Maria Goretti – Il 6 Luglio 1902 una bambina di 12 anni veniva uccisa perchè si era ribellata ad uno stupro. Una 12 enne coraggiosa e degna del massimo rispetto che riposa nella Chiesa che porta il suo nome a Nettuno, una località del Lazio nota soprattutto per lo sbarco alleato durante la seconda guerra mondiale.
Fin da subito Santa Maria Goretti fu presa da esempio Lo stesso regime fascista volle favorire la nascita di un’icona locale cara ai contadini delle paludi bonificate. Anche dopo la caduta del fascismo e della monarchia sabauda, negli anni cinquanta, l’immagine di Maria Goretti rimase popolare anche presso i non cattolici, al punto che il giovane dirigente comunista Enrico Berlinguer indicò nel coraggio e nella tenacia della piccola santa un esempio da imitare per le giovani militanti comuniste, Nel 1953, il leader del Partito Comunista Italiano Palmiro Togliatti propose Maria Goretti come modello di vita alle giovani comuniste facenti parte della FGCI, Federazione Giovanile Comunista Italiana. A partire dagli anni settanta, in periodo di affermazione del femminismo, la figura di Maria Goretti fu pesantemente attaccata, in quanto ritenuta dai non cattolici troppo legata a una visione tradizionale della donna, casta, votata alla maternità e al lavoro domestico. Alcune attiviste per i diritti delle donne, all’uscita di un libro di Guerrieri sula Santa che destò forti polemiche, affermarono che “Maria Goretti è il modello che ci hanno dato, quello che serve alla società per misurare la nostra colpa: la donna deve resistere fino alla morte, altrimenti è consenziente, cioè è complice del proprio stupratore” e Povera Santa, povero assassino rimaneva a riferimento nel tempo di un modello della donna, duramente contestata in tutti i casi di violenza contro le donne. Parole che non hanno bisogno di essere commentate!
Ma torniamo alla storia della piccola Maria. Maria Goretti, terzogenita di sette figli, nacque a Corinaldo, in provincia di Ancona, il 16 ottobre 1890, da Luigi Goretti e da Assunta Carlini, poveri ma soprattutto onesti e religiosi contadini, che vivevano coltivando un piccolo appezzamento di terra. Fu battezzata entro 24 ore dalla nascita nella Chiesa parrocchiale di S. Pietro con i nomi di Maria e Teresa. A 6 anni, il 4 ottobre 1896, nella stessa Corinaldo, insieme col fratello Angelo, ricevette la Cresima da Monsignor Giulio Boschi, vescovo di Senigallia.
Con l’aumentare dei nati della famiglia, il terreno di Corinaldo si dimostrò insufficiente a provvedere al suo sostentamento. Perciò i Goretti decisero di lasciare il loro paese, al quale erano tanto affezionati, e, verso la fine del 1896, si trasferirono a Paliano, in provincia di Frosinone, stabilendosi in località Colle Gianturco, dove presero a colonia il podere Selsi.
Vi restarono circa tre anni. Dapprima lavorarono da soli; poi, durante il terzo anno, si unirono in società con Giovanni Serenelli, il quale aveva due figli: Gaspare, che presto si separò, e Alessandro. Le due famiglie dividevano lavoro e raccolto; però vivevano ognuna per conto proprio. Nel febbraio del 1900 sia i Goretti che i Serenellì da Colle Gianturco scesero a Ferriere di Conca, a circa undici chilometri da Nettuno, avendovi trovato lavoro presso il Conte Attilio Mazzolenì. Fu loro assegnata una abitazione, che aveva nel mezzo una cucina per uso comune e ai lati tre stanze per ciascuna famiglia. Vi si accedeva dalla strada con una scala in muratura, che terminava, in alto, in un pianerottolo, sul quale si apriva la porta d’ingresso. Attualmente una delle stanze dei Serenelli non esiste più, essendo stata demolita per allargare il vano centrale.
Il clima dell’Agro Pontino, non fu salutare per Luigi Goretti, il quale, colpito da malaria e, successivamente, da tifo, meningite e polmonite, morì il 6 giugno 1900, lasciando nella desolazione la povera Assunta, alla quale, prima di spirare, consigliò di ritornarsene a Corinaldo. Assunta, temendo che nel paese di origine non avrebbe potuto guadagnare a sufficienza per mantenere i suoi sei figli, decise a malincuore di rimanere a Ferriere e di lavorare ancora in società coi Serenelli. Maria, sensibile e affettuosa, soffrì molto per la morte del babbo. Tuttavia con tenerezza si mise a confortare la mamma. Le diceva: “Coraggio, mamma! Che paura avete? Noi ora ci faremo tutti grandi e poi… Dio provvederà”.
La piccola Maria all’epoca della perdita del padre, nonostante avesse circa dieci anni, non aveva ancora fatto la sua Prima Comunione. Ne aveva un gran desiderio e lo manifestava a sua Madre, ma lei, presa dal lavoro e sempre a corto di denaro, la rimandava a tempi migliori. Dì tanto in tanto avvenivano tra le due dialoghi come questo: “Mamma, quando farò la Prima Comunione?… Io voglio ricevere Gesù.” E la madre: “Cuore mio, come la puoi fare, se non sai la dottrina? E poi non ci sono soldi per il vestito e non c’è un minuto di tempo libero.” “Ma così non la faccio mai. Io non voglio stare senza Gesù”. “Figlia mia, chi ti insegna la dottrina?”
“Dio provvederà. A Conca c’è Elvira Schiassi, la guardarobiera dei Signori Mazzoleni, che sa leggere; io, sbrigate le faccende, andrò da lei. La domenica viene qui Don Alfredo Paliani e lui pure me la insegnerà”. Vinse la figlia. In undici mesi imparò il catechismo e il 16 giugno 1901, la domenica dopo l’ottava del Corpus Domini, insieme con il fratello Angelo ricevette Gesù per la prima volta dalle mani di Padre Basilio dell’Addolorata, Passionista, che dal 1899 operava nelle Paludi Pontine. Il vestito bianco le fu comperato dalla mamma, che volle anche metterle i suoi orecchini e la sua collana da sposa; il cero e le scarpine le furono regalate; il velo le fu prestato. Per tutto il giorno Maria rimase molto raccolta. Quando rientrarono in casa, la mamma le disse: “Ora dovrai essere più buona, perché hai ricevuto Gesù”. Ed ella prontamente rispose: “Si, mamma, sarò sempre più buona”. E mantenne la promessa.
I Goretti, profondamente cristiani, si preoccuparono di dare un’educazione religiosa e sana ai loro figli. La mamma, in particolare, benché analfabeta, cercò sempre di trasmettere loro il messaggio evangelico, parlava con loro e li guidava affinché nei loro cuori ci fossero solo buoni sentimenti, insegnava loro i primi elementi del catechismo e le preghiere. Vigilava di continuo, affinché si comportassero bene, li portava con sé alla messa festiva, tutti i giorni recitava il Rosario con loro.
Maria, che ascoltava sempre i consigli della mamma, dopo la sua Prima Comunione si impegnò ancora di più nella via della bontà. Volle essere anzitutto l’angelo consolatore della mamma. Le infondeva coraggio e fiducia nella Provvidenza, le ubbidiva in tutto, cercava di alleggerirle il lavoro, pensando alla pulizia della casa, alla preparazione dei pasti, alla custodia dei fratellini, al rammendo delle vesti.
Assunta disse più volte che Maria (Marinetta, come la chiamava lei) le obbedì sempre e mai le mancò di rispetto; che non si ribellò mai ai richiami per errori involontari, e che fu sempre umile e servizievole. Ma anche verso i fratellini fu di una tenerezza squisita. Li assisteva in tutte le loro necessità, li spronava al bene, insegnava loro le preghiere e tutti i giorni, al mattino e alla sera, faceva loro recitare tre Ave Maria. E ancora: “Voleva bene ai fratellini e li correggeva nei piccoli difetti. Li sgridava, quando mi disubbidivano… Essi la ripagavano di uguale affetto tanto che, quando li sgridavo o battevo io, ricorrevano a lei”. Era molto pia e desiderava ardentemente ricevere il “Pane degli Angeli” (la comunione). Purtroppo però, nell’anno che trascorse dalla sua Prima Comunione alla morte, non poté accostarsi che quattro o cinque volte alla Mensa Eucaristica. I motivi furono soprattutto due: ella credeva che fosse necessario confessarsi prima di accedere alla Comunione ed il sacerdote, che andava a celebrare a Conca, non aveva la facoltà di rimettere i peccati; inoltre la chiesa di Conca talvolta, in estate, veniva chiusa e per comunicarsi bisognava andare un pò troppo lontano, o a Campomorto o a Nettuno. Questa impossibilità di partecipare al Banchetto Eucaristico fu un grande dispiacere per lei, che amava tanto il suo Gesù.
Il giorno della Prima Comunione, uscita appena di chiesa, domandò alla Signora Teresa Cimarelli, sua vicina di casa: “Teresa, quando ci torniamo?”. E alla vigilia della sua morte, quando già stava per essere aggredita, supplicò ancora la stessa Cimarelli: “Teresa, domani andiamo a Campomorto? Non vedo l’ora di fare la Comunione!”. Che dire del suo amore verso la Madonna? La mamma disse: “Era molto devota a Lei. Recitava sempre in suo onore il rosario e lo faceva recitare anche ai fratellini. Ornava con fiori la Sua immagine. Voleva che anche i fratelli ne fossero devoti”. Possiamo aggiungere che dopo la morte del babbo, alla corona recitata in comune, aggiunse ogni giorno un’altra corona in suffragio del caro padre. Maria era una bella fanciulla. Alta circa un metro e mezzo, appariva molto sviluppata per la sua età. Aveva i capelli castani, il volto abbronzato, lo sguardo mite e profondo. Tuttavia era riservatissima e cercava di nascondere il suo volto con un piccolo scialle. Fuggiva la compagnia di altre ragazzine un pò troppo disinibite. Una volta, tornando dalla fontana riferì alla mamma: “Quanto parla male la tale!”. Allora la mamma: “E tu perché sei stata a sentirla?”. E lei: “Finché non si riempiva la brocca come dovevo fare?”. La mamma: “Bada di non ripetere quelle parole”. E Maria: “lo, prima di ripeterle, piuttosto mi faccio ammazzare”. Anche l’uccisore depose che Maria non si metteva mai in libertà, neppure in piena estate.
Come disse Pio XII, il 7 aprile 1947, nel suo discorso per la beatificazione di Maria Goretti, a soli dodici anni lei era “un frutto maturo del focolare domestico, ove si prega, ove i figli sono educati nel timore di Dio, nell’obbedienza verso i genitori, nell’amore della verità, nella verecondia e nell’illibatezza; ove essi fin da fanciulli si abituano a contentarsi di poco, ad essere ben presto di aiuto in casa e nella fattoria; ove le condizioni naturali di vita e l’aura religiosa che li circonda cooperano potentemente a fare di loro una sola cosa con Cristo, a crescere nella sua grazia”. Non a caso i vicini e i conoscenti ripetevano a Mamma Assunta: “O Assunta, che angelo di figliuola avete!”.
La fresca bellezza di Maria, per quanto da lei mai ostentata, non sfuggì agli occhi e alla sensibilità di Alessandro Serenelli, di otto anni più grande di lei, il quale era già sviato dalla buona strada a causa delle cattive compagnie e delle letture piene di fatti scandalosi e di volgarità. Egli cominciò a nutrire per la fanciulla un vivo affetto, che, non controllato, degenerò in una cieca e irrefrenabile passione. Ai primi di giugno del 1902 il giovane fece a Maria delle proposte fuori luogo. Ella, inorridita, le respinse e fuggì piangendo. Mentre si allontanava, Alessandro la minacciò: “Se fiati, ti ammazzo”. Dopo qualche giorno egli provò di nuovo, ma fu respinto ancora e con più energia. Confuso e irritato per la resistenza di Marietta, stabilì in cuor suo che la terza volta, se non l’avesse ascoltato, l’avrebbe uccisa. E con fredda premeditazione preparò un punteruolo lungo 24 centimetri. Da quel momento la vita divenne per Maria un vero incubo. Alessandro la trattava con durezza, la rimproverava per ogni sciocchezza e la sovraccaricava di lavoro. Ella, da parte sua, evitava di incontrarlo, obbediva in silenzio e si raccomandava incessantemente alla Madonna, stringendo spesso in mano la corona. Più volte, in quel mese terribile, ripeté alla mamma: “Mamma, per carità, non mi lasciate sola”. Glielo disse anche alla vigilia della tragedia. Ma la povera mamma purtroppo non riuscì ad intuire il terrore che si nascondeva dietro quelle parole, e Maria, sola e indifesa, andò incontro al martirio.
Sono le prime ore pomeridiane del 5 luglio 1902. Le famiglie Serenelli e Goretti sono occupate con la trebbiatura delle fave. Sui covoni, distesi per terra, circolano due carri, trainati ciascuno da un paio di buoi. Uno dei carri è guidato da Angelo Goretti, l’altro da Alessandro. Altri tre, dei figli di Assunta, si divertono ad osservare e a salire di tanto in tanto sui carri. Giovanni Serenelli, il padre di Alessandro, è disteso su una balla di fieno ai piedi della scala di casa, perché malato di malaria. Maria è sul pianerottolo, in alto, occupata a rammendare una camicia per ordine di Alessandro e, accanto a lei, Teresina di appena due anni dorme sopra una coperta. Assunta è sull’aia, intenta al suo lavoro.
All’improvviso scoppia la tragedia. Alessandro, che ha già preparato il suo piano, salta giù dal suo carro e, fingendo di dover salire un momento in casa per cose urgenti, dice ad Assunta: “Volete guidare un pò voi, finché vado di sopra un minuto?”.
La donna, non sospettando nulla, acconsente volentieri e sale tranquillamente sul carro con il figlio. Alessandro percorre in breve i quaranta metri di distanza, entra in camera, pone il punteruolo sulla madia della cucina e, aprendo adagio l’uscio, ordina a Maria di entrare in casa. Ella non risponde né si muove.
“Allora – confessò in seguito lo stesso Alessandro – l’acciuffai quasi brutalmente per un braccio e, poiché faceva resistenza, la trascinai dentro la cucina, che era la prima camera dove si entrava, e chiusi, con un calcio, la relativa porta d’ingresso con il solo saliscendi orizzontale, applicato all’interno. Essa intuì subito che volevo ripetere l’attentato delle due volte precedenti e mi diceva: No, no, Dio non lo vuole. Se fai questo vai all’inferno. Io allora, vedendo che non voleva assolutamente accondiscendere alle mie brutali voglie, andai sulle furie e, preso il punteruolo, cominciai a colpirla sulla pancia, come si pesta il granturco… Nel momento che vibravo i colpi, non solo si dimenava per difendersi, ma invocava ripetutamente il nome della madre e gridava: Dio, Dio, io muoio, Mamma, mamma! Io ricordo di aver visto del sangue sulle sue vesti e di averla lasciata mentre essa si dimenava ancora. Capivo bene che l’avevo ferita mortalmente. Gettai l’arma dietro il cassone e mi ritirai nella mia camera. Mi chiusi dentro e mi buttai sul letto”. Le ferite all’addome sono così profonde che una parte dei visceri fuoriesce. Tuttavia Maria trova la forza di alzarsi, di aprire la porta e di chiamare Giovanni: “Giovanni, venite su, ché Alessandro mi ha ammazzata”.
Più tardi, all’ospedale, i medici riscontreranno sul suo corpo quattordici ferite con lesioni al pericardio, al polmone sinistro, al cuore, al diaframma, all’intestino tenue, all’iliaca e al mesenterio. La mamma le chiese: “Marietta mia, che è successo, chi è stato?”. Le rispose: “É stato Alessandro. Mi voleva far fare cose cattive e io non ho voluto”.
La povera Maria è crivellata di ferite e perde molto sangue. Sembra già cadavere, ma resterà in vita per altre ventiquattro ore. Un vero miracolo! Così fu possibile raccogliere notizie sicure sul suo martirio. Intanto i Cimarelli si prodigano con ammirabile sollecitudine per prestarle soccorso. Antonio e Teresa restano accanto ai Goretti; Domenico corre a Conca per narrare l’accaduto al Mazzoleni; Mario invece va a Nettuno per avvertire i Carabinieri e per chiamare il medico condotto Bartoli. Alessandro Serenelli viene portato dai Carabinieri alla caserma di Nettuno. Maria è trasportata in autoambulanza all’ospedale Fatebenefratelli della stessa città. L’accompagna la mamma. Il viaggio è un vero calvario. È stato loro proibito di parlare. Tuttavia la madre, intuendo le sofferenze della figlia, non può fare a meno di domandarle: “Ci stai male, figlia?”. E lei, per non rattristarla di più, risponde di no, però poco dopo domanda a sua volta: “Mamma, ci sta molto per arrivare?”. La madre le assicura che manca poco. All’ospedale arrivano alle venti. I medici disperano di salvare la ragazza, ma decidono di tentare, operandola. In pochi istanti ella si confessa e va sotto i ferri. L’operazione dura due ore ed è dolorosissima, perché non è possibile addormentarla. Terminato l’intervento, è concesso alla mamma di avvicinarla. “Appena mi vide – riferirà poi Assunta – mi chiamò con accento espressivo: «Mamma!». Io, avvicinandomi al suo lettino, le chiesi come stesse ed essa mi rispose: «Bene, mamma». Poi volle notizie dei fratellini e delle sorelline e mi domandò se sarei restata con lei la notte. Avendole risposto che il dottore non lo permetteva, mi disse: «E dove vai tu a dormire?». Io la rassicurai. Più tardi mi pregò: «Mamma, mi dai una goccia di acqua?». Le risposi che il medico lo aveva proibito; si rassegnò ed ella per venti ore soffrì l’orribile spasimo della sete. La lasciai che era quasi mezzanotte… La mattina, prima dell’orario, potei entrare all’ospedale e, rivedendola, le domandai come stesse. Con voce più fioca che nella sera precedente mi rispose che stava bene. Mi chiese inoltre dove avessi passato la notte. Più volte nella giornata mi domandò dei fratellini, che essa desiderava rivedere. Con me c’erano ad assisterla un’infermiera e due Suore dei Poveri. Verso le dieci venne il dottore per curarla. Nel frattempo arrivarono anche i Carabinieri per sottoporla all’interrogatorio”. Intanto le vengono suggerite delle preghiere ed ella le ripete con fervore. Bacia più volte il Crocefisso e l’immagine della Madonna. L’Arciprete di Nettuno, Monsignor Temistocle Signori, nota in lei un sensibile peggioramento e pensa di amministrarle l’Eucarestia. Per disporla, le parla del perdono, concesso da Gesù ai suoi carnefici. Poi le domanda: “Maria, volete perdonare anche voi al vostro uccisore?”. Ella prontamente risponde: “Sì, per amore di Gesù, gli perdono e voglio che venga in paradiso con me”. Fatta la Comunione, china il capo sul petto e rimane a lungo raccolta, in intimo colloquio con il suo Gesù. Riceve anche l’Estrema Unzione.
Il Cappellano dell’ospedale le propone di iscriversi all’associazione delle Figlie di Maria ed ella si dichiara felice di poterlo fare. Le viene posta al collo la Medaglia benedetta e la ragazza non finisce più di baciarla.
Su proposta dei Carabinieri, la mamma le chiede se il Serenelli l’avesse infastidita anche altre volte ed ella rivela che circa un mese prima il giovane aveva tentato due volte di farle violenza. Allora Assunta, turbata e rattristata, esclama: “Amore mio, perché non me lo hai detto, che almeno non facevi questa morte?”. E Maria, scusandosi, risponde: “Mamma, egli giurò che, se l’avessi detto, mi avrebbe ammazzata… intanto mi ha ammazzata lo stesso”.
Le condizioni della fanciulla si aggravano rapidamente di ora in ora, sia per le emorragie subite, che per la peritonite settica prodotta dalle ferite all’addome. È debolissima e cade spesso in delirio. Si vede talvolta sotto la minaccia del pugnale e grida: “Che fai, Alessandro? Tu vai all’inferno. È peccato, è peccato”. Talvolta invece si crede stesa sul pavimento e supplica: “Portami a letto; voglio stare più vicino alla Madonna”. Allude alla cara immagine, che tiene appesa sul suo letto. In un momento di lucidità invoca: “Mamma, babbo”. Assunta abbassa lo sguardo ed ella, temendo di averla rattristata con il ricordo del padre defunto, le dice: “Perdonami, mamma”. Allora la mamma, quasi porgendole l’estremo addio, dolcemente le sussurra: “Marietta, prega per noi… perdona tutti… raccomandati al Signore”. Si baciano.
Il delirio si fa più frequente. Ad un tratto esclama: “Che bella Signora!”. E come se notasse della incredulità nei presenti, aggiunge: “Possibile che non la vedete? Guardate! È tanto bella, piena di luce e di fiori”. Infine si fa preoccupata in volto e, quasi per chiedere aiuto, invoca: “Teresa!” e si abbatte sui cuscini. Il suo calvario è finito. Sono le 15:45 del 6 luglio 1902.
Assunta col cuore stretto in una morsa di dolore torna in famiglia. Racconterà più tardi: “A sera inoltrata io ritornai a Ferriere dai miei figliuoli, che si trovavano in casa Cimarelli, dove rimasi, senza mettere più il piede nell’abitazione di prima, fino a quando non mi trasferii definitivamente a Corinaldo”.
Non appena Maria ebbe chiuso gli occhi alla luce del sole, ci fu nel popolo una esplosione di entusiasmo: “È morta una santa”, “Marietta è una martire”, “Coraggio, Assunta, vostra figlia è già in cielo”.
I funerali furono una vera apoteosi. Vi partecipò una folla immensa con associazioni e autorità venute anche da Roma. L’Arciprete Mons. Temistocle Signori elogiò la piccola martire in due commoventi discorsi. “La Tribuna” del 7 luglio fece conoscere all’Italia intera la tragica fine di Maria, mentre “il Messaggero” del giorno successivo ne mise in risalto l’incomparabile eroismo.
Due anni dopo, nel 1904, per iniziativa del giornale romano “La vera Roma”, fu eretto a Nettuno il primo monumento marmoreo a lei dedicato. Nello stesso anno l’avv. Carlo Marini pubblicò la sua prima biografia.
Intanto la fama del suo martirio andava crescendo di giorno in giorno e la sua tomba diveniva meta di numerosi pellegrini. Il 26 gennaio 1929 Assunta fu presente all’esumazione dei resti mortali di Maria, fatta nel cimitero di Nettuno, dove la fanciulla era stata sepolta dopo la sua morte. Essi furono riposti provvisoriamente nella cappella delle Suore della Croce. Il 28 luglio del 1929, presenti la mamma ed altri parenti, il corpo della Santa fu traslato al santuario della Madonna delle Grazie di Nettuno, con l’intervento di una folla immensa. In quella circostanza Mamma Assunta lo diede in dono ai Padri Passionisti perché lo conservassero, e si occupassero della glorificazione della martire nella Chiesa. Fu composto in uno stupendo monumento marmoreo, opera dello scultore Zaccagnini. Lo visitarono innumerevoli personaggi anche prima del trasloco; tra gli altri: Mons. Achille Ratti (il futuro Pio XI) prima di partire Nunzio in Polonia, la Signorina Armida Barelli, circa 1.800 Padri del Concilio Vaticano Il e Paolo VI il 14 settembre 1969.
Nel 1935 la diocesi di Albano, da cui dipendeva la città di Nettuno, chiese ed ottenne di poter iniziare il processo informativo per la causa di Beatificazione. Il 6 giugno 1938 uscì il decreto di introduzione della causa stessa presso la S. Congregazione dei Riti. Postulatore ne fu P. Mauro dell’Immacolata, passionista. Il 4 giugno 1939 si procedette alla ricognizione del corpo. Finalmente, il 27 aprile 1947, Maria Goretti, con dispensa dai miracoli, fu solennemente beatificata in S. Pietro a Roma da S.S. Pio XII, alla presenza della mamma, delle sorelle, Ersilia e Suor Teresa delle Francescane Missionarie di Maria, e del fratello Mariano. Dopo solo tre anni, il 24 giugno 1950, sotto lo stesso Pontefice, ebbe luogo la sua solennissima Canonizzazione. A causa dell’immensa moltitudine (si calcolarono presenti circa 500 mila persone), la cerimonia si svolse in Piazza S. Pietro, il pomeriggio di un sabato. Ancora una volta era presente la mamma, benché anziana e malaticcia, con i figli. Per l’occasione ritornò dall’America il fratello Angelo (Alessandro era deceduto nel 1917 in America). L’aver potuto rivedere dopo 35 anni questo figlio fu una delle più grandi gioie che Mamma Assunta ebbe in quella circostanza, come ella stessa riferì. Il giorno seguente il Papa celebrò un pontificale in S. Pietro in onore dell’angelica fanciulla. Dopo la beatificazione Assunta confermò con atto notarile il dono fatto nel 1929 ai Padri Passionisti, i quali, a loro volta, promisero che avrebbero promosso e curato la canonizzazione della giovane, se ciò fosse stato di gloria a Dio.
Il 26 successivo fu ricevuta ufficialmente in udienza privata da S.S. Pio XII, che, accogliendola, disse: “Ecco la mamma di una martire” e che la intrattenne affabilmente per venti minuti. Era la prima volta che un papa riceveva la madre di una santa. Assunta visse ancora quattro anni. Il 7 ottobre 1954 ricevette l’estrema unzione ed il giorno seguente passò serenamene all’eternità. Aveva compiuto da circa due mesi gli 88 anni.
Per l’intercessione della Santa vengono continuamente operati molti miracoli ma i due scelti per la sua canonizzazione.
1) Il 4-5-1947: guarigione istantanea della Sig.ra Anna Musumarra, da pleurite essudativa e liquido abbondante.
2) L’8-5-1947: guarigione istantanea di Giuseppe Cupo, povero operaio, guarito da grave ematoma al piede destro, causatogli durante il lavoro da un grosso masso precipitato dall’alto.
Dopo le regolari discussioni, i due miracoli furono approvati dal S. Padre l’11-12-1949 e fu fissata la data della canonizzazione per il 24-6-1950.n