Politica estera – Trump, Kissinger e Putin

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È noto ai più che l’ex Segretario di Stato americano, Henry Kissinger, abbia un ottimo rapporto di amicizia con il Presidente russo Vladimir Putin. I due, dallo scoppio della crisi in Ucraina si sono visti o sentiti telefonicamente almeno cinque volte, in via ufficiale. Negli ultimi incontri l’ex guru della diplomazia americana si era espresso proprio in merito alle vicende diplomatiche che contornano l’affaire ucraino, nonché sul terreno di attrito del conflitto siriano, suggerendo a Putin e ad Obama un possibile indirizzo da intraprendere per la risoluzione della tensione.

Nelle recenti espressioni ha inoltre riferito circa la sua posizione rispetto alle prossime elezioni presidenziali americane, senza sbilanciarsi su una preferenza nei confronti di Donald Trump, fugando tuttavia ogni dubbio sul fatto che non veda di buon occhio la vittoria di Hillary Clinton, perlomeno come prosecuzione della politica estera disastrosa portata avanti da Obama sullo scenario mediorientale.

Pochi giorni fa Kissinger è stato nominato membro dell’Accademia Russa delle Scienze, un riconoscimento che viene attribuito ad eccellenze nel proprio campo, russe o straniere, assumendo parte attiva nelle discussioni dell’Accademia, con diritto di voto non vincolante. Kissinger si è rivelato un importante peso sulla bilancia delle relazioni tra USA e URSS, fu infatti insignito del Premio Nobel per la Pace proprio per le sue strategie di distensione nei confronti del regime comunista sovietico, sebbene si sia macchiato di altre azioni decisamente meno pacifiste nel corso del suo mandato di consigliere per la sicurezza di Nixon e successivamente come Segretario di Stato.

Dunque si potrebbe ipotizzare che l’anziano diplomatico americano stia lavorando alle relazioni tra Washington e Mosca ancora una volta. Provando a proiettare tali schemi sulla real politik, la spada di Damocle potrebbe pendere sulla testa del tycoon americano candidato tra le fila dei repubblicani. Donald Trump ha, a più riprese, sostenuto la necessità di distendere i rapporti con la Russia, in un’ottica di allontanamento degli Stati Uniti dall’Europa nelle spoglie logore dell’Alleanza Atlantica. Riducendo la presenza americana sul Vecchio Continente di certo le tensioni con il Cremlino calerebbero sensibilmente, vista l’attuale spinta verso i confini orientali della NATO volti ad arginare una sedicente minaccia russa.

Trump ha inoltre ribadito una certa tolleranza nei confronti di due regimi che attualmente dialogano con Mosca: la Turchia di Erdogan e la Repubblica Araba siriana di Bashar al Assad. Nel primo caso, osserviamo come le dichiarazioni del candidato repubblicano abbiano sottolineato la comprensione per le azioni portate avanti dal Sultano in seguito al coup d’etat perpetrato ai suoi danni lo scorso luglio, apprezzando per giunta la qualità della sua risposta, sostenendo che il tutto non fosse stato organizzato ad hoc per poter completare le operazioni di pulizia della dissidenza. Altresì ha espresso un parere assai controcorrente rispetto alla linea della politica estera americana sulla Siria. Nella logica del male minore, ha sostenuto che Assad deve restare al suo posto, in quanto il vero nemico è il terrorismo internazionale e la lotta di Assad, affiancato da Russia e Iran, è da sostenere nell’ottica dell’eliminazione di un nemico comune.

Il canovaccio della politica estere trumpiana dunque sembra distaccarsi notevolmente dal piano statunitense per il Medio Oriente inaugurato dai presidenti Bush e Obama, e sarebbe in netta antitesi rispetto al suo avversario democratico. Ci sarebbe dunque da aspettarsi un meccanismo anti-mainstream che si è attivato per portare contrastare l’establishment americano di cui la Clinton sarebbe la naturale continuazione. E questo movimento potrebbe avere un nome più che autorevole.

Fonte: http://www.occhidellaguerra.it/




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