"Bamboccioni" per scelta, di chi? di Ludovica Bedeschi

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Qualche anno fa ho sentito utilizzare questo termine, “bamboccione” per l’appunto, in riferimento
ad una specifica generazione di giovani alla quale appartengo io stessa. E mi sono interrogata,
quasi con ironia, sull’effettiva opportunità di questa parola.
A coniare questo temine, o meglio ad associarlo alla generazione attuale di età compresa tra i 30 e
i 40 anni, fu il nostro al tempo Presidente del Consiglio (Mario Monti).
Lungi dal volere entrare in una sterile polemica di matrice politico-ideologica, vorrei considerare
questo termine sotto l’aspetto più psicologico del termine.
La generazione degli attuale 35enni (per tenersi nella media) é forse una delle generazioni che ha
maggiormente risentito del cambiamento, ormai innegabile, di molte “vecchie certezze”. I loro
genitori hanno vissuto gli anni d’oro della ripresa economica italiana, e hanno potuto contare su
punti fermi lavorativi, che garantivano pensioni, mutui, e possibili accantonamenti.
Sulla base di questo modello, molti degli attuali 35enni, vivono la frustrazione di non vedersi
realizzati, o quanto meno stabili, al pari dei loro genitori alla loro stessa età. Passano anni a
completare la formazione per poter essere sempre più competitivi, in un mondo del lavoro
purtroppo che ormai non segue più le orme del passato, e che affoga nella burocrazia.
Visto l’aumento considerevole del costo della vita degli ultimi 13 anni (arrivo dell’euro ), e l’assoluta
impossibilità di fare programmi a lungo termine data dalla precarietà del panorama lavorativo, molti
giovani non possono uscire di casa della famiglia. Tocco personalmente con mano, con i miei
giovani pazienti, le loro difficoltà estreme nel poter conseguire obiettivi di benessere psicologico
che sono irrimediabilmente legati alle loro condizioni lavorative.
Allora ecco quindi che si trovano ingegneri nei call-center di qualche prestigiosa compagnia
telefonica, o brillanti ricercatori che servono ai tavoli di una pizzeria. Questo scenario così amaro é
stato sapientemente messo in scena in due film molto gradevoli (“Tutta la vita davanti” e “Smetto
quando voglio”) entrambi italiani, in cui vengono messi in luce i grandi punti critici del lavoro
giovanile in Italia, dei quali consiglio la visione.
Da un punto di vista psicologico questa realtà attuale, non può che aggravare il senso di precarietà
che ormai sembra connotare tutti gli aspetti della vita dei “giovani”. Tutto ha una scadenza, nulla é
più realmente posseduto (auto, abitazioni, cellulari etc).
Si perde così la capacità di poter programmare la propria vita un po’ più a lungo termine, e si
rischia di cadere nella trappola del “mordi-e fuggi” , perché pare ormai questo il leit-motiv di questi
tempi.
Sembrerebbe quindi che essere “bamboccioni” non sia sempre una scelta di comodità
autoimposta.
Molti ragazzi che a 35 anni si vedono ancora costretti a dividere la loro intimità, o gli spazi
personali con i propri genitori, tendono a essere più inclini alle relazioni insoddisfacenti e a
deprimersi maggiormente.
Potrebbe sembrare una condizione molto difficile da modificare, ma in realtà non é per tutti così.
Anche se con fatica, coloro i quali hanno conseguito una formazione solida e ben preparati,
spesso riescono a trovare la loro collocazione all’interno del mondo del lavoro.
L’autostima, che spesso dopo tante delusioni potrebbe vacillare, é basilare per poter perseverare
nei propri obiettivi. Ambire a una vita soddisfacente e dignitosa é un diritto di ciascuno di noi.
Ed é altrettanto vero ricordare, che il nostro valore personale prescinde da ciò che facciamo per
guadagnarci da vivere.

Dott.sa Ludovica Bedeschi psicologa-psicoterapeuta

foto tratta dalla serie tv “un weekeend da bamboccioni “




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