Ancora prese di posizione persecutorie contro i cristiani nel mondo. Le notizie di queste ore vengono dall’Indonesia e dal Sinai.
Un tribunale di Giacarta ha riconosciuto colpevole e condannato a due anni di carcere per blasfemia l’imputato Basuki Tjahaja Purnama, detto “Ahok”, cristiano di etnia cinese, ex governatore della capitale Giacarta. La Corte ha disposto una pena più dura di quella richiesta dal pubblico ministero (che aveva richiesto come condanna 2 anni di libertà vigilata), dopo tale decisione dei giudici, immediatamente gli avvocati di Ahok hanno annunciato ricorso in appello.
Grande il disappunto tra i simpatizzanti ed i sostenitori di Ahok a Giacarta, contemporaneamente alcuni gruppi musulmani sono scesi in strada nella capitale per festeggiare dopo la sentenza.
“E’ una vicenda molto triste. I gruppi islamici radicali hanno influenzato questo verdetto e anche l’intera vicenda, inclusa la recente campagna elettorale. Possiamo solo dire che non è finita: la difesa ricorrerà in appello, mentre noi cristiani ci rimettiamo sempre alla giustiza di Dio, che è il Signore della storia”, ha dichiarato padre Agustinus Ulahayanan, Segretario della Commissione per il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale dell’Indonesia.
“Possiamo imparare una lezione da questa storia. La parte positiva è vedere che, nonostante il disappunto dei cristiani e di molti settori della società, le reazioni sono pacifiche, restano nell’alveo della democrazia: i cristiani indonesiani credono al bene comune e nutrono un profondo rispetto per la Pancasila, la carta dei cinque principi alla base dell’Indonesia democratica”. Purtroppo però va registrato anche un pericoloso precedente per le future sentenze: “Oggi prendiamo atto della debolezza del sistema giudiziario e dell’impatto che hanno ottenuto i gruppi radicali. C’è stata negli ultimi mesi una evidente strumentalizzazione della fede islamica ai fini politici e questo è un fenomeno che potrà ripercuotersi anche sulle prossime elezioni nazionali. Bisognerà monitorarlo e agire con sapienza”.
Benny Susetyo, altro prete cattolico che è attualmente segretario del Think-tank “Setara Institute”, ha dichiarato: “La condanna di Ahok è una sconfitta per lo stato di diritto. I gruppi islamici radicali l’hanno avuta vinta e questo è pericoloso per il futuro di questa nazione. ”.
Il collegio dei giudici di una corte distrettuale di Giacarta del Nord ha dichiarato Ahok colpevole di blasfemia per aver citato impropriamente un versetto del Corano. Ahok era stato accusato di blasfemia ai sensi dell’articolo 156 del Codice penale. Il Pubblico Ministero, però, alla fine del procedimento, notando la debolezza delle prove e considerando diverse attenuanti, aveva suggerito un provvedimento di condanna più mite, che la Corte ha ignorato.
Alcuni giorni fa, migliaia di palloncini rossi e bianchi sono stati consegnati ad Ahok dai suoi sostenitori, cristiani e musulmani, e oltre 5.000 corone di fiori sono state inviate alla City Hall di Giacarta, sede dell’ufficio del governatore, come saluto ad Ahok, in segno di affetto e solidarietà. Il governatore ha infatti perso al ballottaggio le elezioni del 19 aprile e, dopo essersi congratulato con il vincitore, si preparava a lasciare l’incarico al nuovo governatore eletto, il musulmano Anies Baswedan, che entrerà in carica in ottobre. Ora Ahok è stato trasferito in un carcere di Giacarta.
Non si può ancora parlare di una svolta islamista però va sottolineato come la Corte possa essere stata influenzata da una campagna elettorale condotta dai gruppi radicali. Quello che alcuni analisti cristiani notavano in queste ore, è una certa debolezza del sistema giudiziario indonesiano.
La minoranza cristiana sta dimostrando il suo disappunto per questa condanna che è ritenuta ingiusta; ma lo sta facendo in maniera molto composta, molto pacifica, in quanto i cristiani indonesiani stanno dando prova di credere al bene comune e di nutrire un profondo rispetto per la Carta dei Cinque Principi, che è alla base dell’Indonesia democratica. Oggi questa Carta, che ribadisce principi come “unità nella diversità”, il rispetto dei diritti umani, è invocata dai cristiani, ma non solo dai cristiani, per potere tenere la barra dritta in questo complesso Paese: l’Indonesia è un Paese composto da diverse anime, da diverse religioni e culture e quindi ha bisogno di una chiara direzione democratica per proseguire il suo cammino.
