Napoleone – Fu il 17 luglio 1821, leggendo il numero della Gazzetta di Milano del 16 nel giardino della sua villa di Brusuglio, che Alessandro Manzoni seppe della morte di Napoleone Bonaparte, avvenuta il 5 maggio dello stesso anno nel suo esilio all’isola di Sant’Elena. Manzoni aveva già incontrato il generalissimo all’età di quindici anni, al teatro alla Scala, dove rimase colpito dal suo sguardo penetrante (evocato al v. 75 con l’espressione «i rai fulminei») e dal magnetismo emanato dalla sua persona, in cui riconosceva l’artefice del trapasso da un’epoca storica a un’altra;ciò malgrado, egli non manifestò né plauso né critica nei confronti di questa figura di condottiero, a differenza di altri poeti suoi contemporanei (quali Ugo Foscolo e Vincenzo Monti).
Dopo aver appreso l’inaspettata e tragica notizia, il poeta, colto da improvviso turbamento, si immerse in una profonda meditazione di carattere storico ed etico, conclusasi quando – sempre leggendo la Gazzetta di Milano – seppe della conversione di Napoleone, avvenuta prima del suo trapasso. Egli fu profondamente commosso dalla morte cristiana dell’imperatore e, preso quasi da un impeto napoleonico, compose di getto il primo abbozzo di quello che sarà Il cinque maggio, in soli tre giorni (la gestazione dell’opera, iniziata il 18 luglio, fu conclusa il 20), con una rapidità decisamente estranea al suo temperamento riflessivo.
Già perché Napoleone fu un abile condottiero e forse il miglior stratega della storia ma soprattutto un grande motivatore. Le sue truppe, i suoi soldati che lui chiamava affettuosamente Les Grognards (i Brontoloni) lo seguirono in imprese memorabili a volte devastanti fisicamente ma mai psicologicamente. I soldati erano così sicuri della loro guisa che camminavano senza fermarsi mai con marce estenuanti ma rapide che hanno condotto l’esercito napoleonico a vittorie che sembravano impossibili. Grande uomo di guerra, protagonista di oltre venti anni di campagne in Europa, Napoleone è stato considerato il più grande stratega della storia dallo storico militare Basil Liddell Hart,mentre lo storico Evgenij Tàrle non ha esitato a definirlo “l’incomparabile maestro dell’arte della guerra” e “il più grande dei grandi” Grazie al suo sistema di alleanze e a una serie di brillanti vittorie contro le potenze europee, conquistò e governò larga parte dell’Europa continentale, esportando gli ideali rivoluzionari di rinnovamento sociale e arrivando a controllare numerosi Regni tramite persone a lui fedeli (Giuseppe Bonaparte in Spagna, Gioacchino Murat nel Regno di Napoli, Girolamo Bonaparte in Vestfalia, Jean-Baptiste Jules Bernadotte nel Regno di Svezia e Luigi Bonaparte nel Regno d’Olanda).
Napoleone subì due sconfitte gravi ma entrambe le volte non fu sconfitto da suoi errori sul campo di battaglia ma dal tempo. Nella campagna di Russia sfidò il ‘generale inverno’ e fu proprio il freddo a decimare le sue truppe. Una storia che non servì da lezione perchè Hitler fece il medesimo errore dando il via alla sconfitta della Germania nel secondo conflitto mondiale proprio a causa del freddo inverno russo. Nella seconda occasione, quella della sconfitta definitiva a Waterloo la sua invidiata Cavalleria giunse in ritardo a causa del maltempo e del terreno pesante che fu la vera causa della sconfitta (era il 18 Giugno 1815). Trascorse gli ultimi anni di vita in esilio all’isola di Sant’Elena, sotto il controllo dei britannici dove morì proprio il 5 Maggio 1821 alle 17.49 per avvelenamento (questa tesi la potete trovare nei libri dei maggiori studiosi di Napoleone, difficilmente invece sui libri di scuola per gli studenti dove la causa unica è un tumore allo stomaco).
Ed ora una breve analisi del rapporto tra Napoleone e Dio. Tutti lo ricordano come colui che si incoronò da solo davanti al Papa (definendolo un segno di sfida), ma ‘Mister N’ aveva Dio nel cuore sin dalla sua infanzia
Egli infatti ebbe un’educazione cattolica e il sentimento religioso fu sempre ben presente nel suo cuore. Non rinnegò mai il suo cattolicesimo che anzi ritornò prepotente durante gli anni di Sant’Elena (dove ebbe tempo di scrivere, leggere e riflettere), soprattutto negli ultimi momenti prima della sua dipartita.
L’imperatore di Francia, colui che è giunto ad un passo dal creare una vera Europa forte ed unita scrisse di suo pugno: “ Non vedo nella religione il mistero dell’Incarnazione, bensì il mistero del’ordine sociale. essa lega al cielo un’idea di uguaglianza che impedisce al povero di massacrare il ricco. La religione è inoltre una specie di inoculazione di vaccino che, soddisfacendo il nostro amore per il meraviglioso, ci protegge dai ciarlatani e dai maghi. i preti sono senz’altro meglio dei vari Cagliostro, Kant e di tutti i sognatori di Germania.”
In questo primo passo, Napoleone inquadra la religione come un “equilibratore” sociale. Attraverso la promessa di un mondo extra terreno senza disuguaglianze, senza ricchi e poveri, anzi con un premio maggiore per i diseredati, la religione impedisce rivolte sociali.
Napoleone, quindi considera la religione cattolica importante per il ruolo che essa svolge nelle menti degli uomini, ma allo stesso modo riconosce l’enorme potere politico e sociale che da essa proviene.
Cosa non convince inizialmente Napoleone? Il Cattolicesimo è appannaggio dei preti e dei monaci ed è governato dal Papa e questo è inaccettabile per Bonaparte che rimane uomo del suo tempo, legato agli ideali della Rivoluzione francese.
Scrisse ancora: “Si conoscono i vizi e gli scandali che regnano tra i monaci, io stesso ho avuto modo di rendermene conto, perché sono stato per un certo periodo allevato da loro. Rispetto quello che la religione rispetta, ma come uomo di Stato, non posso accettare il fanatismo del celibato; è stato un mezzo con il quale la Corte di Roma ha voluto ribadire la schiavitù dell’Europa, impedendo che i religiosi fossero cittadini.”
Il governo della Chiesa, esercita un controllo sulle persone rendendole schiave. Il popolo può essere così, facilmente plagiato a tutto danno dello Stato. Napoleone ben comprende questo pericolo, soprattutto in un’epoca di stravolgimenti sociali post rivoluzione. Da uomo geniale sa che deve porre freno al potere della Chiesa, senza ostacolare il sentimento religioso del popolo.
Il Papa deve occuparsi solo di cose divine. In questo passo del 1806, tratto da una lettera indirizzata al Cardinale Fesch, questi concetti sono molto chiari: “ Il Papa mi ha scritto una lettera in data 13 novembre assolutamente ridicola e insensata. Io sono religioso, ma non sono un bigotto.
Per il Papa io sono Carlo Magno, perché come Carlo Magno riunisco le Corone di Francia e quella della Lombardia e il mio Impero confina con l’Oriente. Ridurrò il Papa a essere soltanto il Vescovo di Roma”
Vi è un forte contrasto interiore nell’Imperatore: l’uomo politico, Napoleone è ben conscio della forza della Chiesa e sa che deve piegarla ai propri voleri, ma l’uomo Napoleone è affascinato dal divino e dall’educazione che ha ricevuto da bambino.
“omenica scorsa camminavo in questa solitudine , in questo silenzio della natura. Improvvisamente mi colpì l’orecchio il suono della campana di Ruel. Mi commossi, tanta è la forza dell’educazione ricevuta, delle abitudini acquisite. Dissi a me stesso: quale impressione ciò deve fare sugli animi semplici e inclini alla credulità”.
