Filippine – Duterte e la dura repressione contro la droga

485

Il fenomeno della droga nelle Filippine resta grave e difficile da debellare. Il presidente Duarte sta utilizzando delle maniere poco ortodosse che non trovano l’appoggio dei vescovi trascinando una storia che va avanti da alcuni mesi senza trovare soluzioni adeguate. Per anni vi è stato troppo permissivismo contro il male dilagante delle sostanze stupefacenti ed ora con Duterte ecco la stretta che sta portando all’utilizzo di metodi violenti e repressivi.
Così ecco il generale Ronald “Bato” Dela Rosa, direttore capo della polizia nazionale filippina (Pnp), ribadire l’invito alla Chiesa cattolica ad unirsi alle autorità nella violenta campagna antidroga voluta dal presidente Duterte ma la risposta della Chiesa non si è fatta attendere.
La Conferenza episcopale filippina ha respinto la proposta legata alla campagna antidroga del governo Duterte. “La Chiesa infatti sostiene qualsiasi strategia se non comporta uccisioni, corruzione e ingiustizie”, mentre la vice presidente Leni Robredo critica la guerra alla droga: “i filippini ora sono disperati e indifesi”.
Da mesi i vescovi filippini sono impegnati in una dura opposizione alla “cultura di morte” di tale politica, che in soli 8 mesi ha provocato la dipartita di oltre 7 mila persone per mano della polizia. Il generale ha chiarito che l’invito è esteso ai rappresentanti di tutte le confessioni religiose. I vescovi, che già in passato hanno rifiutato l’invito del generale, hanno ribadito il proprio dissenso. Sospesa in via temporanea, la guerra al traffico di stupefacenti viene ora reintrodotta in tutto il Paese.
La Conferenza episcopale filippina (Cbcp) aveva già respinto la proposta di Dela Rosa per un impegno congiunto Pnp-Chiesa, affermando che i sacerdoti non sono tenuti a dimostrare il loro sostegno nella lotta alla droga prendendo parte alle nuove operazioni della polizia.
Padre Jerome Secillano, direttore del Public Affairs Committee della Cbcp, ha affermato: “La Chiesa sostiene qualsiasi strategia [nel combattere il traffico di stupefacenti ndr], fin quando questa non comporti uccisioni, corruzione e ingiustizie”.

Dela Rosa sostiene che la presenza di uomini di Chiesa durante le operazioni potrebbe ammorbidire i sospettati e spingerli a consegnarsi alle autorità in modo pacifico, invece di opporre una resistenza violenta. “Se vedono uomini di Chiesa accompagnare i funzionari di polizia, sono convinto che si arrenderanno in maniera tranquilla” – ha spiegato il Generale.
Da quando il presidente Duterte si è insediato alla fine di giugno, la polizia riferisce che circa 2.500 persone sono state uccise durante le operazioni antidroga, nella maggior parte dei casi per legittima difesa da parte degli agenti. Altre 4.500 persone sono morte in circostanze inspiegabili. Le autorità imputano queste morti alle rivalità tra bande di criminali dedite allo spaccio.

Il violento approccio del governo Duterte al problema del traffico di droga non cessa di sollevare critiche e denunce in tutta la società. La vice presidente Leni Robredo dichiara oggi che la guerra condotta dal presidente ha reso i cittadini filippini “disperati e indifesi”, con la fiducia nella polizia erosa dalle migliaia di esecuzioni sommarie.
In un video-messaggio pubblicato on-line in previsione di un incontro delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, Leni Robredo ha affermato che sono molti i casi in cui la polizia detiene persone innocenti in uno schema noto come “teste di scambio”. Secondo la vice presidente, quando gli agenti di polizia non trovano un sospettato, sono soliti arrestare un suo familiare, in attesa che il ricercato si consegni.

La vice presidente delle Filippine ha inviato un video mostrato durante la conferenza annuale sulle droghe dell’Onu di ieri 16 marzo a Ginevra. Nel video messaggio Leni Robredo ha messo in discussione la guerra iniziata dal presidente Duterte e ha definito le uccisioni “esecuzioni sommarie”. “I Filippini colpiti erano senza speranza e privi di auto. Il numero di vittime connesse al narcotraffico continua ad aumentare”, secondo le dichiarazioni di Robredo nel video che è già stato diffuso su youtube. “Abbiamo dei dati statistici preoccupanti: più di 7 mila persone sono state uccise con esecuzioni sommarie dallo scorso luglio 2016. I cittadini del nostro paese hanno bisogno di un ambiente sicuro”, continua la dichiarazione della Vice Presidente. Il governo non ha ancora diffuso alcun commento in merito al video.
La Robredo ha lancitoa infine un appello per un maggiore controllo internazionale sulla controversa repressione del presidente Rodrigo Duterte nei confronti dei suoi oppositori.

