Papa Francesco in Armenia: edificare ponti e superare barriere

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Prosegue il viaggio di Papa Francesco in Armenia.
Tre basi stabili su cui riedificare la vita cristiana: memoria, fede e amore misericordioso. Il Papa centra su questo tema l’omelia dell’unica celebrazione eucaristica del suo viaggio apostolico in Armenia, che ha visto, in mattinata, oltre 20 mila fedeli da diverse regioni e dalla vicina Georgia, riunirsi nella grande piazza Vartanàns a Gyumri. La città, dove Francesco è giunto in aereo da Yerevan, è il luogo dove i “valori cristiani sono fioriti, è il segno tangibile dell’ecumenismo dell’Armenia”, ha ricordato nel suo saluto fraterno il Catholicos Karekin II. “Riedificare le rovine antiche, restaurare le città desolate”: è successo a Gyumri nel lontano 1988 dopo il terremoto devastante che inghiottì oltre 25mila armeni, lo ripete il Salmo di Isaia, e provoca la domanda del Papa: che cosa il Signore ci invita a costruire oggi nella vita o meglio su che cosa?

La prima base stabile è la meemoria, quella che il Signore ha compiuto in noi e per noi. Lui che, ricorda Francesco, ci ha scelti, amati, chiamati e perdonati; ma ancora di più da custodire è la memoria del popolo, “antica e preziosa” nel caso dell’Armenia:

“Nelle vostre voci risuonano quelle dei sapienti Santi del passato; nelle vostre parole c’è l’eco di chi ha creato il vostro alfabeto allo scopo di annunciare la Parola di Dio; nei vostri canti si fondono i gemiti e le gioie della vostra storia. Pensando a tutto questo potete riconoscere certamente la presenza di Dio: Egli non vi ha lasciati soli. Anche fra tremende avversità, potremmo dire con il Vangelo di oggi, il Signore ha visitato il vostro popolo (cfr Lc 1,68)”.

La fede cristiana è “diventata il respiro del vostro popolo” e il “cuore della sua memoria” ed è bello, dice il Papa rivolto ai fedeli, ricordarlo con gratitudine. Ed è proprio la fede, speranza per l’avvenire, il secondo fondamento della vita cristiana, evitando il rischio di ridurla a “qualcosa del passato”. La fede invece, sottolinea il Papa, “nasce e rinasce nell’incontro con Gesù”, che illumina tutte le situazioni della vita:

“Ci farà bene ravvivare ogni giorno questo incontro vivo con il Signore. Ci farà bene leggere la Parola di Dio e aprirci nella preghiera silenziosa al suo amore. Ci farà bene lasciare che l’incontro con la tenerezza del Signore accenda la gioia nel cuore: una gioia più grande della tristezza, una gioia che resiste anche di fronte al dolore, trasformandosi in pace”.

Nessun timore, dunque, e qui il Papa si rivolge ai giovani, anche se Gesù dovesse chiederci di “donare la vita a Lui e ai fratelli”, “non abbiate paura e ditegli di sì”. Egli desidera “liberare il cuore dal timore e dall’orgoglio”:

“Facendo spazio a Lui, diventiamo capaci di irradiare amore. Potrete in questo modo dar seguito alla vostra grande storia di evangelizzazione, di cui la Chiesa il mondo hanno bisogno in questi tempi tribolati, che sono però anche i tempi della misericordia”.

Ed è proprio l’amore misericordioso, il terzo fondamento su cui costruire la vita cristiana, perchè la carità, l’amore concreto è la “roccia”, il “biglietto da visita” del cristiano:

“Siamo chiamati anzitutto a costruire e ricostruire vie di comunione, senza mai stancarci, a edificare ponti di unione e a superare le barriere di separazione. Che i credenti diano sempre l’esempio, collaborando tra di loro nel rispetto reciproco e nel dialogo, sapendo che ‘l’unica competizione possibile tra i discepoli del Signore è quella di verificare chi è in grado di offrire l’amore più grande!’ (Giovanni Paolo II, Omelia, 27 settembre 2001)”.

