Balvano ricorda il giorno dello storico disastro

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Balvano – Il 3 Marzo del 1944 è una data rimasta nella storia del trasporto su rotaia italiano a causa di un grave disastro avvenuto nella località di Balvano.
La tragedia provocò 517 morti, benché le stime siano tuttora oggetto di discussione e il numero potrebbe essere maggiore, arrivando a oltre 600 vittime. Il disastro di Balvano è il più grave incidente ferroviario per numero di vittime accaduto in Italia e uno dei più gravi disastri ferroviari della storia.


Nel primo pomeriggio del 2 marzo 1944, il treno merci 8017 partì da Napoli con destinazione Potenza.
Nella stazione di Salerno, la locomotiva elettrica E 626 fu sostituita da due locomotive a vapore poste in testa al treno, per poter percorrere il tratto che all’epoca (e fino al 1994) non era elettrificato. Il treno arrivò nella stazione di Battipaglia poco dopo le 6 del pomeriggio.
Alle 19:00, il treno 8017 partì dalla stazione di Battipaglia, in direzione di Potenza, trainato dalle due locomotive a vapore FS 476.058 e 480.016 assegnate al deposito di Salerno. Era composto da 47 carri merci e aveva la ragguardevole massa di 520 t.
In origine non era prevista la seconda locomotiva, ma la necessità di spostare la 480 da Battipaglia a Potenza spinse ad aggiungerla in testa al treno per rendere più facile il duro valico tra Baragiano e Tito. Come tutte le locomotive a vapore dell’epoca, entrambe le macchine avevano la cabina aperta e un equipaggio di due persone: un fuochista per spalare il carbone e un macchinista per la condotta.
Sul treno salirono centinaia di viaggiatori provenienti soprattutto dai comuni tra Napoli e Salerno, stremati dalla guerra, che nei paesi di montagna lucani speravano di poter acquistare derrate alimentari in cambio di piccoli oggetti di consumo.
Sul treno erano presenti anche molte donne e alcuni ragazzi. Alla stazione di Eboli alcuni abusivi vennero fatti scendere, ma più numerosi ne salirono alle stazioni successive, fino ad arrivare a un numero di circa 600 passeggeri, molti dei quali dotati di biglietto, nonostante il fatto che il treno fosse composto da carri merci.
Il treno arrivò circa a mezzanotte alla stazione di Balvano-Ricigliano, dove registrò 37 minuti di ritardo per accudienza delle locomotive. Da lì, alle 0:50 del 3 marzo, ripartì per un tratto in pendenza con numerose gallerie molto strette e poco aerate. Sarebbe dovuto arrivare venti minuti dopo alla stazione successiva, Bella-Muro.
Nella galleria “Delle Armi”, dopo movimenti convulsi, il treno si fermò all’interno della galleria.
La galleria è situata tra le stazioni di Balvano e di Bella-Muro Lucano, e si estende per 1.968,26 metri con una pendenza media del 12,8‰ (0,73° di inclinazione) e punte del 13‰.
Il treno si fermò a 800 metri dall’ingresso, con i soli due ultimi vagoni fuori.
La galleria, dotata di scarsa aerazione, presentava già una significativa concentrazione di gas monossido di carbonio a causa del passaggio poco prima di un’altra locomotiva.
Gli sforzi delle locomotive svilupparono a loro volta grandi quantità di monossido di carbonio, facendo presto perdere i sensi al personale di macchina. In poco tempo anche la maggioranza dei passeggeri, che in quel momento stava dormendo, venne asfissiata dai gas tossici che, in assenza di vento, non riuscirono a defluire adeguatamente dalla strettissima galleria.


L’unico fuochista che sopravvisse, Luigi Ronga, dichiarò che il macchinista suo compagno, Espedito Senatore, che guidava la locomotiva di testa tipo FS 480, prima di svenire tentò di uscire dalla galleria.
Invece nella seconda macchina, la 476.058, il macchinista Matteo Gigliano e il fuochista Rosario Barbaro interpretarono la retrocessione del convoglio come una perdita di potenza e cominciarono a spingere. In questo modo, nel momento critico i due macchinisti agirono in modo opposto, il primo per cercare di retrocedere e il secondo spingendo in avanti.
Ciò fu anche conseguenza del fatto che la locomotiva FS 476 fosse di costruzione austriaca e dunque il macchinista conducesse dal lato destro (diversamente dalle locomotive italiane).
Quindi, nei momenti decisivi, i due macchinisti non poterono comunicare rapidamente prima di essere sopraffatti dai gas. Inoltre, a complicare la situazione e a rendere del tutto inamovibile il treno, accadde che il frenatore del carro di coda, rimasto fuori dalla galleria, quando realizzò che il treno stava iniziando a retrocedere, in ossequio al regolamento che imponeva di manovrare il freno manuale, arrestò il treno 8017 inchiodandolo al suo destino.
Purtroppo, a causa della non esemplare attenzione del personale di linea al movimento del treno 8017, solo alle 5:10 il capostazione di Balvano dette l’allarme.
I soccorsi arrivarono ancor più tardi e la situazione apparve subito molto grave, al punto da non poter rimuovere il convoglio a causa dei corpi riversi anche sotto le ruote.
Le cause della tragedia furono molteplici, ma a parte le fatali incomprensioni del personale delle due locomotive, la mancata vigilanza delle autorità competenti fu la causa iniziale, dato che venne tollerato che un treno merci circolasse con circa 700 persone a bordo. Inoltre, per una serie di cause concorrenti, il treno era stato composto con due locomotive in testa, invece che con una in testa e una in coda come nelle composizioni tipiche.
Essendo rimasti fuori dalla galleria gli ultimi due vagoni, aver posto le locomotive separatamente una in testa e una in coda avrebbe potuto quantomeno limitare il bilancio della tragedia, che comunque fu aggravato soprattutto dal ritardo nei soccorsi.
Come dimostrato dalla perizia svolta dalla commissione d’inchiesta sulla tragedia, la presunta scarsa qualità del carbone fornito dal Comando Militare Alleato, tesi circolata con molta insistenza nei decenni, è priva di fondamento.
La catastrofe all’epoca venne attribuita principalmente a: «una combinazione di cause materiali, quali densa nebbia, foschia atmosferica, mancanza completa di vento, che non ha mantenuto la naturale ventilazione della galleria, rotaie umide, cause che malauguratamente si sono presentate tutte insieme e in rapida successione.
Il treno si è fermato a causa del fatto che scivolava sulle rotaie e il personale delle macchine era stato sopraffatto dall’avvelenamento prodotto dal gas, prima che avesse potuto agire per condurre il treno fuori del tunnel.
A causa della presenza dell’acido carbonico, straordinariamente velenoso, si è prodotto l’avvelenamento dei passeggeri clandestini. L’azione di questo gas è così rapida, che la tragedia è avvenuta prima che alcun soccorso dall’esterno potesse essere portato.»
Alcuni dei parenti delle vittime intentarono causa alle Ferrovie dello Stato, che declinarono ogni responsabilità, sostenendo che su quel treno non avrebbero dovuto trovarsi passeggeri di alcun tipo.
Per spegnere sul nascere una vertenza che avrebbe potuto trascinarsi in maniera imbarazzante, i contenziosi giudiziari vennero transatti con la corresponsione di un indennizzo per le vittime civili degli eventi bellici.
Fu decisiva al riguardo l’esibizione da parte dei legali dei parenti delle vittime dei biglietti acquistati dalle vittime stesse (circostanza già emersa nel corso dell’inchiesta amministrativa e generalmente sottaciuta).
Il bilancio della tragedia, secondo quanto affermato nei libri di Gianluca Barneschi, sulla base della documentazione riservata dell’indagine fu di 626 vittime.
Molte vittime tra i passeggeri non vennero riconosciute.
Furono tutti allineati sulla banchina della stazione di Balvano e poi sepolti senza funerali nel cimitero del paesino, in quattro fosse comuni.


Gli agenti ferroviari, invece, vennero sepolti a Salerno. Molti dei sopravvissuti riportarono lesioni psichiche e neurologiche. Successivamente per ridurre l’eventualità di questi incidenti, riducendo gli sforzi e le emissioni delle macchine, era stato disposto per questa tratta il limite di 350 tonnellate e l’utilizzo di locomotori diesel-elettrici americani nei casi di doppia trazione, con eventualmente una locomotiva a vapore italiana posta in coda e invertita per scaricare con il fumaiolo in coda.
Venne stabilito a Battipaglia il punto di applicazione di queste normative, per evitare di dover compiere operazioni di separazione sulla linea montana. Questi limiti rimasero per molto tempo in vigore, fino al 1996, quando la linea Battipaglia-Metaponto venne tutta elettrificata.
Inoltre, nell’uscita sud della galleria “Delle Armi” fu istituito un posto di guardia in cui l’operatore a ogni passaggio di treno doveva avvertire telefonicamente la stazione di Balvano quando poteva vedere la luce in fondo, segno che nella galleria non vi erano più gas di scarico.




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