La Turchia di Erdogan post referendum

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Migliaia di sostenitori del fronte del “No” al referendum costituzionale che si è tenuto ieri in Turchia sono scesi in piazza a Istanbul contro il risultato del voto che amplia i poteri del presidente Recep Tayyip Erdogan e contro presunti brogli.

Almeno 1.000 persone si sono riunite a Besiktas sulla sponda europea della città, mentre altri 2.000 dimostranti hanno percorso le vie di Kadikoy, sulla sponda asiatica.

I principali partiti d’opposizione, il Chp e il filo-curdo Hdp, hanno annunciato che faranno ricorso contro il risultato per le schede non timbrate e brogli nello spoglio.

La polizia ha tenuto un profilo basso fino a questo momento contro le proteste pacifiche che si sono svolte in queste ore. Anche in altre città sono scesi in piazza manifestanti e i media turchi riportano di 13 arrestati ad Antalya.

Il fronte del “Sì” ha vinto con il 51,41% ma gli osservatori internazionali hanno bocciato il voto che non ha superato gli standard europei, provocando le ire di Ankara.

Per l’Osce il voto “non è stato all’altezza degli standard internazionali“. Per il presidente Erdogan gli osservatori internazionali devono “stare al loro posto” e astenersi da attacchi tutti “politici”: il referendum costituzionale in Turchia, secondo il Sultano, è stata “l’elezione più democratica” vista in ogni Paese occidentale e la vittoria del Sì è un trionfo contro le nazioni con “una mentalità da crociati“. Mentre l’opposizione filo curda chiede l’annullamento del voto minacciando un ricorso alla Corte europea dei diritti umani. Alta tensione tra Turchia e organizzazioni internazionali nel day after del referendum.

Ma cosa cambierà con la contestata riforma? Poteri sempre più illimitati per Erdogan?

La risposta è indubbiamente affermativa: laLa riforma Costituzionale aumenta a dismisura i poteri del Presidente della Repubblica e restringe quelli del Parlamento. Con la vittoria del sì, il presidente in carica, Recep Tayyip Erdogan, esce notevolmente rafforzato e potrà continuare a rimanere al potere fino al 2029. L’esecutivo sarà totalmente concentrato nelle mani del presidente e sparirà la figura del premier. Per gli avversari il nuovo sistema non avrà alcun contrappeso, aprendo la strada a un regime autocratico.

Il Capo dello Stato sarà eletto direttamente dal popolo, come sancito dal referendum costituzionale del settembre 2010; e acquisisce tutti i poteri esecutivi fino ad oggi attribuiti al premier. Il nuovo capo dello Stato avrà l’autorità per proporre leggi e rimettere al Parlamento disegni di legge chiedendone la revisione e, qualora sorgano dubbi di costituzionalità, chiedere la pronuncia da parte della Corte Costituzionale. Il presidente della Repubblica acquisisce la funzione di nomina e destituzione di vicepresidenti, ministri e funzionari governativi, ma soprattutto il potere di emettere decreti legislativi su argomenti normalmente di competenza del governo, con l’esclusione di materie relative a libertà fondamentali e diritti civili e politici. Il presidente potrà mantenere il legame con il proprio partito di provenienza, nel caso di Erdogan il partito della Giustizia e Sviluppo (Akp), legame che attualmente deve essere troncato a favore di un giuramento di totale imparzialità. In caso di stato di emergenza, il presidente della Repubblica potrà anche proporre la sospensione o la limitazione di diritti civili e libertà fondamentali.

Parlamento: viene ridimensionato il ruolo di controllo che il Parlamento esercita su governo e presidente, potrà solo richiedere informazioni, indire riunioni per discutere le azioni dell’esecutivo e del capo dello Stato, potrà sollecitare risposte da parte dei singoli ministri con domande poste per iscritto. Viene abolita la mozione di sfiducia del Parlamento nei confronti di presidente ed esecutivo.




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