Ma nel mondo c’è anche bisogno di prendersi cura dei deboli e dei poveri: Dio abita dove si ama con coraggio e compassione e c’è tanto bisogno di questo, sono le parole del Papa:

“C’è bisogno di cristiani che non si lascino abbattere dalle fatiche e non si scoraggino per le avversità, ma siano disponibili e aperti, pronti a servire; c’è bisogno di uomini di buona volontà, che di fatto e non solo a parole aiutino i fratelli e le sorelle in difficoltà; c’è bisogno di società più giuste, nelle quali ciascuno possa avere una vita dignitosa e in primo luogo un lavoro equamente retribuito”.

E quale modello migliore per diventare misericordiosi nonostante difetti e miserie dentro e fuori di noi? Il Papa lascia quindi agli armeni il modello più caro al Paese, sua parola e voce, San Gregorio di Narek, che ha “scandagliato le abissali miserie del cuore umano”, ma le ha messe sempre “in dialogo con la misericordia di Dio”:

“Gregorio di Narek è un maestro di vita, perché ci insegna che è anzitutto importante riconoscerci bisognosi di misericordia e poi, di fronte alle miserie e alle ferite che percepiamo, non chiuderci in noi stessi, ma aprirci con sincerità e fiducia al Signore”.

La giornata si è aperta con la visita al Memoriale, vicino Yerevan, che ricorda le vittime dei massacri sotto l’impero ottomano. Poi, dopo la Messa presieduta nella città di Gyumri, Francesco ha visitato il convento di Nostra Signora dell’Armenia, che ospita un gruppo di orfani.

Tzitzernakaberd, la Collina delle Rondini: il luogo della memoria per tutti gli armeni, per non dimenticare mai quanto avvenne 100 anni fa. Un ricordo imperituro, quasi custodito da lontano dall’imponenza del monte Ararat, come la fiamma eterna, che arde al centro del Memoriale. Un milione e mezzo le persone che vennero trucidate; il segno di un martirio indelebile per un popolo intero che lo ricorda come ‘metz yeghern’, “il Grande Male”, un vero e proprio genocidio – come ha sottolineato ieri il Papa – il primo di un secolo che ne vide tanti altri. Il Papa vi è giunto accompagnato dal Catholicos, Karekin II, accolto dal Presidente Sargysian. Dopo la deposizione di una corona d’alloro, Francesco si è raccolto a lungo in silenzio. Poi, con Karekin, la recita del Padre Nostro e il canto Hrashapar dedicato all’evangelizzatore, San Gregorio l’Illuminatore. Quindi, dopo la lettura dei passi biblici, la preghiera di intercessione di Papa Francesco, di cui ascoltiamo un brano:

“Cristo, ascoltaci, per le suppliche di tutti i tuoi santi e di quelli di cui oggi è la memoria. Ascoltaci, Signore, e abbi pietà, perdonaci, espia e rimetti i nostri peccati. Rendici degni di glorificarti, con sentimenti di grazie…”.

Infine un altro gesto fortemente simbolico: la benedizione e l’innaffiatura di un albero a memoria della visita, alla presenza di una decina di discendenti di perseguitati armeni salvati e ospitati a Castel Gandolfo da Papa Pio XI. Quindi la firma apposta dal Santo Padre sul Libro d’Onore del Memoriale, sul quale Francesco ha anche scritto:

“Qui prego, col dolore nel cuore, perché mai più vi siano tragedie come questa, perché l’umanità non dimentichi e sappia vincere con il bene il male. La memoria non va annacquata né dimenticata; la memoria è fonte di pace e di futuro”.

Il popolo armeno ha testimoniato con coraggio la sua fede, ha sofferto, ma è tornato a rinascere. Francesco si rivolge al Presidente e alle autorità citando le suggestioni offerte da ‘Ode all’Armenia’ del poeta Elise Ciarenz, per dire che quelle immagini potenti illuminano “sulla profondità della storia e sulla bellezza della natura dell’Armenia” e “racchiudono … l’eco e la densità dell’esperienza gloriosa e drammatica di un popolo e lo struggente amore per la sua Patria”. E le sue parole poi riportano subito la memoria al Metz Yeghérn, il “Grande Male”, che causò “ la morte di un’enorme moltitudine di persone”:

“Quella tragedia, quel genocidio, inaugurò purtroppo il triste elenco delle immani catastrofi del secolo scorso, rese possibili da aberranti motivazioni razziali, ideologiche o religiose, che ottenebrarono la mente dei carnefici fino al punto di prefiggersi l’intento di annientare interi popoli. E’ tanto triste che – sia in questa come nelle altre – le grandi potenze internazionali guardavano da un’altra parte”.

