Russia – Alexey Anatolievich Navalny il Julian Assange russo

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Alexey Anatolievich Navalny, da qualcuno soprannominato il Julian Assange russo, 40 anni, è conosciuto soprattutto in quanto blogger, ma è anche avvocato e attivista politico e ricopre anche la carica di Segretario del Partito del Progresso.
Si candida senza successo a varie elezioni, tra cui quella a Sindaco di Mosca nel 2013, vinte poi da Sergej Sobjanin di Russia Unita, dove non è arrivato neppure al ballottaggio.
Ha subìto infatti diversi processi, soprattutto per appropriazione indebita. Uno di questi, il cosiddetto “Yves Rocher affair“, coinvolge pure suo fratello Oleg e si è risolto in una pena con la condizionale a tre anni e mezzo; i Navalny avrebbero intascato alcuni “spiccioli”, circa 31 milioni di rubli.
Alexey Navalny nasce il 4 giugno del 1976 a Butyn, centro della parte europea della Russia non molto distante da Mosca. Dopo essersi laureato come avvocato e specializzato in temi economici e finanziari, nel 1999 inizia la sua attività politica.
Fino al 2007 infatti Navalny è un militante del partito liberale, per poi staccarsi e dare vita ad un blog dalle pagine del quale inizia a denunciare la grande corruzione che secondo lui sarebbe dilagante in Russia.
Entrando in diverse società dello Stato acquistando delle piccole quote, Navalny poteva così accedere a documenti che altrimenti sarebbero rimasti riservati, divulgando poi il materiale sul proprio blog come prove del malaffare.
La sua popolarità iniziò subito a crescere in Russia, con il web che divenne il suo terreno di conquista per poter accrescere il numero dei propri seguaci spesso poi chiamati alla piazza per manifestazioni di protesta.
Attualmente Alexey Navalny è il segretario del Partito del Progresso, oltre ad essere il leader della Coalizione Democratica di cui fa parte anche il partito RPR-Parnas, ruolo che prima era stato di Boris Nemcov morto assassinato nel febbraio 2015.

Famoso per i toni sempre accesi e coloriti dei suoi interventi e per alcuni problemi con la legge. L’ultima condanna, che risale allo scorso mese è in merito all’annoso “processo Kirovles“, che gli costa altri 5 anni, pena sospesa. Anche stavolta il capo d’accusa è appropriazione indebita, in questo caso si parla di legna dell’impresa statale Kirovles, venduta poi sottocosto… l’aspirante Presidente della Russia avrebbe avuto tra le mani un valore di 16 milioni di rubli.
Navalny ha immediatamente parlato di “processo politico”; addirittura il Giudice non aveva ancora terminato di leggere il verdetto, che Navalny già accusava sui social il Cremlino, reo a suo parere di aver pilotato la sentenza, e scagliandosi poi nei giorni successivi contro il Primo Ministro Dmitry Medvedev, con dichiarazioni e video dove lo definisce “corrotto”.
Tali affermazioni sono state prontamente smentite dallo staff governativo, che le ha bollate come “insinuazioni di natura pre-elettorale”.
Ma la condanna gli impedisce realmente di candidarsi, come affermano alcuni organi di stampa?
La legge della Federazione Russa permette a tutti i cittadini di candidarsi, esclusi quelli con problematiche riconosciute a livello psichiatrico e quelli detenuti. Alexey non presenta patologie psichiatriche e non è in galera, quindi teoricamente può correre alle Presidenziali.
All’arresto di Navalny si sono scatenate tutte le possibili reazioni per screditare Vladimir Putin. L’Unione Europea non ha mancato di far arrivare, in tempi brevissimi, la sua ‘democratica’ presa di posizione: “Facciamo un appello alle autorità russe affinché rispettino i loro impegni internazionali, compresi quelli del Consiglio d’Europa e dell’Osce, a fare valere questi valori, e a liberare senza indugi i manifestanti pacifici arrestati”, ha dichiarato l’Alta rappresentante della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini.
L’Ue critica la polizia russa, affermando che “nel tentativo di disperdere i manifestanti e con l’arresto di centinaia di cittadini, compreso il leader dell’opposizione, ha impedito l’esercizio della libertà di espressione, associazione e assemblea pacifica, che sono diritti fondamentali della Costituzione russa”.
Toni simili provengono anche dagli USA. Il dipartimento di Stato Usa ha preso posizione sugli arresti del leader d’opposizione russo e di centinaia di manifestanti, definendoli “un affronto ai valori democratici di base”.
“Gli Stati Uniti condannano con forza la detenzione di centinaia di manifestanti pacifici in tutta la Russia domenica” ha detto il portavoce ad interim della diplomazia Usa Mark Toner. “Arrestare manifestanti, osservatori per i diritti umani, e giornalisti rappresenta un affronto ai valori democratici di base.
Siamo preoccupati nel sentire dell’arresto dell’oppositore Alexei Navalny all’arrivo alla manifestazione oltre che dei raid sull’organizzazione anti-corruzione che guida”.
Toner ha detto che gli Usa continuano a seguire la situazione e “chiedono al governo russo di rilasciare immediatamente tutti i manifestanti pacifici”. “Il popolo russo, come quello di ogni Paese, merita un governo che sostiene lo scambio aperto di idee, una governance trasparente e affidabile, un trattamento equo in base alla legge e la possibilità di esercitare i proprio diritti senza timori di punizioni”, ha detto Toner. La Casa Bianca non ha commentato gli arresti avvenuti a una manifestazione contro la corruzione mirata al premier Dmitri Medvedev.
Oggi tutti i giornali parlano in modo ben diverso del leader russo, accusandolo di aver represso una manifestazione pacifica contro la corruzione. Circa 8 mila persone sono scese in piazza a Mosca, e altre 3 mila a San Pietroburgo, per protestare contro la corruzione. La polizia, sostenendo che l’iniziativa non fosse autorizzata, ha fermato 900 persone, compreso il blogger simbolo della protesta contro Putin, Aleksej Navalnyj.

