Prosegue il viaggio apostolico di Papa Francesco in America Latina. Ieri mattina, (pomeriggio in Italia), congedatosi dalla Nunziatura, ha dedicato del tempo agli anziani della casa di riposo delle Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta, a Tumbaco, quartiere povero di Quito, dove a dominare il paesaggio sono baracche e case sterrate.
All’arrivo è stato accolto dalla superiora della piccola comunità che lo ha accompagnato nella Cappella dove le suore si sono riunite per un momento di preghiera silenziosa. Poi il Papa ha incontrato gli anziani ospiti della Casa in cortile, chinandosi su ciascuno degli ospiti, 70 anziani in gran parte non autosufficienti.
Quindi l’incontro con il clero, i religiosi, le religiose e i seminaristi nel Santuario nazionale mariano “El Quinche”. Qui il Papa ha messo da parte il discorso preparato (che ha consegnato e dato per letto) e ha parlato a braccio: “Cari fratelli e sorelle, porto ai piedi di Nostra Signora del Quinche quanto vissuto in questi giorni della mia visita; desidero affidare al suo cuore gli anziani e gli infermi, con i quali ho condiviso un momento presso la casa delle Sorelle della Carità, e anche tutti gli altri incontri che ho avuto in precedenza. Li lascio nel cuore di Maria, ma li deposito anche nei cuori di voi sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi, affinché, chiamati a lavorare nella vigna del Signore, siate custodi di tutto quanto questo popolo dell’Ecuador vive, soffre e gioisce. Ringrazio Mons. Lazzari, il Padre Mina e la sorella Sandoval per le loro parole, che mi danno lo sunto per condividere con tutti voi alcune cose nella comune sollecitudine per il Popolo di Dio.
Nel Vangelo, il Signore ci invita ad accogliere la missione senza porre condizioni. È un messaggio importante che non è bene dimenticare e che, in questo Santuario dedicato alla Vergine della Presentazione, risuona con un accento particolare. Maria è un esempio di discepola per noi che, come lei, abbiamo ricevuto una vocazione. La sua risposata fiduciosa: «Avvenga per me secondo la tua Parola» (Lc 1,38), ci ricorda le sue parole alle nozze di Cana: «Qualsiasi cosa vi dica fatela» (Gv 2,5). Il suo esempio è un invito a servire come lei.
Nella Presentazione della Vergine possiamo trovare alcuni suggerimenti per la chiamata di ognuno di noi. La Vergine Bambina è stata un dono di Dio per i suoi genitori e per tutto il popolo che aspettava la liberazione. È un fatto che si ripete frequentemente nella Scrittura: Dio risponde al grido del suo popolo, inviando un bambino, debole, destinato a portare la salvezza e che, allo stesso tempo, rinnova la speranza dei genitori anziani. La parola di Dio ci dice che nella storia di Israele i giudici, i profeti, i re sono un dono del Signore per far giungere la sua tenerezza e la sua misericordia al suo popolo. Sono segno della gratuità di Dio: è Lui che li ha eletti, scelti e inviati. Questo ci libera dall’autoreferenzialità, ci fa comprendere che non ci apparteniamo più, che la nostra vocazione ci chiede di rinunciare ad ogni egoismo, ad ogni ricerca di guadagno materiale o di compensazione affettiva, come ci ha detto il Vangelo. Non siamo mercenari, ma servitori; non siamo venuti per essere serviti, ma per servire e lo facciamo con pieno distacco, senza bastone e senza bisaccia.
Alcune tradizioni concernenti il titolo di Nostra Signora del Quinche ci dicono che Diego de Robles realizzò l’immagine su incarico degli indigeni Lumbicí. Diego non lo faceva per devozione, lo faceva per un beneficio economico. Dato che non poterono pagarlo, la portò a Oyacachi e la barattò per delle tavole di cedro. Diego inoltre non accolse la richiesta di quella gente di fare anche un altare all’immagine, finché, cadendo da cavallo, si trovò in pericolo e sentì la protezione della Vergine. Ritornò al villaggio e fece il piedistallo dell’immagine. Anche ciascuno di noi ha fatto l’esperienza di un Dio che ci viene incontro all’incrocio, che nella nostra condizione di persone cadute, abbattute, ci chiama. Che la vanagloria e la mondanità non ci facciano dimenticare da dove Dio ci ha riscattati!, che Maria del Quinche ci faccia scendere dalle nostre ambizioni, dai nostri interessi egoistici, dalle eccessive attenzioni verso noi stessi! L’«autorità» che gli apostoli ricevono da Gesù non è per il loro vantaggio: i nostri doni sono destinati a rinnovare e edificare la Chiesa. Non rifiutate di condividere, non fate resistenza a dare, non rinchiudetevi nella comodità, siate sorgenti che tracimano e rinfrescano, specialmente gli oppressi dal peccato, dalla delusione, dal rancore (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 272).
Il secondo punto che mi richiama la Presentazione della Vergine è la perseveranza. Nella suggestiva iconografia mariana di questa festa, la Vergine Bambina si allontana dai suoi genitori salendo la scalinata del tempio. Maria non guarda indietro e, con chiaro riferimento al monito evangelico, cammina decisa in avanti. Anche noi, come i discepoli nel Vangelo, ci mettiamo in cammino per portare ad ogni popolo e luogo la Buona Notizia di Gesù. Perseveranza nella missione significa non andare girando di casa in casa, cercando dove ci trattino meglio, dove ci siano più mezzi e comodità. Richiede di unire la nostra sorte a quella di Gesù sino alla fine. Alcune relazioni delle apparizioni della Vergine del Quinche ci dicono che una “signora con un bambino in braccio” visitò per alcuni pomeriggi di seguito gli indigeni di Oyacachi quando questi cercavano rifugio dagli assalti degli orsi. Varie volte Maria andò incontro ai suoi figli; loro non le credevano, dubitavano di questa signora, però restarono ammirati dalla sua perseveranza nel ritornare ogni pomeriggio al calar del sole. Perseverare, anche se ci respingono, anche se viene la notte e crescono lo smarrimento e i pericoli. Perseverare in questo sforzo, sapendo che non siamo soli, che è il Popolo Santo di Dio che cammina.
In qualche modo, nell’immagine della Vergine bambina che sale al Tempio, possiamo vedere la Chiesa che accompagna il discepolo missionario. Insieme a lei ci sono i suoi genitori, che le hanno trasmesso la memoria della fede e ora generosamente la offrono al Signore perché possa continuare la sua strada; c’è la sua comunità rappresentata nel “seguito delle vergini”, nelle “sue compagne”, con le lampade accese (cfr Sal 44,15) e nelle quali i Padri della Chiesa vedono una profezia di tutti quelli che, imitando Maria, cercano con sincerità di essere amici di Dio, e ci sono i sacerdoti che la aspettano per riceverla e che ci ricordano che nella Chiesa i pastori hanno la responsabilità di accogliere con tenerezza e di aiutare a discernere ogni spirito e ogni chiamata. Camminiamo uniti, sostenendoci gli uni gli altri, e chiediamo con umiltà il dono della perseveranza nel suo servizio. Nostra Signora del Quinche è stata occasione di incontro, di comunione, per questo luogo che dai tempi dell’Impero Inca si era costituito come un insediamento multietnico. Com’è bello quando la Chiesa persevera nel suo sforzo per essere casa e scuola di comunione, quando generiamo quello che mi piace definire la cultura dell’incontro!
L’immagine della Presentazione ci dice che, una volta benedetta dai sacerdoti, la Vergine bambina si sedette sui gradini dell’altare e poi, alzatasi in piedi, danzò. Penso alla gioia che si esprime nelle immagini del banchetto di nozze, degli amici dello sposo, della sposa adornata con i suoi gioielli. È la gioia di chi ha scoperto un tesoro e ha lasciato tutto per averlo. Incontrare il Signore, vivere nella sua casa, partecipare alla sua intimità, impegna all’annuncio del Regno e a portare la salvezza a tutti. Attraversare le soglie del Tempio esige di trasformarci come Maria in templi del Signore e metterci in cammino per portarlo ai fratelli. La Vergine, come prima discepola missionaria, dopo l’annuncio dell’Angelo, partì senza indugio verso un villaggio della Giudea, per condividere questa immensa esultanza, la stessa che fece sussultare san Giovanni Battista nel grembo di sua madre. Chi ascolta la sua voce “sussulta di gioia” e diventa a sua volta predicatore della sua gioia. La gioia di evangelizzare muove la Chiesa, la fa uscire, come Maria. Anche se sono molte le ragioni che si considerano per il trasferimento del santuario da Oyacachi a questo luogo, mi fermo su una in particolare: “Qui è ed è stato più accessibile, è più comodo e vicino a tutti”. Così ha inteso l’Arcivescovo di Quito, Fra Luis López de Solís, quando ordinò di edificare un Santuario capace di convocare e accogliere tutti. Una Chiesa in uscita è una Chiesa che si avvicina, che si adatta per non essere distante, che esce dalla sua comodità e ha il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo (Esort. ap. Evangelii gaudium, 20).
Ritorneremo ora alle nostre responsabilità, interpellati dal santo Popolo che ci è stato affidato. Tra queste, non dimentichiamo di aver cura, di animare e di educare la devozione popolare che si tocca con mano in questo Santuario ed è tanto diffusa in molti Paesi latinoamericani. Il popolo fedele ha saputo esprimere la fede col proprio linguaggio, manifestare i suoi più profondi sentimenti di dolore, dubbio, gioia, fallimento, gratitudine con diverse forme di pietà: processioni, veglie, fiori, canti che si trasformano in una magnifica espressione di fiducia nel Signore e di amore a sua Madre, che è anche la nostra.
A Quinche, la storia degli uomini e la storia di Dio confluiscono nella storia di una donna, Maria. E in una casa, la nostra casa, la sorella madre terra. Le tradizioni di questo titolo evocano i cedri, gli orsi, la fenditura nella roccia che qui è stata la prima casa della Madre di Dio. Ci parlano del passato di uccelli che avevano attorniato il luogo, e dell’oggi dei fiori che adornano i dintorni. Le origini di questa devozione ci portano in tempi quando era più semplice «la serena armonia con il creato […] per contemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò ci circonda, e la cui presenza non deve essere costruita» (Enc. Laudato si’, 225), ma che ci si rivela nel mondo creato, nel suo Figlio amato, nell’Eucaristia che permette ai cristiani di sentirsi membra vive della Chiesa e di partecipare attivamente alla sua missione (cfr Documento di Aparecida, 264), in Nostra Signora del Quinche, che accompagnò da qui gli albori del primo annuncio della fede ai popoli indigeni. A lei affidiamo la nostra vocazione; che renda ciascuno di noi dono per il nostro popolo, che ci dia la perseveranza nell’impegno e nell’entusiasmo di uscire a portare il Vangelo di suo figlio Gesù – uniti ai nostri pastori – fino ai confini, fino alle periferie del nostro caro Ecuador.
Alle 12 (le 19 in Italia) il Papa è partito in aereo da Quito per il secondo dei tre Paesi del suo viaggio pastorale, la Bolivia. E’ atterrato a La Paz, l’aeroporto più alto del mondo (4mila metri), dove ha tenuto un discorso di benvenuto. Subito dopo ha salutato il presidente Evo Morales nel Palazzo del governo e infine nella Cattedrale di La Paz ha incontrato le autorità civili.
Alle 20 la partenza in aereo per Santa Cruz de la Sierra.
Un bilancio della prima parte del viaggio del Pontefice in America Latina è stato tracciato da padre Lombardi.
Il portavoce vaticano e direttore della Radio Vaticana si è dapprima soffermato sulla forza fisica di Francesco: “ Il Papa sta sempre bene: non solo perché devo dirlo io, ma perché è vero e perché se uno vede quello che fa non può che restare ammirato della energia straordinaria. Ma poi anche vedendolo da vicino, nonostante gli impegni di queste giornate, lo si vede sempre effettivamente sereno, totalmente tranquillo, padrone di sé, attento alle diverse persone che incontra, attento anche ai particolari… Quindi, manifesta veramente una capacità di vivere questi periodi così straordinari di impegni con una totale possibilità di far fronte a ogni aspetto”.
Il Pontefice ha a celebrato al Parque Bicentenario a Quito, ha incontrato il mondo dell’università, il mondo civile: “ Nella capitale tutta la giornata ed effettivamente questo ha permesso di svolgere un programma con tutta una serie di avvenimenti molto importanti: a partire dall’incontro con i vescovi, che era privato ma che aveva tutta una sua importanza in una logica di visita pastorale, di Chiesa. Poi, questa Messa straordinaria al Bicentenario che era stata anche preparata benissimo: una celebrazione che è stato veramente un piacere vivere, non solo per la ricchezza dei contenuti ma anche per la cura spirituale con cui era stata preparata. Quello con il mondo dell’educazione è un po’ caratteristico di questa tappa dell’Ecuador: era stato voluto anche dalla Chiesa in Ecuador proprio per incoraggiare il grande impegno educativo della Chiesa, ma inserito nella realtà più ampia e complessa, complessiva del mondo educativo. E questo ha dato modo al Papa di toccare una serie di grandi problemi che naturalmente riguardano non solo l’educazione specificamente in sé, ma i grandi valori che vengono comunicati attraverso l’educazione: quindi, come le grandi domande del mondo di oggi – il Papa ha fatto riferimento in particolare alle domande che ha trattato anche nell’ultima Enciclica “Laudato si’” –diventano le domande che si trasmettono e che permettono di impostare l’educazione così da aiutare i giovani a prepararsi a rispondere a queste domande dell’umanità di oggi, con la loro responsabilità e con una loro adeguata preparazione.
Il Papa, in tutti gli interventi di questi giorni, in un modo o nell’altro, è riuscito a dare un messaggio di dialogo, di solidarietà, di orientamento per la costruzione di una società armonica, inclusiva, capace di integrare tutte le sue diverse componenti, di integrare la creatività di queste diverse componenti e la loro responsabilità, in una preoccupazione comune del bene comune della nazione. E il metodo che il Papa ha scelto nel suo discorso è stato quello di partire dall’esperienza concreta della famiglia, dei valori familiari, e allargare i valori che si sperimentano nella costruzione della comunità familiare alla società. E quindi ha indicato una via molto concreta per impostare questo discorso che lui ha centrato sugli atteggiamenti che ognuno deve avere per dare positivamente il suo contributo all’avvenire del suo Paese.
Questo viaggio è un’esperienza bellissima. Abbiamo visto centinaia di migliaia di persone sulle strade, nei grandi avvenimenti, che erano contente di essere lì dove il Papa sarebbe passato, potendolo poi a volte vedere, ma neanche poi tanto, perché magari poi il Papa passava in una piccola macchina chiusa… Eppure, la gente era tutta lì perché sapeva che il Papa passava e piangeva di gioia, di commozione”.
Raffaele Dicembrino