Francesco rende ‘onore’ al popolo armeno che, anche nei momenti più tragici, dice, è sempre riuscito a trovare “nella Croce e nella Risurrezione di Cristo la forza per risollevarsi e riprendere il cammino con dignità”. Questo è ciò che ne “rivela” la profondità delle radici cristiane, e anche quale “infinito tesoro di consolazione e di speranza” la fede cristiana racchiuda.

L’augurio del Papa è quindi che l’umanità, dalle tragiche esperienze provocate da “odio, pregiudizio e sfrenato desiderio di dominio”, riesca a trarre “l’insegnamento ad agire con responsabilità e saggezza per prevenire i pericoli di ricadere in tali orrori”:

“Si moltiplichino perciò, da parte di tutti, gli sforzi affinché nelle controversie internazionali prevalgano sempre il dialogo, la costante e genuina ricerca della pace, la collaborazione tra gli Stati e l’assiduo impegno degli organismi internazionali, al fine di costruire un clima di fiducia propizio al raggiungimento di accordi duraturi che guardino al futuro”.

L’impegno della Chiesa cattolica, assicura il Papa, sarà quello di collaborare con chiunque abbia “a cuore le sorti della civiltà e il rispetto dei diritti della persona umana, per far prevalere nel mondo i valori spirituali, smascherando quanti ne deturpano il significato e la bellezza”:

“A questo proposito, è di vitale importanza che tutti coloro che dichiarano la loro fede in Dio uniscano le loro forze per isolare chiunque si serva della religione per portare avanti progetti di guerra, di sopraffazione e di persecuzione violenta, strumentalizzando e manipolando il Santo Nome di Dio”.

I cristiani oggi, forse anche più che al tempo dei primi martiri, in alcuni luoghi sono discriminati e perseguitati per la loro fede, mentre in altri i conflitti non trovano soluzione “causando lutti, distruzioni e migrazioni forzate di intere popolazioni”. Tocca quindi ai leader delle nazioni, è l’appello del Papa, con coraggio e senza indugi intraprendere iniziative che mettano fine a queste sofferenze, ponendo quali obiettivi primari “la ricerca della pace, la difesa e l’accoglienza di coloro che sono bersaglio di aggressioni e persecuzioni, la promozione della giustizia e di uno sviluppo sostenibile”.

Un contributo prezioso alla comunità internazionale, è l’incoraggiamento di Francesco, può arrivare dal popolo armeno, che “conosce la sofferenza e il dolore, conosce la persecuzione; conserva nella sua memoria non solo le ferite del passato, ma anche lo spirito che gli ha permesso, ogni volta, di ricominciare di nuovo”.

Francesco ricorda che quest’anno è un momento in cui fare “memoria dei traguardi raggiunti” e in cui darsi obiettivi, in quanto segna il 25.mo dell’indipendenza dell’Armenia, ricorrenza per la quale i festeggiamenti “saranno tanto più significativi se diventeranno per tutti gli armeni, in Patria e nella diaspora, uno speciale momento nel quale raccogliere e coordinare le energie, allo scopo di favorire uno sviluppo civile e sociale del Paese, equo ed inclusivo”.

L’identità cristiana dell’Armenia, conclude, va di pari passo con la sua storia, e anziché “ostacolare la sana laicità dello Stato”, “piuttosto la richiede e la alimenta, favorendo la partecipe cittadinanza di tutti i membri della società, la libertà religiosa e il rispetto delle minoranze”:

“La coesione di tutti gli armeni e l’accresciuto impegno per individuare strade utili a superare le tensioni con alcuni Paesi vicini renderanno più agevole realizzare questi importanti obiettivi, inaugurando per l’Armenia un’epoca di vera rinascita”.

Infine, il Papa cita, riconoscendone il merito, l’azione di strutture quali l’ospedale di Ashtosk “Redemptoris Mater”, l’istituto educativo a Yerevan e le iniziative di Caritas Armenia e delle congregazione religiose, per assicurare che la Chiesa offre il suo contributo alla crescita della società, soprattutto al fianco dei “più deboli e più poveri, nei campi sanitario ed educativo, e in quello specifico della carità”.




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