Sulla delicata questione è intervenuto anche Kissinger che, andando controcorrente espone la sua dottrina realista e insiste che l’Occidente sbaglia quando considera Putin un pericoloso dittatore: “Sulla Russia credo ci sia una certa incomprensione. Putin non è la replica di Hitler, e non intende lanciare una politica di conquista. Il suo obiettivo è ripristinare la dignità del proprio Paese, da San Pietroburgo a Vladivostok, come è sempre stato. Ciò risponde ad un antico nazionalismo, ma anche ad una storia diversa dalla nostra. Considerare Mosca come un potenziale membro della Nato è sbagliato”.
Farebbe dunque bene l’amministrazione di Donald Trump (ed il presidente USA appare più vicino di quanto si narri al ‘collega’ russo), a ricercare il dialogo perduto con Mosca. “L’alternativa sarebbe uno scontro dannoso per tutti”
La risposta del Cremlino è stata che le proteste di ieri sono state “una provocazione e una menzogna”. Secondo il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, lo stesso Navalny “ha palesemente mentito” dicendo che si trattava di manifestazioni “legali”.
Va ricordato che (chissà perchè gran parte dei media non lo raccontano) domenica 26 marzo Navalny è stato arrestato per aver organizzato delle manifestazioni di protesta, a Mosca e anche in altre città russe, che non erano state autorizzate dalle autorità (proprio la medesima cosa che accade nel 2012, quando venne fermato in circostanze analoghe).
Oltre ad aver negato l’autorizzazione in 72 città, le autorità russe avevano anche fatto sapere che ogni manifestazione nel centro di Mosca sarebbe stata vista come una provocazione illegale.
Nonostante questo Navalny ha radunato a Mosca circa 8.000 persone, scatenando però la reazione della polizia russa che prima ha tratto in arresto l’attivista, per poi fermare almeno altre 700 persone che erano scese in piazza.
Dal carcere il dissidente ha twittato di stare bene ( se ha anche la possibilità di usare un telefonino non deve poi passarsela così male) dicendosi orgoglioso per quanti hanno deciso di scendere in piazza, aggiungendo che gli arresti sono il modo con cui i ladri cercano di proteggersi.
La comunità internazionale ha subito chiesto l’immediata liberazione di Alexei Navalny mentre, voce fuori dal coro, è arrivato sostegno a Putin da parte di Matteo Salvini, promotore da tempo di un fronte comune assieme alla Le Pen e a Trump, che ha parlato di una montatura mediatica per una manifestazione che non era stata autorizzata.




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