Nel frattempo il trasferimento da Milano ad Asiago e, nel 1982, a Bassano del Grappa, dove fondò una scuola di cinema “Ipotesi Cinema”; parallelamente realizzò “Cammina cammina”, dove si recupera nel segno dell’allegoria la favola dei Magi. In questi anni girò molti documentari per la Rai e alcuni spot televisivi fino alla sosta forzata per una grave malattia, che lo tenne a lungo lontano dalle cineprese.
Il rientro avviene nel 1987 con il claustrofobico ed angoscioso “Lunga vita alla signora!”, premiato a Venezia con il Leone d’argento; ottenne il Leone d’oro l’anno seguente con “La leggenda del santo bevitore”, lirico adattamento (firmato da Tullio Kezich e dal regista stesso) di un racconto di Joseph Roth.
A distanza di cinque anni “La leggenda del bosco vecchio”, tratto da un racconto di Dino Buzzati e interpretato da Paolo Villaggio, evento piuttosto raro per Olmi, che solitamente preferisce interpreti non professionisti. L’anno seguente “Genesi: la creazione e il diluvio” all’interno del vasto progetto internazionale “Le storie della Bibbia” prodotto anche da RaiUno.
Tra i suoi ultimi lavori vi segnalo “Il mestiere delle armi” (2001), “Cantando dietro i paraventi” (2003, con Bud Spencer), “Tickets” (2005), “Giuseppe Verdi – Un ballo in maschera” (2006), fino al suo ultimo film “Centochiodi” (2007), che chiude definitivamente la sua carriera di regista cinematografico per realizzare documentari, proprio come all’inizio della sua lunga e blasonata carriera. Chi vi scrive ha avuto modo di incontralo sul palco a Roma in occasione della presentazione di alcune delle sue tante opere cinematografiche. Una persona preparata, sempre molto convinta di quello che asseriva ed un perfezionista del suo lavoro.

Tra le sue dichiarazioni ne ricordo alcune più significative di altre e non riguardanti direttamente il suo lavoro.
Su economia, denaro e risparmio diceva: “Quando il denaro assume in sé tutti i valori finisce per corrispondere alla parola dannazione. Tutto è sottoposto a questa sorta di divinità che assomiglia molto al vitello d’oro. Il denaro, da un lato, ha la sua nobile funzione quando, di fronte a un progetto di inventiva affascinante, corre in suo soccorso. Dall’altro, quando il denaro corrisponde a uno stimolo di partenza per coloro che vivono ai margini dell’insicurezza, diventa un nobile sentimento in quanto traduce in realtà di vita una condizione che si modifica in meglio. Mi riferisco alla funzione che ha avuto la Cassa Rurale con il mondo contadino. Appena il percorso della storia, che è inarrestabile, ha posto delle condizioni nuove al mondo contadino tutto è cambiato. I contadini non sono stati più dei totali sottoposti ma dei compartecipi – attraverso la terziaria e la mezzadria – ed ecco che il denaro è diventato per queste persone, che avevano sempre vissuto alla mercè del latifondista, il supporto per piccoli imprenditori spartito con il padrone. Ci sono questi due estremi, in definitiva: il soccorso a coloro che attraverso un’intrapresa coraggiosa si svincolano dalla sottomissione e diventano protagonisti e il sostegno a quell’invettiva che, quando si realizza, si definisce progresso.” Sul mondo del lavoro e sui suoi mutamenti diceva: “Non so se lei ha mai visto il mio film Il posto. In quel film c’è una battuta del padre al figlio che andava agli esami di assunzione aziendale come negli anni 60 si usava quando uno faceva domanda di impiego: «Mi raccomando, vedi di far bene perché se entri lì avrai il posto fisso per tutta la vita». E glielo raccomandava come un bene assoluto. Alla fine di questo mio film il giovane aspirante che viene assunto si ritrova dietro alla scrivania e prima di piegare lo sguardo sul suo lavoro di piccolo impiegato ha una sorta di non definibile inquietudine e forse si domanda quello che oggi ci dovremmo domandare anche noi: «Il posto sicuro per tutta la vita è davvero un vantaggio o rischia di essere per molti l’occasione di una sonnolenza e di una passività distruttive?. Ci sono infatti due categorie di uomini: coloro che vogliono essere protagonisti della propria esistenza e quindi responsabili delle proprie scelte, e coloro che compiono un atto come quello di trovarsi il posto fisso o altri che, per esempio, lo manifestano nel votare e, compiuto quell’atto, dormono i loro pacifici sonni dell’inattività e, quindi, dell’autodistruzione. E, infatti, vivono poi in uno stato di nevrosi per tutta la vita”.




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