Coronavirus – Ricorderemo a lungo il 19 marzo 2020, giorno di San Giuseppe, festa del papà: il giorno in cui l’Italia diventò il Paese al mondo con più morti per coronavirus. Sorpasseremo la Cina, non ci sarà nessuno come noi. Meno di un mese fa il nostro governo mandava in onda sulla Rai ogni ora uno spot in cui il simpatico Michele Mirabella ci spiegava da un ristorante cinese che “non è affatto facile il contagio”, schermata finale del video era il bollino del ministero della Salute, responsabile Roberto Speranza. Il 27 febbraio il sindaco di Milano Giuseppe Sala, accompagnato dal plauso di tutta la stampa alla moda proclamava orgoglioso che “Milano non si ferma” e invitava i suoi concittadini a uscire e vivere. Per rafforzare l’intendimento il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, andava a fare un aperitivo con cento persone più fotografi e telegiornali al seguito sui Navigli. Rideva il Zinga, con quel suo sorriso tranquillizzante, rilasciando dichiarazioni su come nella regione da lui governata ci fossero due casi di coronavirus e ottantacinquemila di influenza. Poi il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si mise a far decreti anticipandone i contenuti alla stampa e permettendo le migrazioni di migliaia di persone dal Nord al Sud prima che diventassero efficaci. Contemporaneamente il governo chiamava come superconsulente Walter Ricciardi dell’Oms che suggeriva di fare tamponi solo ai sintomatici, lasciando stare chi sintomi non ne mostrava, perché così nella comunicazione i numeri sarebbero stati meno allarmanti. Il 16 marzo Giuseppe Conte andava in conferenza stampa dicendo che “l’Italia è un modello” per l’Europa e per il mondo. Il 17 marzo in conferenza stampa ci andava Donald Trump dicendo: “Non diventeremo come l’Italia”.
Nello stesso periodo c’era chi chiedeva già dal 22 febbraio il lockdown degli over 65 e io ritiro dello spot imbecille oltre che ideologico con Michele Mirabella. C’erano amministratori locali come Luca Zaia che a fronte del cluster di Vo Euganeo rispondeva facendo uno screening di tamponi su tutta la popolazione del piccolo comune, offrendo oggi l’unico studio epidemiologico organico in materia di coronavirus. Tamponando anche i sani e gli asintomatici a Vo Euganeo sono stati trovati 66 contagiati, messi in isolamento, tracciati i loro rapporti, stabilendo una forma di quarantena se non sul modello cinese almeno sul modello coreano. Oggi a Vo, dopo i tre morti e un mesi di fatica, non c’è più neanche un positivo. Ci sono governatori come quelli della Toscana e della Puglia e della Campania che, pur essendo di colore opposto a Zaia, riconoscono la validità del suo metodo e vogliono adottarlo: tamponi a raggiera, se non proprio a tappeto, per individuare anche gli asintomatici e isolarli. Poi ci sono amministratori come i lombardi che fronteggiano una tragedia da tremila morti, una sanità al limite e lavorano a costruire un nuovo ospedale in zona Fiera grazie ai soldi di generosi finanziatori privati (i più noti sono Berlusconi e Capriotti) e alla sapienza di un vero leader in materia di Protezione Civile che si chiama Guido Bertolaso.
A Roma invece si è deciso di incasinare la catena di comando, di sovrapporre il super commissario Arcuri voluto da Conte sul capo della Protezione Civile che è Borrelli: nel casino non si riesce neanche ad assicurare le mascherine adatte a tutti i sanitari operativi sul territorio nazionale, tanto che l’assessore lombardo Gallera ha avuto un moto d’ira quando gli sono arrivati duecentomila swiffer spacciati per mascherine chirurgiche. Nonostante questo medici, paramedici, infermieri, operatori sanitari lavorano in maniera massacrante per salvare ogni vita umana, in maniera davvero commovente. A loro è andato il primo pensiero in ogni messaggio del Papa che andando a pregare davanti al crocifisso di San Marcello al Corso ha voluto indicare una speranza, una luce in fondo al tunnel, a cui vogliamo davvero credere.
Che strano Paese che siamo. L’Italia meravigliosa e gloriosa di una storia che affonda le sue radici in migliaia di anni fa, che inventato il diritto e le forme più belle dell’arte, che racchiude come in uno scrigno tesori anche naturali senza pari, oggi proprio da un virus scatenatosi in natura viene deturpata. Paghiamo anche l’incompetenza degli uomini che ci governano, i loro ritardi, le loro vanità, i loro pasticci. Non siamo per niente un modello, siamo il Paese con più morti al mondo a causa loro, sarebbe davvero il tempo che Conte la smettesse di rendersi ridicolo autoelogiandosi in ogni conferenza stampa.
Siamo però anche il Paese delle risorse infinite, che trova le sue riserve quando sembra non averne più. Siamo l’Italia che resiste, l’Italia buona e operosa delle persone comuni che non si arrendono mai, talvolta un po’ indisciplinati forse, ma certamente consci che ne usciremo solo tutti insieme. Ora facciamolo, partendo però dalla consapevolezza della estrema gravità della situazione, pensando anche al dopo e all’economia (avete presente la nostra proposta dell’helicopter money?), perché guardare al futuro serve a essere rigorosi nel curare il presente.
Sarà comunque il giorno di San Giuseppe, la festa del papà, più triste della nostra vita. Il sorriso si allarga solo guardando un bambino che nasce anche in questa tormenta, una mamma che abbraccia un figlio affinché non abbia paura, un papà che lacrima quando sa che è davvero solo e nessuno lo può guardare. (di Mario Adinolfi)
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