Se vivesse oggi, la famiglia di Fratel Salomone potrebbe dire di formare, in qualche maniera, un’équipe di calcio, perché era composta da undici persone tra genitori e figli. Ma visse nella seconda metà del 1700 quando, al più, si poteva parlare di pallacorda. Però di un’équipe c’era il senso dell’unione e del “tutti per uno e uno per tutti”. Il padre di Fratel Salomone, Francesco Le Clercq, era una persona amante del lavoro, onesta e proba. Commerciava in vino, acquavite, zucchero, sale e legname: e lo faceva alla grande. La famiglia, pertanto, godeva di un certo benessere ed era annoverata tra quelle della medio-alta borghesia di Boulogne.
Fratel Salomone nacque dopo tre fratelli e una sorella e prima di tre fratelli e una sorella. Forse nascere in una città che sta sul mare e vive del mare significava nascere con i cromosomi dell’avventura. Quattro dei Le Clercq abbracciarono la vita sacerdotale o religiosa, gli altri quella matrimoniale. Solo la penultima nata, Rosalia, rimase nubile ed ebbe il piacere, quando fu il momento, di accudire al vecchio padre rimasto solo e ai nipotini del fratello Agostino rimasto vedovo. Fu lei che intuì la santità di Fratel Salomone e si premurò di conservare gelosamente le sessantacinque lettere che lui le inviò e le quarantacinque scritte al fratello Achille: tutte di argomenti spirituali e morali.
Con la guerra dei sette anni (1756-1763) tra Francia e Inghilterra, le navi mercantili cominciarono a giungere con difficoltà a Boulogne e l’attività dei Le Clercq ne ebbe a soffrire.
Fu allora che il secondogenito Antonio, che aveva nel sangue più degli altri lo spirito dell’avventura, si unì a un gruppo di marinai passati alla pirateria. Nonostante la stretta vigilanza delle navi da guerra inglesi, potè far giungere a Boulogne qualche carico di merce ricevendo la benedizione e la riconoscenza della città. Una volta fu “beccato” dagli inglesi; ma riuscì a scappare rifugiandosi in Scozia e, dopo un lungo peregrinare, potè tornare a Boulogne quando nessuno ormai sperava di rivederlo. II tempo per riabbracciare i suoi ed eccolo ripartire, trascinando con sé il fratello Agostino. Ambedue furono fatti prigionieri, ma poterono cavarsela con due soli anni di prigionia, perché rilasciati nel 1763 per la sopravvenuta pace con l’Inghilterra.
Agostino, però, ad un certo momento mise in subbuglio la famiglia. Poiché la sua attività mercantile andava così così, cominciò ad imprestare il denaro ad interesse, perché, diceva, il denaro prestato deve pur portare qualche frutto. Ma era un buon cristiano e gli sorse qualche dubbio su questa maniera di far soldi. Volle sentire il suo confessore; e questi gli suggerì, senza nessuna esitazione, di lasciar perdere. E così fece.
Ma la cosa non si fermò lì, perché arrivò alle orecchie del vecchio papà Francesco, che si fece forte del parere del vicario generale di Boulogne, il quale affermava che, entro certi limiti, la loro attività non aveva niente di immorale.
Scese in campo anche l’ultimogenito Achille che, trovandosi a studiare alla Sorbona di Parigi, volle interpellare quei cervelloni dei suoi maestri. La risposta fu un secco no.
In questo ondeggiare di opinioni che minacciava di spaccare in due l’unità della famiglia (la famosa équipe), tutti furono dell’opinione di sentire Fratel Salomone, considerato il più saggio di tutti, e di attenersi alla sua risposta. La quale fu: “Quando c’è di mezzo la salvezza dell’anima è meglio attaccarsi a ciò che è più sicuro, anche se c’è il rischio di essere o diventare meno ricchi”. A buon intenditor poche parole! E, ad onor della cronaca, tutti furono buoni intenditori.