Nel difendere la rilanciata campagna contro il traffico di stupefacenti, Dionardo Carlos, portavoce della Pn, afferma che la guerra alla droga è stata pensata per salvare la vita di circa 1,18 milioni di tossicodipendenti in tutto il Paese.
Il sostegno alle politiche presidenziali, come la lotta alla droga e la reintroduzione della pena di morte, è divenuto un criterio di valutazione dell’obbedienza a Duterte.

In queste ore la maggioranza della Camera dei rappresentanti ha infatti approvato la rimozione dagli incarichi nelle commissioni e nelle agenzie governative, di tutti i parlamentari che si sono opposti al disegno di legge del governo di reintrodurre la pena di morte. Il provvedimento fa seguito alle minacce del presidente della Camera Pantaleon Alvarez, che in precedenza aveva promesso ritorsioni nei confronti degli oppositori alle politiche del governo Duterte.
Il 6 marzo scorso Alvarez aveva proposto la tassazione degli istituti scolastici gestiti dalla Chiesa cattolica. Molti analisti ritengono che questo provvedimento sia una rappresaglia per le forti critiche che i vescovi hanno rivolto all’amministrazione in merito alla reintroduzione della pena capitale.

Come narravamo questo non sarà certo l’atto finale di una vera e propria sfida alla Chiesa.
Dall’elezione di Duterte avvenuta nel maggio 2016 sono stati uccisi circa 3mila presunti spacciatori di droga filippini. Gli autori della mattanza sono in parte membri della polizia, che parlano di uccisioni “avvenute durante scontri a fuoco”: secondo i dati ufficiali, circa mille vittime. Ma sono coinvolti anche “vigilanti” privati interessati a riscuotere le taglie non ufficiali promesse – sottobanco – dalle varie autorità locali: questi avrebbero ucciso altre 2mila persone. Il modello è quello degli “squadroni della morte” dell’epoca di Marcos, che Duterte ha applicato nella città di Davao nei 20 anni in cui è stato sindaco.

La Chiesa cattolica ha in più occasioni criticato la “guerra alla droga” dell’esecutivo e ha chiesto alle forze dell’ordine di “ritrovare lo spirito della giustizia”. Per cercare di limitare i danni, l’arcivescovo di Manila ha spronato le parrocchie della capitale a fornire assistenza e programmi di disintossicazione: “Siamo qui per voi. Non sprechiamo la vita umana: è importante e deve essere protetta”. Dal punto di vista pratico, attraverso la pastorale arcidiocesana per la salute i cattolici di Manila prepareranno e offriranno – dopo la disintossicazione – sostegno spirituale, formazione professionale e avviamento al lavoro.

A rafforzare i dissidi e la problematica c’è anche la pena di morte. Infatti in occasione occasione del Mercoledì delle Ceneri i vescovi filippini hanno lanciato un ultimo appello ai legislatori, chiedendo loro di opporsi alla reintroduzione della pena di morte per reati legati alla droga, prossima all’approvazione.
Mons. Broderick S. Pabillo, vescovo ausiliare di Manila, ha anche criticato la scelta dell’assemblea legislativa di approvare, in seconda lettura con votazione a voce (anonima), il controverso provvedimento di reintroduzione della pena capitale.

“La Camera bassa – ha dichiarato monsignor Pabillo – ha scelto la morte e non la vita. Hanno anche avuto paura di essere identificati. Si sono rifiutati di votare in maniera nominale”.
Rodolfo Diamante, segretario esecutivo della Commissione episcopale per l’assistenza pastorale ai carcerati, ha affermato che il passaggio del disegno di legge di ieri era in gran parte previsto. Egli ha sostenuto: “Hanno scelto la strada che porta alla morte invece di battersi per la vita in questo tempo di Quaresima”.

Ramon Arguelles, arcivescovo emerito di Lipa, ha anche detto che è ironico che la misura sia stata approvata il Mercoledì delle Ceneri, “il primo giorno di un tempo di conversione dalle malvagità”. Il prelato ha aggiunto: “I legislatori scelgono di andare contro la Parola di Dio. Scelgono la morte in nome del popolo”.
Il cardinale Luis Antonio Tagle di Manila aveva in precedenza affermato, nel suo invito ai parlamentari a respingere la pena di morte, che gli uomini non possono far finta di essere dèi. Il prelato ha ricordato che la vita umana è un dono di Dio, in quanto ogni persona è creata a Sua immagine e che ogni essere umano è salvato da Gesù Cristo. “Al cospetto di Dio, la sorgente della vita, noi siamo umili. Non possiamo far finta di essere dèi “.
“Questo è il motivo – ha avvertito il cardinale – per cui un’etica della vita, una cultura della vita, non è coerente con l’aborto, l’eutanasia, il traffico di esseri umani, le mutilazioni e la violenza contro persone innocenti e vulnerabili”.
Duterte l’aveva annunciato in campagna elettorale: se fosse stato eletto, i cadaveri dei drogati avrebbero “ingrassato i pesci della baia di Manila.

In sei mesi circa seimila filippini hanno perso la vita durante le operazioni di polizia o quelle che sono chiamate “esecuzioni extragiudiziali”.
Una media di 33 vittime al giorno che non ha nulla da invidiare ai veri e propri campi di battaglia dell’epoca contemporanea. I killer arrivano in moto, con il volto coperto. Giustiziano sul posto. Oppure si portano via “drogati” e “spacciatori”. Qualche giorno dopo i loro corpi senza vita vengono scaricati ai margini di una strada qualsiasi. La testa avvolta nel cellophane e un cartello a monito per la comunità: “Non fate come me”.
Il presidente ha perfino annunciato pubblicamente che avrebbe in mano una lista di cinquemila alti funzionari pubblici collegati al traffico di droga. Per ora l’unico nome che ha esplicitato è quello della senatrice Leila de Lima, a capo della Commissione per i diritti umani quando Duterte era ancora sindaco di Davao e si cominciavano a raccogliere informazioni sugli squadroni della morte che operavano impuniti nella sua città. Per tutti gli altri la minaccia è chiara: chiunque è nella lista è un potenziale obiettivo della guerra alla droga, e il mandato del presidente è quello di eliminarlo. La polizia assicura che chiunque si “arrenda” e si sottoponga volontariamente alla riabilitazione sarà depennato e avrà salva la vita. E, anche se non sono rari i casi di cittadini ritrovati morti dopo che si erano “arresi”, sono in molti a provare questa strada.

Congedatosi dall’ex presidente americano con dichiarazioni a dir poco sopra le righe (tra queste una delle ultime è stata «Obama e il suo dipartimento di Stato possono andare all’inferno»), in questi primi otto mesi di mandato Duterte non ha smentito quanto aveva promesso in campagna elettorale, ovvero una lotta senza quartiere contro i trafficanti di droga. L’applicazione su scala nazionale del “metodo Davao”, capitale dell’isola di Mindanao di cui è stato sindaco per 22 anni prima di assumere la carica di presidente, lo sta però inevitabilmente esponendo a rischi maggiori sia a livello interno che, ovviamente, sul piano diplomatico internazionale.

Negli ultimi giorni in migliaia hanno invaso le strade della capitale Manila per protestare contro i metodi brutali che il presidente sta utilizzando nel condurre la guerra alla droga – confermati anche in un recente rapporto di Amnesty International – e per chiedere il rilascio della senatrice Leila de Lima. La senatrice è una delle figure politiche più critiche nei confronti di Duterte e nel 2009, in veste di responsabile di una commissione per i diritti umani, aveva condotto un’inchiesta sui suoi “metodi squadristi” ai tempi in cui era primo cittadino di Davao.
Proprio Amnesty International nel suo rapporto di gennaio 2017 descrive le uccisioni come extragiudiziali e le riassume nel titolo “Se sei povero, vieni ucciso: le esecuzioni extra-giudiziali nella guerra alla droga delle Filippine”. Il presidente Duterte aveva avviato la sua lotta alla diffusione della droga già prima delle elezioni, quando era sindaco della città di Davao. La lotta alla droga non comprende soltanto gli spacciatori e i distributori, ma anche tutti coloro che fanno uso di sostanze stupefacenti e secondo Human Rights Watch e Amnesty, prende di mira soprattutto i gruppi più poveri del paese. Duterte ritiene che la droga sia una piaga della società e mostra dati di diffusione dell’uso di stupefacenti superiori a quelli diffusi dalle Nazioni Unite. Secondo l’UNDOC (Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della Droga e la prevenzione del Crimine), infatti, le Filippine hanno un livello di uso di droghe inferiore alla media globale.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *