Accadde oggi – 12 Agosto 2000: la tragedia dell’equipaggio del Kursk
Il sottomarino Kursk e l’ennesima tragedia bellica. Il 12 agosto 2000 il sottomarino nucleare era impegnato nel mare di Barents in un’esercitazione militare navale nella quale avrebbe dovuto lanciare dei siluri a salve contro l’incrociatore nucleare, classe Kirov, Pjotr Velikij (in russo: Пётр Великий?, Pietro il Grande). Alle 11:28 locali (07:28 UTC) furono lanciati dei siluri di prova, ma subito vi fu un’esplosione, presumibilmente di uno dei siluri del Kursk. L’esplosione chimica aveva una potenza compresa tra i 100 e i 250 kg di TNT e produsse un’onda sismica di intensità di 2,2 secondo la scala Richter, in conseguenza alla quale il sottomarino si adagiò sul fondo a 108 metri di profondità a circa 135 km da Severomorsk 69°40′N 37°35′E. Una seconda esplosione avvenne 135 secondi dopo la prima con un’intensità compresa tra i 3,4 e 4,4 della scala Richter, quindi con una potenza compresa tra le 3 e le 7 tonnellate di TNT. L’esplosione sommerse il sottomarino con molti detriti, rendendone difficile il recupero. Dopo vari tentativi di salvataggio falliti da parte dei russi, una nave speciale norvegese equipaggiata con un batiscafo inglese si agganciò con successo al sottomarino affondato, trovandolo tuttavia allagato completamente e senza alcun superstite.
Ma chi o che cosa affondò il Kursk, il gioiello della marina militare russa? Il Kursk dieci anni era il più sofisticato sottomarino nucleare (modello Antei) al mondo, equipaggiato con i nuovissimi missili Granit e soprattutto con i velocissimi siluri Kshval, torpedini in grado di volare sottacqua come un aereo a reazione, alla velocità di oltre 330 miglia orarie. In teoria era praticamente impossibile una simile tragedia su una meraviglia tecnologica come il Kursk. In particolare era assurdo che potesse imbarcare, in quelle ore fatali, siluri vecchi 30 anni per poi sfortunatamente autoaffondarsi. Nessuno ci ha mai creduto. Il K-141 Kursk apparteneva ad una classe di dodici unità costruite nei cantieri di Severodvinsk ed entrate in servizio tra il 1986 e il 2000. Si tratta di sottomarini d’attacco concepiti per operare singolarmente contro gruppi navali costituiti da una portaerei con relativa scorta.
Tra i più grandi sommergibili costruiti, gli Oscar II erano, al momento della perdita del Kursk, la punta di diamante della flotta sottomarina russa sia per le eccellenti caratteristiche degli scafi sia per l’affidabilità dei propulsori.
L’armamento particolarmente potente li rendeva adeguati ad assolvere il compito loro affidato. Siluri-missili a reazione di concezione completamente nuova, erano stati distribuiti ad alcune unità della classe. Con una struttura a doppio scafo resistente, suddiviso in 9 compartimenti stagni, un dislocamento in superficie di 13.900 tonnellate (in immersione 18.300 ton.), una lunghezza di 154 metri, una larghezza di 18,20 mt., il Kursk poteva vantare, come motori, due reattori nucleari OK-650 B, quattro turbine a vapore, due eliche, per una potenza di 98.000 hp, una velocità in superficie di 19 nodi (in immersione 30 nodi) e una quota massima di immersione di 500 metri.
L’armamento era considerevole: 24 missili nucleari anti-nave a cambiamento di ambiente SS-N-19 Granit, 4 tubi lanciasiluri da 533 mm per missili/siluri VA111 Shkval e missili nucleari SS-N-152, tubi lancia siluri da 650 mm per siluri a lunga durata DST90 e missili nucleari SS-N-16. Senza contare le riserve: 18 siluri o missili. Una ghiotta opportunità servita su un piatto d’acciaio, per coloro che volevano carpirne i segreti.
Il Kursk varato nel 1994, era un mezzo moderno e potente, capace di portare molte testate nucleari proprio per scatenare l’apocalisse sulla Terra. Poteva imbarcare 4,5 tonnellate d’acqua e continuare a navigare. Il Norsar (il servizio di registrazione sismica della Norvegia) registrò il giorno del disastro (il 12 agosto) due esplosioni: una alle 11:29 minuti e 34 secondi (ora di Mosca) con potenza pari al grado 1,5 gradi della scala Richter; la seconda alle 11:31 minuti e 48 secondi, pari al grado 3,5.
Gli stessi dati furono registrati dai sommergibili americani Toledo e Memphis e dall’inglese Splendid, che spiavano in mare le esercitazioni dei russi, e dalle stazioni di ascolto Nato in Canada e in Alaska. Bastano questi dati certi (i comandi russi parlano di una terza esplosione alle 11:44, non confermata dalle fonti occidentali) per farci capire che sul Kursk stesse accadendo qualcosa di eccezionale e terribile. Il grado 1,5 della scala Richter equivale all’esplosione di 100 chili di tritolo. Il grado 3,5 alla detonazione di 233 chili di tritolo.
Se il Kursk si inabissò in circostanze poco chiare, si deve forse al fatto che era carico delle sue micidiali armi nucleari in grado, se fossero state lanciate, di devastare l’intera Europa in pochi minuti?
Ma facciamo un passo indietro ai momenti di quella tragedia: “Ci sono 23 persone qui. Abbiamo deciso di spostarci perché nessuno può lasciare il sottomarino. E’ buio per scrivere, ma cercherò di scrivere a tentoni. Sembra che non ci siano speranze, il 10-20 per cento. Speriamo che almeno qualcuno leggerà. Qui sono gli elenchi dei membri dell’equipaggio delle varie sezioni che si trovano ora nella nona e che cercheranno di uscire”. La conclusione del messaggio è un ultimo addio ai parenti e amici: “Saluti a tutti, non dovete disperarvi”. Il 12 Agosto del 2000 il sottomarino nucleare russo Kursk probabilmente era impegnato in esercitazioni la cui reale natura non è mai stata chiarita.
Un’anomalia magnetica del fondo marino scoperta alle ore 4.36 del giorno successivo, verrà identificata come il Kursk. Il sottomarino era affondato alle coordinate 69°40’N e 37°35’E ad una profondità compresa tra i 124 e 108 metri. Il Kursk ricevette un grosso danno alla parte prodiera: questo evento generò un’esplosione interna tale da frammentare l’intera area anteriore superiore dello scafo determinando lo sfondamento di alcune paratie e l’affondamento del sommergibile.
La quasi totalità dell’equipaggio perì al momento della detonazione ma l’onda d’urto non raggiunse i compartimenti 6, 7 e 8. La parte dell’equipaggio che vi si trovava, iniziò ad evacuare i compartimenti alle 12.58 radunandosi a poppa estrema, nel compartimento numero 9. In totale 23 uomini. Le annotazioni di uno di loro proseguiranno dalle 13.34 alle 15.15. Poi più nulla.
Il sottomarino sprofonda nelle gelide acque. Impossibilitato a manovrare, lancia un SOS e attende i soccorsi. Che non arrivano. La notizia viene tenuta segreta al resto del mondo per due giorni interi. Il 14 Agosto la Russia denuncia il fatto. Il capo della marina militare russa dichiara che l’avaria è stata provocata da una manovra errata, ma si sospetterà sempre che si tratti invece di una collisione con un sottomarino di un’altra potenza straniera. Tuttavia nessuno ammetterà di aver incrociato a quella latitudine con imbarcazioni da guerra. Le navi mercantili presenti in quel momento nel Mare del Nord riporteranno racconti agghiaccianti di impulsi percepiti dal sonar: l’equipaggio prigioniero del sottomarino era ancora vivo e stava tentando di comunicare con l’esterno battendo sulle paratie metalliche I comandi strategici russi erano in allarme rosso. “Sono bloccati a 107 metri di profondità, per quanto ancora potranno resistere?” – erano le domande ricorrenti tra i marinai di passaggio.
Gli Stati Uniti d’America offrono subito aiuto ma la Russia rifiuta. Vengono mandati in ricognizione tre piccoli batiscafi, ma ogni cenno di vita alla fine cessò. Finalmente il governo russo accetta le offerte calorose di aiuto che provengono dalla Gran Bretagna e dalla Norvegia. Durante i tentativi di aggancio allo scafo il sottomarino si inclina ulteriormente. Solo il 19 Agosto un’adeguata missione di soccorso britannica giunge sul posto con l’attrezzatura adatta per agganciare il portello del sottomarino e finalmente si riesce a entrare all’interno. Putin è ancora in vacanza sul Mar Nero e rientra precipitosamente. Ma è tardi. Quando la Tv via cavo trasmette le prime immagini della spedizione di soccorso, si constata dolorosamente che a bordo non vi è più alcun sopravvissuto. Resterà solo a memoria del sacrificio dei 118 marinai dell’equipaggio, quel biglietto pieno di compunta dignità ritrovato nelle tasche del Tenente Capo Dimitri Kolesnikov.
Il primo luglio del 2002 la commissione ufficiale d’inchiesta ha stabilito che l’affondamento del sottomarino fu causato dall’esplosione del carburante difettoso in uno dei suoi siluri, che provocò un brusco innalzamento della temperatura e della pressione nel primo compartimento, facendo scoppiare gli altri siluri. La ricostruzione non ufficiale ipotizza la collisione simultanea, forse frontale, del Kursk e di un altro sottomarino nucleare, forse il Trafalgar della marina britannica. Un incidente provocato “da un’interferenza nelle manovre di allontanamento, necessarie per recuperare la perdita di contatto acustico”. E “non per un attacco deliberato”.
Cosa avvenne esattamente a bordo del sottomarino russo inabissato con i suoi segreti? La tragedia era iniziata, dunque, due giorni prima. Giovedì 10 agosto 2000. Alle 10 del mattino il sottomarino Kursk appartenente alla settima divisione della prima flottiglia di sottomarini della flotta del nord, lascia la base di Vidiayevo per partecipare ad una grossa esercitazione nel Mare di Barents. Ai 111 uomini di equipaggio si sono aggiunti due ingegneri e cinque ufficiali di stato maggiore. Ricevuta l’autorizzazione ad immergersi e ad iniziare i lanci di siluri e missili previsti dal programma, il Kursk entra in un silenzio radio che il protocollo dell’operazione prevedeva venisse mantenuto fino alle ore 18 del 12 agosto. Nel tardo pomeriggio il sottomarino effettua due lanci di siluri da esercitazione. Venerdì 11 agosto il Kursk, come da programma di esercitazione, effettua il lancio di un missile a cambiamento di ambiente SS-N-16A ed un secondo lancio è previsto per il giorno successivo alle ore 18 in chiusura di operazioni. La navigazione prosegue in immersione. Sabato 12 agosto alle ore 11.29 il centro sismologico norvegese Norsar registra un’esplosione di magnitudo 1,5 della scala Richter. Due minuti dopo, alle 11.31 ne viene registrata una seconda di intensità molto superiore, corrispondente a magnitudo 3,5 registrata anche dai sottomarini americani USS Toledo e USS Memphis e dal britannico HMS Splendid. Alle 11.44 una terza esplosione viene registrata anche dall’incrociatore russo Petr Velikiy. Alle ore 18, momento del lancio del secondo missile e della prevista ripresa di contatto radio del Kursk con le altre unità della flotta, non essendoci notizie del sottomarino il comando della flotta ordina di iniziare le ricerche. Il K141 Kursk è perduto.
La tragedia fu dunque causata dall’esplosione di un siluro, che provocò a catena lo scoppio di tutti gli altri del sommergibile, scaraventando il mezzo a 110 metri di profondità.
Il 14 agosto, il comandante della flotta russa definì “scarse” le possibilità di salvare l’equipaggio. Lo stesso giorno e quello successivo la Norvegia e la Gran Bretagna offrirono il loro aiuto per il salvataggio. Il governo del presidente Vladimir Putin, da poco al potere, si dimostrò reticente ad accettare l’aiuto straniero per salvare l’onore della sua flotta nucleare che stava faticosamente rinascendo. Il maltempo ritardò l’operazione di salvataggio russo che iniziò solo il 15 agosto. Due piccoli sottomarini scesero in profondità cercando di agganciare il Kursk e aprire le porte. Ci provarono per ben sette volte, ma fallirono a causa delle forti correnti sottomarine. Mentre la nazione viveva il dramma del Kursk, il presidente Putin solo quattro giorni dopo intervenne per dire che la situazione era “critica” ma tranquillizzando il Paese in quanto la Russia aveva “tutti i mezzi” per il salvataggio. Quando i segnali di vita dall’equipaggio cessarono, il 16 agosto la Russia si decise ad accettare l’aiuto di Londra e Oslo. L’operazione di salvataggio internazionale cominciò solo il 20 agosto, il giorno dopo i norvegesi riuscirono ad aprire il sottomarino, ma era troppo tardi per raggiungere vivi i marinai, molti dei quali avevano cercato rifugio in un compartimento in fondo al mezzo. Il recupero del Kursk e dei corpi prese molti mesi.
Mentre nel Mar di Barents continuava il recupero dei corpi dei marinai del Kursk e i primi solenni funerali delle vittime si svolgevano a San Pietroburgo il 2 Novembre successivo, a oltre 100 metri di profondità, nelle gelide acque dell’Artico flagellate dai venti, giaceva una verità inconfessabile. Che 23 uomini dell’equipaggio del Kursk fossero ancora vivi tre giorni dopo l’affondamento.
Lo sosteneva il quotidiano moscovita Zhyzn, sulla base delle dichiarazioni dell’ufficiale navale Igor Gryaznov, che aveva condotto i primi esami necroscopici sui corpi recuperati e aveva letto un secondo messaggio, scritto di pugno dal comandante della sezione turbine Dimitri Kolesnikov in un biglietto trovato in una tasca della sua uniforme. Il biglietto, con calligrafia incerta ma chiara, portava nell’ultima riga la data del 15 Agosto. La rivelazione sarebbe stata devastante per i capi navali del Cremlino, imputabili di un terribile cover-up della verità. In tal caso essi avrebbero dovuto rispondere delle reali cause dell’affondamento, della durata effettiva dell’agonia dell’equipaggio e delle proprie responsabilità in uno scenario di guerra o di intelligence in cui il Kursk sfortunatamente potrebbe essere stato coinvolto. Chi sostiene convinto che un sommergibile straniero abbia urtato il K-141, è il comandante della Marina ammiraglio Vladimir Kuroyedov, secondo il quale anche la commissione d’inchiesta sarebbe stata propensa per la tesi della collisione con un’unità statunitense o britannica. Ma gli esperti occidentali smentirono questa versione, avvalorata dalle lamiere di prua del Kursk, piegate verso l’interno, segno di un urto dall’esterno.
Tutto questo è storia, la storia di quei ragazzi rimasti in fondo al mare in un agosto di 16 anni fa. Una delle tante verità nascoste la cui verità è bene celata nella memoria di pochi