Padre Dell’Oglio – Papa Francesco ha incontrato i famigliari di padre Paolo Dell’Oglio, il gesuita sequestrato in Siria nel luglio del 2013.
“Il Santo Padre – ha detto il direttore della Sala Stampa Vaticana – ha ricevuto stamani i familiari di Padre Paolo Dall’Oglio a Casa Santa Marta”.
Si è trattato – ha proseguito il collega Gisotti – di una udienza in “forma privata,” che si è svolta “in un clima particolarmente cordiale. Erano presenti la madre di Padre Dall’Oglio, quattro sorelle e un fratello”. “L’udienza rappresenta un gesto di affetto e vicinanza da parte del Papa alla famiglia del gesuita sequestrato in Siria nel luglio del 2013”.
Padre Dall’Oglio è noto per aver rifondato in Siria, negli Anni Ottanta, la comunità monastica cattolico-siriaca, e per il suo impegno nel dialogo interreligioso.
Per chi non ricordasse la sua storia andiamo a rivisitare la vita di padre Dell’Oglio: il sacerdote nasce a Roma il 17 novembre del 1954. Entra nella Compagnia di Gesù nel 1975, a 21 anni. Pratica il noviziato in Italia, si laurea in Lingue e Civiltà orientali all’Istituto Orientale di Napoli, ottiene un Dottorato in Dialogo con l’Islam alla Gregoriana di Roma, completa gli studi a Beirut, in Libano.
Nel 1982 scopre i ruderi del monastero cattolico siriaco Mar Musa, costruito nell’XI secolo attorno a un antico romitorio occupato nel VI secolo da San Mosè l’Etiope, e vi si insedia per un ritiro spirituale dal mondo. Nel 1984 ordinato sacerdote del rito siriaco cattolico e decide di ricostruire le mura del monastero. Nel 1992 vi fonda una comunità spirituale ecumenica mista, la comunità al-Khalil che promuove il dialogo islamico-cristiano.
Dopo la “primavera araba” e l’inizio della rivolta contro Bashar Al Assad, Paolo Dall’Oglio in svariate occasioni sostiene la causa della lotta contro il regime di Damasco. Lo fa con appelli, incontri, conferenze, attraverso una rubrica sulla rivista dei gesuiti Popoli, con un blog sull’Huffington Post Italia e utilizzando Facebook e Twitter. Il regime, ai suoi occhi colpevole di una “repressione inumana e indiscriminata che speravo proprio di non vedere nel ventunesimo secolo”, minaccia di espellerlo nel novembre del 2011.
Paolo Dall’Oglio decide per qualche mese di mantenere un “basso profilo”, senza dichiarazioni pubbliche ostili al regime. Il 23 maggio del 2012 invia a Kofi Annan, allora inviato speciale dell’Onu per la crisi siriana, una lettera aperta nella quale chiede la creazione di una forza di interposizione di tremila caschi blu, per garantire il rispetto del cessate il fuoco e la protezione della popolazione civile, accompagnati da trentamila volontari della società civile che sostengano la ripresa della vita democratica nel Paese. Il regime lo espelle il 12 giugno 2012 e lui parte “avvilito, ma non meravigliato”.
Nel febbraio dello stesso anno però ritorna in Siria attraversando il Kurdistan iracheno per un viaggio che definisce “un pellegrinaggio del dolore e della testimonianza”.
Il 24 luglio rivolge un appello al Pontefice: “Stimato e caro Papa Francesco, sapendola amante della pace nella giustizia, le chiediamo di promuovere personalmente un’iniziativa diplomatica urgente e inclusiva per la Siria, che assicuri la fine del regime torturatore e massacratore, salvaguardi l’unità nella molteplicità del paese e consenta, per mezzo dell’autodeterminazione democratica assistita internazionalmente, l’uscita dalla guerra tra estremismi armati. Chiediamo con fiducia al Papa Francesco d’informarsi personalmente sulla manipolazione sistematica dell’opinione cattolica nel mondo da parte dei complici del regime siriano, specie ecclesiastici, con l’intento di negare in essenza la rivoluzione democratica e giustificare, con la scusa del terrorismo, la repressione che sempre più acquista il carattere di genocidio”.
Il 28 luglio 2013 si perdono le sue tracce durante una nuova missione in Siria, dai contorni poco chiari. Si sospetta un rapimento da parte di gruppi jihadisti vicino Raqqa, nel nord del Paese.
La sua sorte è tutta da decifrare: recentemente sono arrivare notizie secondo le quali sarebbe vivo e starebbe operando per la pace ma mancano riscontri tangibili sulle sue condizioni da tempo, troppo tempo.