Il ricordo e l’omaggio a Gabriele La Porta

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La Porta – Il cammino della vita ci dona momementi fantastici in alternanza a momenti di difficoltà.

Eccomi a ricordare il padre di un buon amico, Michele, con il quale ho trascorso un anno di lavoro in comune ma soprattutto un’amicizia passata davanti a qualche difficoltà ma che proprio a causa di qualche imprevisto si è saldata nel tempo.

In queste ore seguo le sue difficoltà, la dipartita del proprio padre è un gran dolore, nel suo caso complicata da una situazione che definire anomala non rende giustizia.

Mi sembra giusto ricordare Gabriele La Porta con questo suo scritto sulla squadra di calcio che ha sempre portato nel cuore e che con Michele abbiamo sempre condiviso.

 

LE TENEBRE HANNO UNA FINE.
NULLA PUÒ IMPEDIRE AL SOLE DI SORGERE ANCORA…

di Gabriele La Porta

La pianura intorno Vienna è letteralmente brulicante di uomini in arme. È il potentissimo esercito turco che sta per conquistare capitale dell’Impero. È il 1683 e per la cristianità sembra avvicinarsi un giorno tristissimo. Caduta la capitale, tutto l’occidente diventerà un terreno di conquista per i giannizzieri del “Divano”, così si chiama il gran Consiglio di guerra musulmano. Sono centinaia di migliaia gli armati assetati di sangue. Da sempre odiano questa città e soprattutto quel campanile della Chiesa di Santo Stefano visibile a miglia e miglia di distanza. Ricorda il Cristo e questo li fa imbestialire. Ma improvvisamente quando tutto sembra perduto, accade un fatto nuovo. Un fremito percorre le truppe della mezzaluna. Una vampata d’ira collettiva che subito si cambia in un serpeggiante senso di inquietudine . Incredibile! Quella moltitudine di persone perfettamente equipaggiate sentono una sottile lingua gelida salire su per la schiena. Non c’è dubbio. Hanno paura. Ma che cosa può aver spaventato tutte le parti di questo innumerevole esercito? Là sulla collina ad ovest delle mura è apparso un cavaliere. Uno solo , ma quest’unico uomo ha avuto il potere di disorientare quel mostro tentacolare acquartierato nella piana. Monta un cavallo nero, ha una lancia di cinque metri, sulle spalle ha due filari di piume d’aquila che si agitano al vento . A protezione del volto porta una maschera di ferro, ai lati dell’elmo due ali di “un uccello sacro al Sole” che gli adornano le tempie. Sulle spalle porta una pelle di lupo a simboleggiare che l’Aquila può solo vincere sullo “Sciacallo”.
L’uomo fa alzare sulle zampe posteriori il suo quadrupede e lancia un urlo terribile. Tutti i turchi, a quel grido, indietreggiano di un passo. Adesso chiaramente sono presi da spavento. Hanno riconosciuto quel cavaliere. È un Ussaro Alato di Giovanni Sobiesky, signore della Polonia. Quel “singolo” è per i maomettani un terribile annuncio. I “Cavalieri dell’Aquila”stanno per arrivare e per loro non ci sarà sempre scampo. E così fu. Gli Ussari Alati, portatori dei simboli Solari dell’Aquila, calarono improvvisamente su quell’esercito e lo fecero a pezzi, arrivando fino alle tende del Sultano. 3.000 cavalieri misero in fuga trecentomila musulmani. Simbolicamente questa pagina di storia dimostra la superiorità della Lazio sulla Roma .
Basta esaminare appunto la “simbologia Perenne”. I Turchi avevano dei reparti che portavano insegne dei lupi e delle lupe. Furono i primi ad essere travolti. L’Aquila infatti da sempre rappresenta il Sole e il Dio Purissimo. Sin dai tempi degli antichi Greci, Zeus si tramutava infatti in Aquila. Gli stessi colori Bianco e Azzurro, giallo e rosso riportano a concezioni opposte. I primi significano l’Immacolata Concezione, ovvero il pensiero puro, i secondi il mondo infero e catonio. Alleati dell’Aquila sono il Falco, a sua volta simbolo di Horus-Sole, il Leone e tutti gli animali che “combattono da soli”, come i cavalieri della Tavola Rotonda e che comunque hanno fatto voto di generosità e altruismo oltre che di coraggio. Gli Alleati dei lupi che lottano in branco, quindi in molti contro uno solo, hanno come prossimi alleati i topi, i rettili, i ragni e i rospi. Non a caso nelle saghe celtiche, citiamo Tolkien e il suo Signore degli Anelli, i cavalieri Rohan e pochi di loro bastano a terrorizzare una moltitudine di “Orchetti”, essere orridi che si accompagnano ai lupi. Uno dei più grandi studiosi di simbologie mitiche, Elemire Zolla, ha già identificato nel lupo un segno negativo in tutte le tradizioni. Mentre l’Aquila è il suo opposto. Rappresenta la purezza e il valore indomito. Gli stessi Romani, che pure avevano la Lupa nelle insegne, la mettevano in secondo piano rispetto all’Aquila. E nel nord Europa questo rapace è fatto spesso seguire dal termine celeste , che non è solo il colore, ma anche tutto il mondo degli Dei del Cielo, che appunto non può essere che Bianco e Azzurro. Persino i granatieri a cavallo di Napoleone, soprannominati “gli Dei”, avevano sul colbacco un Aquila ed erano il reperto di cavalleria più valoroso dell’intero 800. Entravano in mischia e non uscivano se non vincitori altrimenti era la morte, ma con la Gloria. Invece i lupi sono stati gli animali sacri a quei reparti militari che intervenivano a torma per saccheggiare e per tendere imboscate.Al contrario gli agguati sono del tutto banditi, dai gruppi in arme che hanno l’Aquila negli stendardi. Il loro impeto è frontale e si sono sempre rifiutati di lottare se non in pugna leale, viso a viso. Insomma Lazio e Roma si rifanno a due mondi opposti. L’una è per la Luce, l’altra per le tenebre. Così dicono i simboli eterni che nessuno si può permetter di discutere. Psicologicamente scegliere questa o quella, demanda l’apparenza a due idealità contrapposte. Quella del cavaliere e quella del predone, chi combatte a viso aperto, che tende tranelli. Luce e Buio sono destinati a contrapporsi per tutti i millenni a venire. Ma il trionfo della Prima è scritto dai sapienti. L’Immacolata Concezione può perdere singole battaglie ma mai la guerra. La Gloria è sempre celesta, mai infera.

Tratto dal numero 237 di “Lazialità” Giugno 2001




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