Dunque per Napoleone la religione cattolica ha un preciso fine essere di conforto al credente, rendendogli più accettabile la vita soprattutto nei momenti di difficoltà e quando la morte si avvicina.
A Sant’Elena questo sentimento crebbe prepotentemente. Le testimonianze di Antonmarchi e O’Meara i due medici che lo assistettero nei suoi ultimi giorni sono molto chiare e concordi.
Nel libro di Robert-Antoine de Beauterne, ‘Sentiment de Napoleon sur le Cristianisme’ vengono rapportate le testimonianze di coloro che soggiornarono e accompagnarono Napoleone sull’isola di Sant’Elena compreso il biografo più famoso: Las Cases
” Il 21 aprile chiamò a se’ l’Abate Vignali e gli chiese: sapete cosa sia una camera ardente? Sì, rispose l’abate.
– Ne avete mai servita una- proseguì Napoleone-
– Nessuna- fu la risposta di Vignali-
-Allora servirete la mia- aggiunse l’Imperatore-
Bonaparte fornisce, allora all’abate tutti i particolari, con quella precisione che era la sua principale peculiarità:
“Sono nato nella religione cattolica, voglio adempiere ai doveri che me ne derivano, e ricevere i conforti che essa fornisce ai suoi figli. Lei celebrerà tutti i giorni la santa Messa nella stanza accanto, ed esporrà il Santissimo Sacramento durante le quarantore. Dopo la mia morte, lei porrà l’altare dalla parte della mia testa, nella camera ardente, continuando a celebrare la Messa e tutte le cerimonie del rito cattolico, che lei terminerà solo quando sarò sepolto”
Tanti, troppi hanno cercato di definire Napoleon soltanto un sanguinario guerrafondaio ateo. Ma non è mai stato così. Abile stratega certo, ma dobbiamo anche ricordare che la sua riforma del sistema giuridico (confluita nel Codice Napoleonico), introdusse chiarezza e semplicità delle norme e pose le basi per la moderna giurisdizione civile.
Napoleone è sempre stato profondamente cattolico e credeva in Dio. Egli, però era un conoscitore di uomini come pochi ce ne sono stati nel corso della storia e nutriva, poca fiducia negli uomini ed anche in quelli di Chiesa del tempo.
Ecco il 5 Maggio del Manzoni.
Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro,
così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all’ultima ora dell’uom fatale; né sa quando una simile orma di piè mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio vide il mio genio e tacque; quando, con vece assidua, cadde, risorse e giacque, di mille voci al sònito mista la sua non ha: vergin di servo encomio e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito sparir di tanto raggio; e scioglie all’urna un cantico che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida gioia d’un gran disegno, l’ansia d’un cor che indocile serve, pensando al regno; e il giunge, e tiene un premio ch’era follia sperar; tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli, l’un contro l’altro armato, sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato;
ei fè silenzio, ed arbitro s’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio chiuse in sì breve sponda, segno d’immensa invidia e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio e d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago l’onda s’avvolve e pesa, l’onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere prode remote invan; tal su quell’alma il cumulo delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri narrar se stesso imprese, e sull’eterne pagine cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito morir d’un giorno inerte, chinati i rai fulminei, le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono l’assalse il sovvenir! E ripensò le mobili tende, e i percossi valli,
e il lampo dè manipoli, e l’onda dei cavalli, e il concitato imperio e il celere ubbidir.
Ahi! Forse a tanto strazio cadde lo spirto anelo, e disperò; ma valida venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere pietosa il trasportò; e l’avviò, pei floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desideri avanza, dov’è silenzio e tenebre la gloria che passò. Bella Immortal! Benefica Fede ai trionfi avvezza! Scrivi ancor questo, allegrati; ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota giammai non si chinò. Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò.