Resta alta la tensione nelle Filippine per le problematiche inerenti la pena di morte. Da una parte la politica che, cerca il pugno duro e vuole convincere gli uomini di Chiesa che per fermare il male è necessario colpire con altro male e, dall’altra parte i prelati che continuano a battersi per far capire a chi governa che il male e la violenza vanno combattuti con l’amore. Difficile prevedere chi la spunterà! Certo nelle Filippine sono giornate difficili, la popolazione è allo sbando e le polemiche causano forti tensioni.
“Quello che chiediamo ai nostri politici è la coerenza e di votare sulla pena di morte secondo coscienza. Chiediamo di non usare la fede per convenienza politica. Molti politici scendono in campo per dire sì alla vita, poi votano a favore della pena di morte. La coscienza illuminata dalla fede è molto importante in politica, come in ogni altra scelta della vita umana. Le scelte nella vita personale o privata non possono essere in contraddizione con quelle nella vita pubblica”:
Questo il grido di padre Melvin Castro, Segretario esecutivo della Commissione “Famiglia e vita” nella Conferenza episcopale, mentre il Senato filippino si prepara a votare la legge sul ripristino della pena di morte, già approvata dal Congresso. Il voto in Senato è previsto il 2 maggio e nell’assemblea la maggioranza è detenuta da membri del partito del presidente Duterte, promotore della legge.
“La Chiesa insegna questo, la sacralità di ogni vita. Vogliamo vivere in una nazione che tenga sempre presente il principio del rispetto della dignità inalienabile di ogni uomo e ogni donna e dei diritti umani fondamentali”.
La Conferenza episcopale delle Filippine, in una recente dichiarazione pubblica, letta in tutte le chiese, ha presentando diverse buone ragioni per respingere il disegno di legge sulla pena capitale. I vescovi affermano che la pena di morte “non è necessaria”, “non assicura maggiore giustizia”, “non aiuterà il paese”.
Infatti, ogni pena, osservano i presuli, deve avere un valore rieducativo e deve avere come obiettivo la “guarigione e il cambiamento di vita” di chi commette un reato, e non avere carattere di vendetta. Inoltre, secondo dati della Corte Suprema, gli errori giudiziari nei casi di condanne alla pena capitale sono oltre il 70%, mentre “nessuno studio dimostra che l’imposizione della pena di morte è un efficace deterrente contro il crimine”, nota il messaggio dei vescovi.
Per questo l’appello chiede esplicitamente ai senatori di “respingere la reintroduzione della pena di morte”. I vescovi, infine, invitano i fedeli a pregare costantemente perchè” lo Spirito santo illumini e guidi le menti e le coscienze dei legislatori”, chiamati a compiere una scelta che avrà ripercussioni sulla vita di molte persone e sul futuro del paese.
La pena di morte nelle Filippine è argomento controverso e dibattuto. Le Filippine sono attualmente uno dei 120 stati del mondo in cui non è prevista l’applicazione della pena capitale, mentre in 76 altri stati questa è utilizzata.
Fu utilizzata sino al 1986, quando il governo di Corazón Aquino ne annunciò la sospensione, avvenuta infine con la creazione della Costituzione del 1987. Ciò rese le Filippine il primo paese in Asia ad abolire la pena capitale. Fidel Valdez Ramos la reintrodusse nel 1993, mentre le prime condanne ripresero a partire dal 1999 nel corso del governo di Joseph Estrada.
L’amministrazione di Gloria Macapagal-Arroyo approvò una moratoria sulla pena di morte e questa fu abolita del tutto, per la seconda volta, nel 2006. Sin da allora, i filippini hanno avuto pareri contrastanti riguarda la condanna a morte: molti vi si oppongono per motivi religiosi e umanitari, mentre altri la ritengono come un modo per scoraggiare i crimini.
Da ricordare che durante il colonialismo spagnolo nelle Filippine, la maggior parte delle condanne venivano eseguite mediante fucilazione, solitamente riservato ai combattenti per l’indipendenza ma utilizzato anche per reati militari o tradimento, oppure garrota (un noto esempio è quello del Gomburza). Anche l’impiccagione era assai diffusa.
Un’importante condanna a morte eseguita durante questo periodo fu quella dell’eroe nazionale José Rizal, fucilato la mattina del 30 dicembre 1896 al parco che oggi porta il suo nome.
Nel 1926 il governo coloniale degli Stati Uniti d’America introdusse nel paese la sedia elettrica, rendendo le Filippine l’unico altro paese ad impiegare questo metodo. L’ultima esecuzione in epoca coloniale avvenne durante la gestione del Governatore-generale Theodore Roosevelt Jr., nel febbraio 1932. Non vi furono altre condanne a morte nel corso dell’amministrazione di Manuel L. Quezon, il primo presidente del Commonwealth.
Tornando all’attualità invece il presidente in carica non sembra aver dubbi di sorta.
Rodrigo Duterte, il sindaco della grande città meridionale di Davao eletto presidente delle Filippine con un programma molto duro contro la criminalità, si è impegnato a ripristinare la pena di morte e ad autorizzare la polizia a “sparare per uccidere”.
Nel corso della sua prima conferenza stampa dopo la sua elezione,lo scorso 9 maggio, Duterte, 71 anni e avvocato, accusato dalla presidente uscente Benigno Aquino di essere un potenziale dittatore, ha voluto spiegare in dettaglio il suo programma contro la criminalità.
“Colpirò duramente il traffico di droga e prometto l’inferno ai criminali”, ha detto in un hotel di Davao dopo essersi impegnato, durante la sua campagna elettorale, di risolvere entro sei mesi il problema della criminalità. Chiederò al congresso di ripristinare la pena di morte per impiccagione”, ha aggiunto, appoggiando l’uso della pena capitale – abolita nel 2006 – per i reati di traffico di droga, stupro, omicidio e furto. Come metodo preferirebbe l’impiccagione al plotone di esecuzione, spiegando di non voler sprecare proiettili e che il patibolo è più umano.
Rodrigo Duterte ha dichiarato di voler dare alla polizia il diritto di “sparare per uccidere” nelle operazioni contro il crimine organizzato. “Se qualcuno oppone resistenza, il mio ordine è di sparare per uccidere”, ha detto. Per questo saranno mobilitati anche dei militari tiratori scelti.
Duterte ha inoltre annunciato la sua intenzione di imporre il divieto di consumare alcol in luoghi pubblici dopo le due di notte e il divieto per i bambini di uscire da soli la sera. Se saranno trovati per strada, i loro genitori saranno arrestati per “abbandono”.
Durante la sua campagna elettorale Duterte aveva promesso di eliminare decine di migliaia di criminali (”moriranno centomila persone e i loro corpi ingrasseranno i pesci nella baia di Manila”), suscitando l’indignazione dei suoi avversari, ma anche conquistando decine di milioni filippini stanchi di crimini e corruzione.
Duterte è stato accusato di aver creato degli squadroni della morte quando era sindaco di Davao che ora, secondo lui, è uno dei più sicuri in tutto l’arcipelago. Come andrà a finire? La Chiesa ha preso una netta posizione ma l’epilogo è in mano ai cittadini (!?).
Raffaele Dicembrino