Non cessano le violenze religiose contro i cristiani in Pakistan. Nonostante i numerosi appelli e le promesse dei politici locali non si fermano gli atti intimidatori e le violenze nel paese. L’ultima notizia riguarda la storia di una donna pakistana del Punjab che ha scelto di convertirsi dall’islam al cristianesimo. Per questa sua decisione è stata minacciata di morte e costretta a fuggire dalla sua casa, per rifugiarsi in un luogo segreto e vivere appartata e ben nascosta con tutta la sua famiglia. Come racconta l’avvocato pakistano cristiano Sardar Mushtaq Gill, che difende i diritti dei cristiani in Pakistan, gruppi estremisti si stavano organizzando per giustiziare la donna “apostata” e l’intera famiglia, composta dal marito, Emmanuel Ghulam Masih, e due figli piccoli. La donna è incinta del terzo figlio. Le minacce sono arrivate ( udite udite), in primo luogo dalla famiglia musulmana della donna, che aveva sposato il cristiano Emmanuel Ghulam Masih 8(della serie prima la fazione e poi la famiglia). I familiari hanno iniziato a parlare con la famiglia di Masih, e a minacciare perché convincessero la donna a tornare all’islam.
I coniugi cristiani si sono rivolti all’avvocato Gill che, notando il rischio di violenza indiscriminata e perfino di un’esecuzione extragiudiziale, ha preferito aiutare i due a trovare un nuovo alloggio e a nascondersi.
Su quanto accaduto le dichiarazioni dell’avvocato sono molto chiare: “Lo Stato dovrebbe proteggere e salvare queste persone che esercitano la loro libertà di coscienza. Questo è un caso di intolleranza e di violenza. Se lo stato non garantirà loro adeguata sicurezza, è difficile che i due potranno sopravvivere. Il matrimonio è un sacramento tra due persone e dovrebbe essere accettato dalla famiglia musulmana della donna. Così come la sua libera scelta di convertirsi alla fede cristiana”.
Il Pakistan non prevede a livello costituzionale il reato di “apostasia”, ma lo contempla per la blasfemia. L’apostasia – che è reato penale, punibile con la morte in paesi come Afghanistan, Iran, Malaysia, Maldive, Mauritania, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Somalia, Sudan, Emirati Arabi e Yemen – è però punita secondo la legge islamica, davanti ai tribunali federali della Sharia.
Nel 2007 alcuni partiti religiosi in Pakistan proposero un disegno di legge che puniva il reato di apostasia con la pena di morte per i maschi e con l’ergastolo per le donne, ma non riuscì a passare in Parlamento.
Vi sono in Pakistan numerosi casi di omicidi extragiudiziali di “apostati”: in un caso analogo a quello segnalato dall’avvocato Gill, nel 2015 i coniugi di Lahore Aleem Masih, 28 anni, e Nadia Din Meo, 23enne, sono stati uccisi a sangue freddo perché la donna, musulmana, si era convertita al cristianesimo dopo il matrimonio.
Padre Mario Rodrigues, Direttore della Pastorale giovanile a Karachi, racconta: “Mi capitano storie di giovani musulmani che intendono convertirsi al cristianesimo in Pakistan; ma se lo facessero apertamente, ogni musulmano potrebbe sentirsi in diritto di ucciderli. Per questo i casi di conversione dall’islam al cristianesimo sono molto rari e alcuni si convertono in segreto. Quando la grazia di Dio illumina un cuore e la scelta si compie, può iniziare un vero calvario. Allora solo Cristo può dare la forza per affrontare le prove e sofferenze che si prospettano”.
Va rammentato che il Pakistan ha circa 200 milioni di abitanti, 3 dei quali sono cristiani.
Del Paese si parla soprattutto con riguardo alle provincie del Nord Ovest e all’area di Peshawar, culla dell’insorgenza talebana, in bilico fra collusione e contrasto al potere centrale di Islamabad.
A far parlare di sé sono sempre i talebani del TTP, riunificati dal 2015 con Jamat Ul Ahrar, cartello sunnita integralista che in barba a Resolute Support, è sempre più forte nelle regioni dell’Afghanistan orientale. Pur nel mix di alleanze e rivalità tra clan, l’asse di etnia pashtun tra talebani afghani e pakistani a cavallo della Linea Durand (3000 km di confine fra Afghanistan e Pakistan, in realtà niente più che un tratto di penna…) ha un grande rilievo geopolitico: un ritorno dei talebani a Kabul garantirebbe un serbatoio strategico a Islamabad, in un’ottica regionale anti indiana. Il Pakistan ufficialmente impegnato contro il terrorismo internazionale, è in realtà più interessato ad influenzare Kabul e a tenere in disordine l’intera area. L’expertise dell’intelligence pakistana (ISI) in questo ambito è risaputo: tutti i lavori sporchi del Kashmir hanno radice logistica proprio nelle terre senza legge fra Jalalabad e Peshawar. L’odio islamico nel Punjab per tradizione orientato contro simboli della vicina India, sempre più spesso ha cominciato a prendere di mira la comunità cristiana, cospicua per numeri assoluti ma relativamente esigua. A Lahore i morti sono stati circa 70 e nella rivendicazione è stata ribadita la matrice confessionale.
Tra torpore, pigrizia e condanne di facciata, l’Occidente si è girato dall’altra parte. Le dichiarazioni ufficiali hanno di nuovo spinto molto sulla parola “minoranze” e poco sul termine “cristiane”.
Anche oltre frontiera, in terra indiana, la situazione appare tesa ed a rischio anche se in questo caso la matrice non è islamica ma induista, con riferimento specifico al partito nazionalista Rashtriya Swayamsevak Sangh.
Le istituzioni indiane appaiono molto meno solerti quando si tratta di difendere i diritti di chi ha un peso politico trascurabile. In altri termini: “se intervenire a favore dei cristiani compromette gli equilibri interni della Grande India, allora è meglio chiudere un occhio, anzi due…”
L’intento appare chiaro: svuotare una cultura di suoi contenuti per imporne altri.
Sostenere che l’Occidentem possa essere considerato complice è un eufemismo. Oltre agli allarmi lanciati dalla Santa Sede sui media di queste notizie ne arrivano con il contagocce.
L’essere cristiani in tempi di relativismo diventa una colpa per cui è giusto pagare. Una scelta che porta al “te la sei cercata” e che attinge addirittura alla nemesi storica: “anche i cristiani in passato hanno perseguitato”. Qualche ardito incursore del laicismo ad oltranza ogni tanto rispolvera addirittura Giordano Bruno e Galileo pur di minimizzare le violenze e i soprusi contro i cristiani dei nostri tempi.
L’idea su cui riflettere è che la cristiano-fobia nel mondo sia profondamente legata ai riferimenti culturali ormai regnanti in Europa e in America. Se essere cristiano in molti Paesi è diventato un crimine, in parte è dovuto al fatto che nazioni di cultura e tradizione cristiana non reagiscono, anzi, troppo spesso si fingono sdegnate ma poi non fanno nulla, se non qualche presa di posizione di facciata, per arginare un fenomeno inquietante. Il policentrismo etico ha inciso molto nell’affermazione di principi e convinzioni discutibili, dando indirettamente fiato a culture più violente e radicali. Come non ricordare il tentativo di molti governi di far credere che chi è cristiano deve esserlo in privato, nel rispetto di fantomatici “altri” (vedi Crocifisso nelle scuole).
Con la prima si crea una spaccatura fra mondo illuminato e mondo cristiano, divisione non presente nelle culture non occidentali, favorendo anche scelte geopolitiche in contrasto con i propri retaggi culturali. Come esempio basti pensare che noi occidentali ignoriamo il principio di reciprocità per il rispetto delle minoranze religiose con tutti i Paesi a maggioranza non cristiana.
Tornando al Pakistan, la legge contro la blasfemia viene utilizzata come strumento di pressione: la semplice professione di fede cristiana può diventare bestemmia punibile con la pena di morte. In generale, i membri delle minoranze religiose soffrono nel paese di abusi crescenti che riguardano omicidi, sequestri e intimidazioni. Le manifestazioni di intolleranza, anche violenta, sono numerose e molti sono gli esempi ‘storici’ eclatanti: nel 2010 a Gorja, nel Punjab, una folla di mille persone ha attaccato un quartiere cristiano, bruciando vive sei persone, tra le quali un bambino. Nello stesso anno la condanna a morte per blasfemia di una donna cristiana, Asia Bibi, ha sollevato ampie proteste internazionali ed il caso non è stato ancora risolto a distanza di 7 anni. L’Asian Human Rights Commission ha inoltre denunciato la diffusione ormai allarmante raggiunto dalla pratica del sequestro e dello stupro di donne per forzarne la conversione all’islam: il fenomeno si estende e si allarga anche per l’atteggiamento delle forze di polizia, che si schiera a fianco dei gruppi islamisti e tratta le minoranze religiose come “forme inferiori di vita”. La pressione e la discriminazione in atto contro i cristiani sono confermate anche da provvedimento dell’Autorità per le Telecomunicazioni che ha imposto alle società di telefonia mobile di bloccare ogni SMS contenente la parola “Gesù Cristo”.
Per concludere qualche dato: i due continenti nei quali le persecuzioni contro i cristiani sono maggiormente presenti sono l’Africa e l’Asia. In generale nei paesi arabi i cristiani, nonostante in tutto il Vicino Oriente ed in Nordafrica incluso il Sudan costituissero la popolazione originaria, sono oggetto, da parte della popolazione musulmana, di forme di discriminazione più o meno gravi, che negli ultimi decenni hanno portato molti di loro a emigrare o forzati a convertirsi all’Islam. La popolazione cristiana è in calo più o meno pronunciato in tutti i paesi del Vicino Oriente, ed in via di sparizione dall’Iraq. La conversione di musulmani al Cristianesimo è poi vista come un crimine (apostasia) la cui pena è la morte e, anche nei paesi in cui la legge non la vieta apertamente, i convertiti sono spesso oggetto di minacce, vendette, ricatti, linciaggi da parte della popolazione. Alcune organizzazioni monitorano tale fenomeno e redigono da anni un elenco dei 50 paesi nei quali è più pericoloso essere cristiani.
L’Europa non è inserita in questa ‘speciale’ classifica ma le spetta un ruolo importante. Oltre a disinteressarsi dei problemi dei cristiani negli altri continenti (Russia e Vaticano esclusi), i governi europei sono sempre meno tolleranti con i cristiani ed i loro simboli religiosi. Ne abbiamo scritto e parlato numerose volte e lo continueremo a fare ma sulla discussioni inerenti le radici cristiane dell’Europa è sempre bene rivolgere un interrogativo ai tanti relativisti italiani: ma dove sarebbe il vecchio continente senza i valori e gli insegnamenti del cristianesimo?