Né santo, né marinaio
La mamma di Nicolas (Fratel Salomone) possedeva un libro di grande formato, intitolato “Vita dei Santi per ogni giorno dell’anno”. Lo leggeva ai propri figli specialmente nelle lunghe serate invernali. Questo libro era l’unico del genere che circolava in Francia e lo possiamo immaginare un po’ sdrucito e annerito agli angoli delle pagine (le sudate carte!) per il grande uso che se ne faceva e anche perché ogni madre lo passava alla propria figlia come regalo di nozze. Ad ogni santo venivano dedicate due pagine a libro aperto. Su quella di sinistra si riportavano, in tre fitte colonne, i fatti e le notizie biografiche del santo. Quella di destra, invece, ne proponeva a tutto campo una rappresentazione visiva: rinsecchito in una grotta, dormiente sulla nuda terra, mentre lotta con un diavolo, un drago, un serpente. Queste figure erano talmente impressionanti che il piccolo Nicolas un giorno esclamò con le lagrime agli occhi: “Mamma, io non voglio essere un santo!”. Mamma Le Clercq sorrise e non rispose nulla.
Aveva diciotto anni, Nicolas, ed era terminata la lunga guerra dei sette anni. Pertanto fu avviato alla pratica del commercio mercantile per poter aiutare, e un giorno sostituire, il padre. Ma non era questo che poteva attrarlo, sia perché per natura era amante della tranquillità, sia perché era stato malamente impressionato dai racconti che i marinai di Boulogne facevano quando sostavano qualche giorno in città. Parlavano dei loro viaggi avventurosi, dei pericoli che avevano superato, della vita messa a rischio in quella e in quell’altra circostanza, delle acque dell’Atlantico alte cento metri per l’infuriare dei venti, del tale caduto in mare e mai più ritrovato. Insomma, il nostro Nicolas non lo disse apertamente a nessuno, ma, probabilmente, dentro il suo cuore avrà giurato: “Io non sarò mai un marinaio”.
Almeno per un po’, dovette chinare il capo davanti alla volontà del padre.
Suo primo maestro nell’arte del commercio mercantile fu un cugino paterno, un uomo pratico ed esperto, che gli svelò tutti i segreti del mestiere, senza riguardi per l’onestà e la giustizia. Si era nel dopoguerra e la ricerca del benessere giustificava tutto; e poi l’eco della filosofia degli enciclopedisti parigini, che osannavano il più sfrenato liberismo economico, era giunta in tutti gli angoli della Francia. Dopo tre anni di apprendistato, Nicolas tornò a casa disgustato.
Ma dovette subito preparare i bagagli per una permanenza di studio nella grande Parigi. Sì, perché per fare di lui una persona affermata, tutti in famiglia convennero che quella di inviarlo a Parigi era la decisione più azzeccata. Lì, poi, c’era uno zio materno che avrebbe sgrossato il giovane provincialotto, mettendolo a contatto con il mondo che conta.
Sulle obiezioni della madre, circa i pericoli morali in agguato ad ogni angolo della metropoli, ebbe il sopravvento il bene e il futuro della ditta famigliare. Nicolas partì quasi di malavoglia, sapendo di approdare in un mondo che era agli antipodi dei suoi desideri. Non si sbagliò.
I tre mesi trascorsi a Parigi risultarono per il giovane apprendista potente antidoto. Confesserà un giorno: “Mi son fatto religioso, influenzato non dai diciotto, tranquilli, anni vissuti a Boulogne, né da quelli trascorsi con il cugino di mio padre, ma dai tre mesi vissuti a Parigi”.
A Parigi, abitava nel quartiere di Lussemburgo (quello stesso dove, venticinque anni dopo, sarà imprigionato) e prendeva i pasti in un ristorante consigliatogli dallo zio. Bel consiglio! Non avrebbe potuto trovare luogo peggiore, perché era il ritrovo dei pettegolezzi e delle volgarità.
Dopo tre mesi, Nicolas non ce la fece più. Avvertì lo zio, pagò il conto del ristorante e prese la via del ritorno. Giunse a casa inaspettato. Confessò di voler abbandonare tutto e di farsi Fratello delle Scuole Cristiane. Alla madre si appannarono gli occhi; il padre non disse una parola.
Dopo qualche giorno Nicolas, accompagnato dai genitori, bussava alla porte del Noviziato di Saint-Yon a Rouen, aperto personalmente dal fondatore dell’Ordine, san Giovanni Battista de La Salle. Quando la porta si chiuse alle sue spalle, Nicolas Le Clercq emise un sospiro di sollievo e disse dentro di sé: “Non sarò un marinaio; per tutta la vita sarò un Fratello delle Scuole Cristiane”. Aveva ventidue anni.
Il fiore all’occhiello
Di anni ne aveva venticinque, quando fu inviato a Maréville (Lorena). Qui c’era il plesso scolastico ed educativo più importante che i Fratelli tenevano in Francia.
A Maréville convivevano, ben separate, due realtà: un Noviziato e un Collegio. Fratel Salomone vi resterà quindici anni, con mansioni differenti: all’inizio per completare la propria formazione personale a contatto con una realtà del tutto particolare, poi come Direttore dei Novizi, quindi come insegnante dei collegiali ed infine come economo di tutto il complesso.
Fra i collegiali, anche se separati logisticamente, c’erano quelli “liberi” e quelli “coatti”, lì inviati dall’autorità giudiziaria in qualità di corrigendi. Al suo primo giorno di insegnamento, Salomone ne trovò quaranta liberi e oltre cento coatti.
La sezione riservata ai corrigendi non aveva nulla di prigione. Fratel Salomone facilitò il loro reinserimento nella società, caldeggiando gli hobby di ciascuno nel tempo libero: attività culturali, manuali e artistiche, giardinaggio e riunioni per incontri e dibattiti, in sale ad essi riservate. Si attenne con piacere alla norma interna che aboliva ogni punizione corporale. Inoltre, per salvaguardare l’anonimato dei corrigendi, i registri di immatricolazione dove venivano annotati i motivi del loro invio al collegio, erano top secret: nessuno poteva leggerli.
Fratel Salomone tenne presenti tutte le accortezze educative che il santo fondatore aveva già sperimentato in un collegio per corrigendi da lui fondato a Saint-Yon (Rouen). Non solo: le caldeggiò e perfezionò, seguendo l’acume delle sue intuizioni e i suggerimenti del suo cuore. E siccome tra i corrigendi vi erano anche degli adulti di un certo livello artigianale, Fratel Salomone li volle valorizzare, invitandoli a compartecipare le loro esperienze a tutti, anche ai collegiali “liberi”.
I migliori prodotti usciti dalle loro mani venivano messi in vendita e il ricavato veniva loro accreditato al momento di lasciare il collegio. Qualche visitatore volle conoscere gli “atelier” da cui provenivano i prodotti acquistati; al termine della visita, trovavano difficile accettare l’idea che quello era un collegio per corrigendi.
A partire dal 1776 Fratel Salomone divenne l’economo di tutto il plesso di Maréville: doveva pensare a sostentare ben duecento persone. D’accordo: l’istituzione possedeva terreni agricoli ben coltivati, ma c’erano pure delle spese da effettuare, c’era la organizzazione del personale non docente, c’erano i lavori di ordinaria e straordinaria amministrazione. Per quanto giovane, Fratel Salomone fu all’altezza della situazione: era o non era figlio e nipote di bravi commercianti di Boulogne? Come dire… buon sangue non mente!
Nel 1781 lasciò la grande istituzione di Maréville, rimpianto da tutti: dai novizi, dai collegiali liberi e da quelli “coatti”, dal personale docente e da quello non docente, ma soprattutto dai quaranta Fratelli della sua Comunità.
