Cinema – Film : La melodie aiuta l’integrazione

422

La melodie – Simon, un famoso musicista ormai disilluso, arriva in una scuola alle porte di Parigi per dare lezioni di violino. I suoi metodi d’insegnamento rigidi non facilitano il rapporto con alcuni allievi problematici. Tra loro c’è Arnold, un timido studente affascinato dal violino, che scopre di avere una forte predisposizione per lo strumento. Grazie al talento di Arnold e all’incoraggiante energia della sua classe, Simon riscopre a poco a poco le gioie della musica. Riuscirà a ritrovare l’energia necessaria per ottenere la fiducia degli allievi e mantenere la promessa di portare la classe ad esibirsi al saggio finale alla Filarmonica di Parigi?. Questa la trama de ‘La melodie’ di Rachid Hami con un cast formato da Kad Merad, Samir Guesmi, Alfred Renely, Jean-Luc Vincent, Tatiana Rojo.

Le banlieue parigine non come microcosmo di poverta’, violenza, isolamento, e radicamento islamico ma ambientazione di un cambiamento che parte dai bambini, attraverso la musica. E’ la storia ispirata a un reale programma della Filarmonica di Parigi, raccontata in La Melodie, la dramedy di Rachid Hami, presentata fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia e dal 26 aprile nelle sale distribuito da Officine UBU. Roma, 26 aprile 2018. ANSA/ UFFICIO STAMPA +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Una storia tutta da seguire, 102 minuti che ci lanciano in una realtà spesso poco conosciuta affrontando con contagiosa sincerità molte delle questioni sociali e “politiche” che stanno attraversando l’Europa in questi anni.
Il regista franco-algerino Rachid Hami ha il pregio di catturare il breve tempo “in classe” di una comunità di ragazzini delle banlieu parigine figli di immigrati, quindi francesi di seconda o terza generazione –e si affida allo sguardo confuso e terzo del loro nuovo insegnante di musica Simon (Kad Merad). un uomo disilluso, forse depresso, che si trova ad insegnare uno strumento difficile come il violino superando incomprensioni e pregiudizi.
Il regista ci spiega come è nato il progetto del film: “Una notte, il mio co-sceneggiatore, Guy Laurent, mi ha chiamato per dirmi che aveva visto un reportage su dei ragazzi che suonavano musica classica nei quartieri. Guy ha lavorato spesso nel cinema commerciale, ma ha pensato subito a me per realizzare un film su questo soggetto. C’era effettivamente una risonanza tra quello che facevano questi bambini e il mio percorso personale. Ho preso contatti con i responsabili di Démos, un programma d’educazione musicale e orchestrale con una vocazione sociale, supportato dalla Filarmonica di Parigi – ai quali ho portato il mio documentario, dopodiché mi hanno aperto le porte affinché io potessi seguire i gruppi dei ragazzi. Parallelamente, mi sono interessato alle classi orchestrali, dirette dall’Educazione Nazionale. Da Gennevilliers a Parigi passando per Asnières, ho cominciato a sviluppare dei legami con questi ragazzi. Man mano che li osservavo nel loro lavoro con i professori, una storia si è creata nella mia testa, e un ragazzo che suonava il violino che avevo incontrato a Belleville mi ha ispirato il personaggio di Arnold. Non è solo una questione di cinema e di realtà sociale. In La mélodie c’è il desiderio di tradurre in immagini e parole una devozione alla vita e all’arte di fronte a situazioni difficili (miseria, violenza, abbandono, integrazione) dalle quali ognuno cerca di fuggire, e la voglia di affrontare le disillusioni della vita per meglio esprimere i motivi della speranza. Quindi l’idea non era quella di unire la realtà ad un programma in particolare? No, perché queste iniziative, promosse dall’Educazione Nazionale o dalla Filarmonica di Parigi, hanno un fine comune: permettere ai bambini dei quartieri di emanciparsi attraverso la musica classica. E quello che mi interessava qui, non era tanto la finalità del progetto, ma il percorso che questi ragazzi seguono, il loro impegno quotidiano e il modo in cui possono raggiungere i loro obiettivi.

Ha lasciato spazio all’improvvisazione? Certo. Abbiamo chiesto a un’insegnante di lavorare con i bambini sulla sceneggiatura perché loro comprendessero perfettamente la natura dei loro personaggi e il loro ruolo nella storia. Una volta capito questo, ho deciso di decostruire ciò che avevo scritto per ritrovare, sul set, una certa freschezza e naturalezza. A mano a mano, comprendevo le loro difficoltà, le loro storie personali e quello che vivevano insieme durante le riprese. Per quello che riguarda il mio lavoro di regista, ho proceduto nella stessa maniera. Poiché fin dall’inizio avevo un’idea precisa di quello che avrei filmato, mi sono consultato con Jérôme Alméras, il mio operatore, per mettere tutto in scena. Una volta arrivati gli attori, ho avuto il tempo e la libertà di cercare con loro dei dettagli che riguardavano l’interpretazione. E fin da subito l’idea è stata quella di decostruire le scene per ritrovarne l’essenza e ricostruirle con più sincerità.
Ci sono pochi dialoghi nel film. Le interazioni passano soprattutto attraverso la musica e gli sguardi. Che cosa ha motivato questa scelta? La sobrietà è stata la parola “chiave” di tutto il progetto. Con un soggetto come questo, avremmo potuto ritrovarci facilmente con dei dialoghi esplicativi, o peggio, cadere nel patetico e banale. Era quindi necessario mantenersi sobri nella messa in scena, nelle interpretazioni, nella musica, tutto! Era necessario essere anche attenti a lasciare lo spazio al sotto testo del film, ai temi della paternità, della cultura, dell’integrazione… Conscio dell’inclinazione naturalista di questo progetto, ho voluto, per equilibrare il film, mantenere un’immagine elegante. Questa mi è sembrata la scelta migliore per trasmettere delle emozioni. A volte, in questo genere di cinema, si evita una rappresentazione troppo bella e illuminata per non inquinare l’occhio dello spettatore, ma qui abbiamo preferito sovvertire le regole e sposare la sobrietà della storia ad un’identità visivamente affermata, a volte contrastata, a volte dolce. La mia idea è stata di realizzare un film che somigliasse ad un racconto urbano, è per questo che abbiamo girato a orari precisi e secondo certe condizioni meteo. È per questo motivo, quasi politico, che abbiamo girato a Parigi e non nel 93esimo arrondissement”.
Kad Merad (interprete del ruolo di Simon Daoud): “Simon è tutto il contrario di me in effetti, ma questo è il mestiere dell’attore. Bisogna sbarazzarsi delle proprie abitudini e dimenticare la propria natura per lasciare entrare il personaggio. Ed è questo l’aspetto difficile in questo genere di ruoli, ti obbliga ad instaurare una relazione con te stesso. Si tratta di un bellissimo lavoro di introspezione, come la meditazione. Ed è anche rilassante. La sfida però si svolge altrove: bisogna essere resistenti e accettare di girare tantissime scene per riuscire ad ottenere quella buona. A volte abbiamo dovuto ripetere alcune scene anche venti volte prima che Rachid ci dicesse che ci stavamo avvicinando a quello che voleva. E, alla fine, la montatrice mi ha confermato che la maggior parte delle riprese scelte sono state le ultime girate.
Nel film, Simon dice ai bambini che “l’importante è divertirsi”. È stato così anche durante le riprese? L’essenziale non è divertirsi ma essere soddisfatti. Possiamo divertirci sulle commedie perché si è lì per quello, ma con un personaggio chiuso e bloccato come Simon, che è necessario interpretare con trasparenza e con sobrietà, è impossibile. Con Rachid, il piacere l’ho trovato nell’intenzione di fare un buon lavoro.
Laurent Bayle (direttore della Filarmonica di Parigi): “Alla lettura della sceneggiatura, ho costatato che la storia di La Mélodie avrebbe potuto sensibilizzare molte persone nei confronti di quello che facciamo. Quando abbiamo creato delle orchestre di bambini nei quartieri svantaggiati, le questioni sociali che abbiamo dovuto affrontare erano le stesse affrontate nel film. Queste questioni mi sembravano essere prioritarie per rinforzare e dare unità al nostro paese.
Quali sono i vantaggi che un bambino può trarre dall’uso di uno strumento musicale? Lo strumento ha molti valori. Imponendo la coordinazione tra la destra e la sinistra, è innanzitutto un ottimo vettore per lo sviluppo cognitivo. Un bambino agitato potrà così imparare a essere più posato. Inoltre, l’insieme musicale invita a scoprire la collettività. Impone una certa attenzione e un ascolto. Infine, se lo strumento può essere considerato come il prolungamento del corpo umano, è anche un oggetto che è necessario domare. Quando il bambino realizza di essere in grado di produrre dei suoni, questo gli dona una certa confidenza, una fierezza. Lei opera da molti anni nella democratizzazione della musica classica. Come porta avanti questa lotta? Si tratta di un problema molto complicato. Il modello è antico, storico, e rivela degli aspetti estremamente conservatori. Alla parola “classica” sono associate le parole “saggezza” o “élite” e questo tende ad escludere una parte della popolazione. Se i giovani preferiscono l’hip-hop a Beethoven, è perché la società, pensando che essa non sia per loro, non offre delle rappresentazioni accessibili della musica classica. Per rimediare al problema, bisogna aprire delle sale da concerti classici e altre forme di musica come il jazz o l’elettronica e pensare ad eventi come i concerti del week-end che permettano agli spettatori di essere parte integrante. È quello che facciamo alla Filarmonica di Parigi. La questione principale da porsi è “cosa ne sarà della musica classica tra 30 o 50 anni?”. Se seguiamo il modello americano, l’insegnamento della musica classica e di altre materie giudicate elitarie saranno sacrificati a favore di ciò che sarà invece fondamentale per alleviare le tensioni dovute alle disuguaglianze sociali. Per sfuggire a questo, bisognerebbe iniziare i bambini alla musica classica nei loro primi anni. Così non sarà più considerata come un genere di nicchia. Ma quando si vede il poco nteresse che la classe politica (considerata come un élite) rivolge alla musica classica, si capisce che il male è abbastanza profondo. E le conseguenze si ripercuotono sulla nostra nazione”.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *