Kazuya Hiraide – Quante volte siamo rimasti a bocca aperta innanzi alla montagna ed alla sua bellezza. Quante volte abbiamo pensato all’atmosfera dei monti, delle storie che potrebbero raccontare ma anche dei pericoli che sono celati tra quelle alte vette. A tal proposito ecco le dichiarazioni di Kazuya Hiraide, alpinista giapponese, vincitore di tre Piolet d’Or.
Quest’uomo discreto, poco conosciuto nonostante abbia vinto il più alto riconoscimento nel mondo dell’alpinismo – non concepisce la montagna senza una buona dose di esplorazione, senza scoperta. Per lui, la vetta perfetta è quella che non è ancora stata calpestata da nessuno. “Un tentativo fallito di scalare una vetta inviolata di 7.000 metri come lo Shispare è molto più gratificante che scalare l’Everest senza ossigeno supplementare, non c’è paragone”, dice in un’intervista rilasciata alla testata spagnola Lavanguardia. Eccovi alcuni estratti:
“L’importante per me è aprire nuove vie e tutto ciò che ottengo nel raggiungere la cima compensa la sofferenza – afferma Hiraide – La montagna è una maestra che mi insegna molte cose e mi aiuta a crescere come persona, ho perso molto, ho perso una compagna, Kei, ma ho appreso molto. Non c’è avventura senza rischio.” Ricordiamo che la prima salita della parete sud-est del Kamet (7.756 metri), in India, effettuata da Hiraide e Kei Taniguchi, valse loro il primo Piolet d’Or, nel 2009. Taniguchi fu la prima donna a ricevere il prestigioso riconoscimento.
“Ora scalo in modo più sicuro rispetto a quando ero giovane e non avevo una famiglia. Ma non è solo perché ho dei figli, è per l’esperienza: più montagne salgo, più mi rendo conto dei rischi. Quando ero giovane correvo molti rischi ma non ne ero consapevole, gli anni mi hanno reso più sensibile ai pericoli e più sicuro, per questo sono ancora vivo. Individuo i pericoli sempre più precocemente.”
Kazuya Hiraide racconta così il suo avvicinamento all’alpinismo…. “Facevo atletica, uno sport in cui dovevo essere il primo a raggiungere il traguardo, essere il migliore rispetto agli altri. Ma a 20 anni mi sono reso conto che, sebbene fossi molto forte in uno stadio, come persona non ero così forte, ero inesperto, conoscevo poco la natura, così ho pensato di cercare un’attività in cui non ci fosse un obiettivo regolamentato ma in cui avessi la responsabilità di prendere le decisioni, e ho pensato che la montagna potesse darmi delle risposte.”
“Lo Shispare (7.756 metri, in Pakistan), la cima che mi ha regalato il secondo Piolet d’Or al quarto tentativo, mi ha insegnato molto. Tutto è iniziato quando avevo 23 anni, in Pakistan. A casa ho costruito un’enorme mappa del Karakorum mettendo insieme diverse mappe piccole, così grande che era grande come due tavoli. Ho segnato le cime e le vie che erano già state percorse e ho individuato gli spazi vuoti dove nessuno era andato. Nel 2002 sono andato in Karakorum per capire come mai nessuno avesse scalato quelle cime. Forse nessuno se ne era accorto? Per me è stato un tesoro. Così ho scoperto le vie del secondo e terzo Piolet d’Or, la parete nord-est dello Shispare e la parete sud del Rakaposhi.”
Lo Shispare è stato un duro progetto. “Era la montagna irraggiungibile. La prima volta, nel 2007, pensavo che non avrei mai raggiunto la vetta se non avessi rischiato la vita. Ero giovane e non riuscivo ad accettare la sconfitta; tuttavia, nel 2012, durante il secondo viaggio, quando sono tornato ho pensato il contrario, non c’è cima che valga una vita. Ho avuto la triste esperienza di perdere dei compagni, la cosa più importante che la montagna ti insegna è a dare valore alla vita, a proteggerla. Nel 2013, al terzo tentativo, non ce l’ho fatta nemmeno io e quando sono tornato ho pensato che non sarebbe successo nulla se nella mia vita ci fosse stata una vetta che non ero in grado di scalare. Mi sono arreso. Due anni dopo Kei ha perso la vita sul Mt. Kuro, fu difficile per me riprendermi e accettare questa perdita, era una compagna molto importante con la quale avevo vissuto molte esperienze per più di dieci anni. Poi ho pensato che raggiungere la vetta dello Shispare mi avrebbe aiutato a superare il dolore, la morte di Kei mi ha motivato a fare il quarto tentativo, nel 2017. Quella sfida era un modo per superare la sua morte. Sono arrivato in cima, ma a quel punto non mi sono reso conto dell’insegnamento della montagna, era sul mio prossimo progetto, sul Rakaposhi (terzo Piolet d’Or), nel 2019. È stato lassù che ho capito gli insegnamenti dello Shispare. La montagna risponde a domande esistenziali, come prendere la vita e come affrontare la morte. La morte dei propri cari sembra essere la fine, ma è la linea di partenza per quelli di noi che rimangono qui… Sì, è stato un momento di soddisfazione, non solo per la vetta, ma anche perché ho sentito la tristezza della perdita trasformarsi in un bel ricordo. Kei vive nel mio cuore.”
“Il successo non è la vetta ma la scoperta di vie inesplorate, anche se si deve rinunciare, tutto ciò che si è imparato è un successo. Ciò che ottengo dall’esperienza maturata su vie nuove e difficili è molto più grande della vetta. Se la via è facile quello che si ottiene è ben poco, i tentativi falliti sullo Shispare sono più gratificanti dell’Everest senza ossigeno supplementare, molto di più, non c’è paragone.”
Prossimo progetto: il K2 parete ovest
“La situazione sul K2 è cambiata molto in dieci anni, ora ci sono vie dove salgono 200 persone al giorno, quindi comincio ad avere dei dubbi. Anche se facessi una nuova via dovrei stare al campo base con molte persone, non so se riuscirei a perseguire lo stile di alpinismo che voglio fare. Ho pensato al K2 quando ho conquistato lo Shispare perché cerco sempre obiettivi più difficili. Ma ho dei dubbi, non ho ancora deciso. Sono nell’ultima fase della mia carriera, ma il K2 non sarà la mia ultima montagna, ho tanti sogni nel cassetto, una lista segreta di vette. Nel 2023 tenterò un settemila in Pakistan attraverso una nuova via, che ho scoperto quest’estate.
“Gli esseri umani tendono sempre a scegliere la via facile, ma io voglio il contrario, la via difficile, che è quella che ci fa crescere come persone.”