Nel Sinai settentrionale, un gruppo di uomini armati ha ucciso a colpi di pistola un cristiano egiziano, all’interno di un negozio di barbiere. L’esecuzione è avvenuta nella città di Al-Arish, capoluogo del governatorato del Nord Sinai già teatro nelle scorse settimane di un’ondata di violenze contro la minoranza religiosa che ha causato la fuga di centinaia di famiglie. Nella zona operano bande armate e gruppi jihadisti affiliati allo Stato islamico, che contendono il controllo del territorio alle forze di sicurezza del Cairo.
L’ultimo attacco di una lunga serie è giunto all’indomani di una nuova minaccia lanciata da Daesh, che annuncia ulteriori attentati contro cristiani e loro proprietà nella regione. Il gruppo jihadista ha rivendicato l’assassinio in un breve messaggio diffuso nella giornata di ieri sull’agenzia ufficiale del “Califfato” Aamaq. Fonti ufficiali della sicurezza riferiscono che la vittima è il 50enne Nabil Saber Ayoub. Prima di lui nel Sinai settentrionale erano stati uccisi altri sette cristiani, nel contesto di attacchi perpetrati da jihadisti affiliati all’Is.
Im totale dal dicembre scorso sarebbero almeno 75 i membri della minoranza religiosa (il 10% circa del totale della popolazione) a essere morti sotto i colpi dei fondamentalisti islamici. Fra questi le vittime delle esplosioni alle chiese del mese scorso e i fedeli deceduti nel contesto dell’attacco contro la cattedrale copta di san Marco in Abassiya, al Cairo, a dicembre.
I gruppi egiziani affiliati all’Isis promuovono da tempo una insurrezione nell’area, colpendo nell’ultimo periodo quanti vengono accusati di essere informatori delle autorità. I sequestri e le uccisioni brutali servono da deterrente per l’intera popolazione. La campagna di violenze si è intensificata alla fine del 2013, in seguito alla deposizione e all’arresto dell’ex presidente Mohammad Morsi, leader dei Fratelli musulmani, movimento ora fuorilegge.
Innanzi a tali violenze come non ricordare le parole di Papa Francesco: “Il ricordo di questi eroici testimoni antichi e recenti ci conferma nella consapevolezza che la Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri. E i martiri sono coloro che… hanno avuto la grazia di confessare Gesù fino alla fine, fino alla morte. Loro soffrono, loro danno la vita, e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza”. Lo ha ribadito il Santo Padre Francesco durante la Liturgia della Parola in memoria dei “Nuovi Martiri” del XX e XXI secolo, che ha presieduto nel pomeriggio di sabato 22 aprile nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina a Roma, e divenuta il memoriale dei “Nuovi Martiri”, in cui sono raccolte e custodite diverse reliquie.
Il Papa ha ricordato che “ci sono anche tanti martiri nascosti, quegli uomini e quelle donne fedeli alla forza mite dell’amore, alla voce dello Spirito Santo, che nella vita di ogni giorno cercano di aiutare i fratelli e di amare Dio senza riserve”. La causa di ogni persecuzione va ricercata nell’odio: “l’odio del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e con la sua risurrezione”.
“Di martiri, di testimoni, cioè dei santi di tutti i giorni ha bisogno la Chiesa perché la Chiesa la portano avanti i santi: senza di loro, la Chiesa non può andare avanti. La Chiesa ha bisogno dei santi di tutti i giorni, quelli della vita ordinaria, portata avanti con coerenza; ma anche di coloro che hanno il coraggio di accettare la grazia di essere testimoni fino alla fine, fino alla morte. Tutti costoro sono il sangue vivo della Chiesa. Sono i testimoni che portano avanti la Chiesa; quelli che attestano che Gesù è risorto, che Gesù è vivo, e lo attestano con la coerenza di vita e con la forza dello Spirito Santo che hanno ricevuto in dono”.
Raffaele Dicembrino