L’ultimo sole di agosto
Del convento dei Carmelitani a Parigi, trasformato in carcere durante la Rivoluzione Francese, oggi rimane ben poco: la chiesa, un’ala del convento e il giardino. Di quel triste 2 settembre ci sono due soli ricordi. In fondo alla scaletta che porta al giardino c’è una lapide con la laconica scritta: Hic ceciderunt: qui caddero. Lì, nel pomeriggio di domenica 2 settembre 1792, furono massacrati nel giro di due ore centocinquanta detenuti, tra cui Fratel Salomone, un altro Fratello, tre vescovi e novanta preti. Sulla parete di una saletta del convento, poi, si possono ancora osservare, seppur sbiaditi e protetti da una lastra di vetro infrangibile, tracce di rivoletti di sangue: erano colati dalle picche dei carnefici che lì, alla fine del massacro, le avevano appoggiate. Ma per chiarire i fatti, bisogna rileggere una triste pagina di storia francese.
A Parigi, dopo l’occupazione delle Tuileries, fatta dai sanculotti il 15 agosto 1792, seguì una febbrile caccia ai nobili e ai sacerdoti che non avevano prestato il giuramento civile. Gli arrestati venivano rinchiusi, con una sottile e irriverente ironia, in conventi trasformati in prigione: casa di ritiro dei Francescani, chiesa dei Premostratensi e convento dei Carmelitani.
Tra gli arrestati ci fu anche Fratel Salomone, segretario del Superiore Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Aveva 57 anni e viveva il momento più gratificante della sua vita. Benché in quel periodo vestisse abiti civili per non dare sull’occhio, fu pedinato, arrestato e rinchiuso nel convento dei Carmelitani.
Qui Fratel Salomone “fece comunità” con l’altro Fratello incarcerato e trovò conforto nelle visite di persone care. Sì, perché ciò era permesso in determinate ore del giorno e i reclusi erano autorizzati a chiedere e ricevere effetti personali.
Dal 27 al 31 agosto ai prigionieri fu proposto un inusitato patteggiamento: potevano uscire dalla prigione, ma dovevano lasciare la Francia entro otto giorni; in caso contrario, sarebbero stati deportati nella lontana Gujana. Ai più anziani furono concessi, per un senso di umanità, gli arresti domiciliari.
Ma proprio in quei giorni, gli eventi bellici cominciarono a precipitare.
Le porte di Parigi furono sbarrate e tenute sotto controllo, perché correva voce della caduta nelle mani dei nemici della città di Verdun, distante 200 km. Pertanto, il 30 agosto ogni capo-quartiere ricevette l’ordine di esaminare e giudicare al più presto i propri arrestati. A mezzogiorno di domenica 2 settembre, al colpo di cannone di Porta Nuova e al lungo rintoccare della campana maggiore della chiesa di S. Sulpizio, fece eco la concitata voce del banditore che, al rullo dei tamburi, gridava per strada il terrificante avviso: “Alle armi, cittadini; il nemico sta alle porte”. In quello stesso momento, Danton dalla tribuna dell’Assemblea Generale tuonava: “Francesi, per vincere c’è bisogno di audacia, massima audacia, sempre audacia! Solo così la Francia si salverà”. Sorse impellente la domanda: che fare degli arrestati? All’Assemblea di Quartiere, il sanguigno Gioachino Ceyrat investì l’uditorio con una proposta terrificante: “Tutti i detenuti del convento dei Carmelitani sono colpevoli. Per loro c’è una sola cosa da fare: ammazzarli”.
Tutti furono colti di sorpresa e non ci fu possibilità per dilazioni o alternative. Alle quattro del pomeriggio, con un ritmo forsennato, iniziarono le esecuzioni. Alle sei e mezza tutto era finito! Assieme agli altri detenuti, Fratel Salomone aveva immolato la sua vita, testimoniando in maniera eroica la sua fedeltà a Dio e al Papa.
Furono aperte le porte del convento. La gente si trovò davanti il raccapricciante spettacolo di un enorme mucchio di cadaveri ancora sanguinanti e l’osceno gruppo dei giustizieri che cantavano sguaiatamente, tracannando boccali di vino.
Ad essi fu anche dato, per riconoscenza, un equo compenso: per il servizio reso alla Patria!
Il giorno dopo, i cadaveri furono alleggeriti degli oggetti di valore e gettati nel pozzo del convento o interrati in una fossa ricavata tra le aiole del giardino.
Lì trovò anonima sepoltura il cinquantasettenne Fratel Salomone Le Clercq.