E’ stato il pericolo numero uno per l’Occidente, gli è stato imputato di essere un presidente pazzo e sanguinario, un uomo che non meritava nessuna pietà e da destituire come fu fatto con altri personaggi quali Gheddafi e Saddam Hussein ed ora? Già è proprio vero che non bisogna fidarsi troppo delle informazioni di parte, delle parole urlate al vento o delle accuse non suffragate da prove. In occidente tutto ciò è normalità!
Chi non ricorda la guerra scatenata in Iraq con false prove su false armi chimiche? Ebbene ci risiamo. Assad non era forse quel losco individuo che lanciava armi chimiche contro i suoi cittadini, non è la stessa persona che getta in carceri-lager tutti quelli che non la pensano come lui?
Quante volte a chi vi scrive è stato raccontato della violenta repressione governativa in Siria da personaggi che raccontavano supposti fatti avvenuti ad amici e parenti in quella terra disseminata d’odio a causa di un presidente privo di scrupoli?
Ebbene non molto tempo fa è scesa in campo la Russia per aiutare una coalizione che voleva cacciare Assad e creare una nuova situazione tipo quella libica anche in Siria. Se non fosse per il veto e l’intervento russo oggi in Siria avremmo uno stato totalmente allo sbando e senza un presidente. E la musica, guarda caso, inizia a cambiare.
Concluso il mandato del presidente Obama ecco Trump e la sua nuova politica internazionale.
Ecco gli USA cambiare rotta tanto da far intervenire l’ambasciatrice Usa all’Onu e sentirle esclamare: “rimuovere Assad non è più una nostra priorità”. Per poi aggiungere: “ Gi Stati Uniti guardano ad altri obiettivi, fra cui la lotta allo Stato islamico. Tutto questo rafforzato dal Segretario di Stato Usa: “il futuro del presidente sarà deciso dal popolo siriano”.
Per anni i vertici di Washington hanno concentrato i loro sforzi sul presidente siriano, sostenendo l’opposizione armata che combatte per la sua deposizione. “Non possiamo focalizzarci solo sui modi per mandare via Assad” ha dichiarato la Haley alle Nazioni Unite. Ora l’obiettivo è trovare una soluzione politica.
Per la responsabile della diplomazia statunitense all’Onu adesso è “prioritario” guardare alla realtà dei fatti e “capire come è meglio agire”, valutare “con chi dobbiamo lavorare” per “fare davvero la differenza” per il bene “del popolo siriano”. E per prima cosa è fondamentale, per gli Usa, allentare l’influenza di Teheran e la presenza militare iraniana in territorio siriano.
Analisti ed esperti sottolineano che la Haley ha solo esplicitato “senza mezzi termini” ciò che, in realtà, da tempo si pensa fra le alte sfere del governo americano.
L’intervento militare russo a fine 2015 a sostegno del governo siriano ha, di fatto, reso impraticabile l’ipotesi di cacciare Assad, sostenendo l’opposizione moderata. A conferma del cambio di rotta della Casa Bianca, le dichiarazioni rilasciate dal segretario di Stato americano Rex Tillerson durante la visita ufficiale in Turchia. Il capo della diplomazia Usa ha sottolineato che il futuro di lungo periodo di Assad “sarà deciso dal popolo siriano”.
Di recente il presidente Usa Donald Trump ha riaffermato il desiderio di lavorare a stretto contatto con la Russia, assieme all’Iran alleato del presidente Assad, per cercare una soluzione percorribile che metta fine al conflitto. Gli Stati Uniti ribadiscono infine l’apertura ad altri Paesi, fra cui la Turchia, per raggiungere un accordo di lungo periodo.
Il cambio di rotta dell’amministrazione americana in tema di conflitto ha sollevato più di una protesta fra i vertici dell’opposizione anti-Assad. Monzer Makhos, portavoce dell’Alto comitato per i negoziati (Hnc), appoggiato dai sauditi, esclude “qualsiasi ruolo” attuale o futuro per il presidente siriano. “L’opposizione non accetterà mai – ha dichiarato il portavoce ribelle – alcun ruolo di Bashar Assad, in nessun momento… Non ci sono cambiamenti nella nostra di posizione”. Egli definisce “spiacevoli” le parole della Haley all’Onu e conclude affermando che le alte sfere americane stanno inviato “messaggi contraddittori”.
Frattanto sono stati avviati ad Astana, i colloqui di pace tra governo siriano ed opposizione armata mediati da Russia, Turchia e Iran. Quello che è apparso subito è chiaro è che Mosca, Teheran e Ankara abbiano assunto saldamente il ruolo di garante della pace in Siria e del suo futuro. I tre Paesi hanno fatto quello che le Nazioni Unite non sono state in grado di portare avanti negli ultimi 6 anni, da quando il conflitto è iniziato: portare il governo siriano e l’opposizione armata al tavolo dei negoziati. Negli ultimi giorni sono circolate voci inerenti il progetto di una nuova Costituzione per la Siria abbozzata dal Cremlino.
Ma quale potrebbe essere il nuovo assetto istituzionale della Siria?
Secondo una bozza di documento proposta dal Cremlino ci sarebbero interessanti novità. Eccovi alcuni articoli snodo per un accordo: secondo l’articolo 48 il futuro presidente, esercita il potere esecutivo al fianco del governo. L’articolo 49 consente al Capo di Stato di rimanere in carica per due mandati consecutivi di 7 anni ciascuno. Anche il resto della Costituzione conferisce piena autorità alla figura del Presidente: secondo l’articolo 55 egli è il garante della Costituzione, nonché colui che deve vigilare sull’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale.
L’articolo 57 offre al Presidente il potere di emettere “decreti, disposizioni e le istruzioni, in conformità con la Costituzione e la legge”. L’articolo 60 afferma che il presidente è il comandante in capo delle forze armate e lo autorizza a rilasciare “tutte le decisioni necessarie per esercitare questa autorità”. L’articolo 60, al comma 2, specifica che egli che ha il compito di rispondere a qualsiasi minaccia contro lo Stato. Il comma 3 del suddetto al articolo conferisce al Capo di Stato il potere di dichiarare lo stato di emergenza.
A questo si aggiunge che, il Capo dello Stato nomina il Primo Ministro, ha il diritto di presiedere le riunioni di governo e di convocare i membri dell’esecutivo per essere aggiornato sulle loro attività. Si era ventilato di un possibile assetto federale della futura Siria e della concessione di uno stato autonomo ai curdi. Nella bozza, tuttavia, questo aspetto è completamente assente. L’articolo 1, a comma 2, afferma che “la Siria si basa su l’unità della sua nazione ed è una patria comune e indivisibile per tutti i suoi cittadini”. Articolo 9, comma 1, conferma che “il territorio della Siria è indivisibile, inviolabile e integrale”.
A tal proposito, la portavoce del Ministro degli Esteri russo Maria Zakharova ha ribadito che “il popolo siriano deve determinare il futuro del proprio paese. Facciamo ogni sforzo al fine di attenerci a questo approccio, perché solo i siriani possono difendere il loro paese come stato sovrano, multietnico e multi-religioso”. Alla minoranza curda, per il momento, è stata promessa una vaga forma di “autonomia speciale” – che dovrà essere definita nel merito – e una quota di funzionari presso il governo centrale. La novità più importante riguarda l’introduzione di una seconda Camera, che potrebbe verosimilmente rappresentare i territori. Il vecchio sistema “monocamerale” andrebbe dunque in soffitta.
Potrebbero tuttavia sorgere delle complicazioni: vi sarebbe infatti una promessa fatta da Trump al Re Saudita Salman circa il fatto che le forze americane lavoreranno per creare delle“safe zones” in Siria e Yemen. L’Arabia Saudita è un grande nemico della Siria, (Isis docet) e difficilmente riconoscerà l’autorità di Damasco.
Determinante appare la posizione russa nella disputa infatti Putin potrebbe dover mediare tra un’alleanza con Washington e Riyad nell’interesse di ottenere una nuova distensione con la Casa Bianca, e dunque non rispettare la sovranità della Siria; oppure rispettare l’autorità di Damasco sullo spazio aereo cooperando con gli Usa (presumendo che Assad sia d’accordo), ma non permettere ai sauditi di compiere operazioni nel Paese.
Ma in tutto questo che ruolo ha la religione? E Papa Francesco che farà in futuro?
Nelle mosse della diplomazia vaticana inaugurata già sotto il pontificato di Joseph Ratzinger, si è configurata una strada di apertura verso l’ortodossia russa, consolidata dall’operato di Papa Francesco. Bergoglio (ricorderete)ha incontrato il Patriarca Kirill di tutte le Russie lo scorso febbraio a L’Avana, a Cuba, per uno storico compromesso che ha prodotto una dichiarazione congiunta sulla questione della salvaguardia della famiglia, che si accompagna ad intenti politicamente molto significativi.
La salvaguardia dei cristiani del Medio Oriente, che dalla Siria all’Iraq vivono un momento di terrore, passa per la vittoria sul campo di battaglia della coalizione guidata dal Presidente della Repubblica Araba Siriana, Bashar al Assad, supportato dal presidente russo Vladimir Putin. Più volte, dal 2013 ad oggi, papa Francesco si è approcciato con dichiarazioni concilianti alla posizione del Cremlino nello scenario mediorientale, al fine di congiungere con doppio filo le ragioni della norma di fede ortodossa professata dal patriarcato moscovita con gli intenti di politica estera portati avanti dalla Russia nella lotta al terrorismo internazionale. In tali circostanze, anche in riferimento alla posizione di Roma sul conflitto ucraino, la chiesa greco-ortodossa facente capo a Kiev aveva espresso il proprio dissenso alle parole di Bergoglio, il quale aveva eliminato il riferimento all’aggressione russa per quanto concerne la questione della Crimea e più in senso lato della guerra civile in Donbass.
Già nell’estate del 2015, con un’altra importante presa di posizione dello Stato Vaticano, si era sondato il terreno per un possibile avvicinamento tra la Chiesa Cattolica romana e quella ortodossa russa, con la possibilità di un progetto futuro di unificare le date della Pasqua di entrambe le confessioni cristiane. Il salto diplomatico di Paapa Francesco verso una conciliazione con Putin passa dunque per la salvaguardia dei cristiani dell’area mediorientale, vista anche l’appoggio che i vertici clericali locali rivolgono verso l’operato della Russia nella lotta contro i ribelli islamisti e il favore con cui osservano l’azione di Mosca i cristiani siriani, guardando d’altro canto con diffidenza verso l’ingerenza statunitense nella regione, anche in seguito al nefasto esito bellico della campagna irachena che si protraeva dal 2003.
Il cambio di prospettiva della politica estera statunitense nei confronti di Putin, ben vista dal presidente Donald Trump potrebbe dunque portare verso mutamenti positivi sullo scenario della guerra in Siria e, con uno sforzo diplomatico ulteriore, ad un riavvicinamento tra la Chiesa romana e Washington dopo alcune prese di posizioni dell’ex presidente Obama giustamente incomprensibili per Papa Francesco e la Chiesa cattolica.