La Francia vuole tornare in mare. Lo ha fatto capire con la ricostruzione del ministero del Mare ma anche soprattutto con il Mercator 2021, programma strategico per i prossimi anni della Marina militare francese. Si tratta di un elaborato programma di innovazione, aumento di numero delle unità, nuove sfere di azione e aree di operatività che lascia intravedere “pericoli” per il l’Italia e nello specifico per i nostri mari.
Lo sviluppo di una flotta all’avanguardia è da tempo al centro dei pensieri del presidente Macron, che non a caso a fine anno ha dato il via libera alla costosissima sostituzione della portaerei Charles de Gaulle d al contempo si sta lavorando su un probabile raddoppio dei gruppi d’attacco delle portaerei francesi. Segnali che fanno comprendere la voglia dell’Eliseo di tornare a primeggiare in mare.
Va riflettuto con attenzione su un documento pubblico transalpino nel quale si narri, senza batter ciglio, della possibilità che nei prossimi dieci anni la Marina francese venga coinvolta in un conflitto ad “alta intensità”.
Indubbiamente va considerato come sia necessario per la Forza armata di mostrarsi necessaria mettendo in campo la lontana ipotesi di una guerra che metta in pericolo gli assetti strategici della Francia. Allo stesso tempo però il alcuni allarmi giungono da aree dove la concorrenza si fa sempre più violenta e sempre meno attenta ai canali diplomatici. La Cina non è una minaccia soltanto per averci portato il covid ma anche sull’espansionismo e la Francia ha territori lontani che possono fare gola e non poco.
Spostandoci dalle nostre parti nel Mediterraneo orientale le tensioni ci sono e non sono poche, anzi, qualcuno non sembra intenzionato a rispettare confini e diritti. Un esempio? La Turchia continua ad armare la propria flotta diventando un giocatore di primaria importanza nello scacchiere del Levante. Ankara punta a far entrare in servizio la portaerei Anadolu nel giro di pochi mesi. Mosse che si aggiungono al dinamismo turco nell’area e alla spasmodica ricerca della Mezzaluna di avere il controllo su buona parte del Mediterraneo orientale (come non rammentare le frizioni con la Grecia e Cipro con l’Unione Europea che sta a guardare). Come non guardare con timore i movimenti di Israele che sta cercando di conquistare una posizione di forza in mare per evitare di essere circondato da flotte nemiche? Una necessità che ancor più impellente dopo la scoperta dei giacimenti di gas ma anche per la centralità dell’accesso alle rotte commerciali per la stessa sopravvivenza dello Stato ebraico.
Anche l’Egitto, si sta adoperando per ripristinare una Marina in grado di competere quantomeno con i turchi: e lo dimostra il continuo acquisto di navi e di altri mezzi per il controllo dell’area di sua competenza.
Da tutto ciò la Francia vuole evitare di farsi sorprendere davanti a questa situazione Macron vuole evitare di risultare impreparato: da qui la necessità di una Marina moderna che possa proteggere i propri territori magari annettendosi alcune parti di mare. Un progetto certamente non facile visto che gli interessi di Parigi si estendono fino all’Oceano Indiano a Oriente e fino all’America Latina guardando a Ovest. Verso Sud, se il Sahel fa confine terrestre, il Golfo di Guinea fa da confine acquatico: idem per il Mar Rosso.
A conferma di questo desiderio di confermarsi potenza navale sono i prossimi “movimenti” della portaerei Charles de Gaulle, pronta a salpare per la missione “Clemenceau 21”, e che seguirà una rotta strategica di primaria importanza: prima il passaggio a Suez, poi quello di Bab el Mandeb, infine l’arrivo nella bollente area del Golfo Persico. La missione sarà articolata in tre fasi: prima una sosta nel Mediterraneo con esercitazioni congiunte tra il gruppo d’attacco francese e le navi della Marina greca, belga e degli Stati Uniti. A seguire il passaggio di Suez, e nel Golfo, con il coinvolgimento nella Operazione Inherent Resolve per la guerra allo Stato islamico ed ai sempre attivi e temibili gruppi jihadisti.
Lo Stato maggiore francese ha dichiarato che “il rinnovo dell’impegno della Francia in queste aree di interesse strategico dimostra la volontà di difendere gli interessi francesi, e più in generale gli interessi europei”. Ma c’è anche dell’altro: il carrier strike group francese si unirà alle operazioni americane e probabilmente a quelle della britannica HMS Queen Elizabeth, dando l’immagine che sia la Francia, in questo momento, a guidare l’intero sistema di Difesa europeo nelle più calde aree del Mediterraneo allargato. E qui vengono le dolenti note che ci riguardano!
Una scelta strategica che riguarda anche l’Italia, dal momento che l’area delle operazioni di Clemenceau 21 si sovrappone perfettamente a quella regione disegnata dalla Marina Militare italiana come area di interesse per il nostro Paese. In questo senso è facile comprendere che questa mossa francese possa essere letta anche in chiave di supremazia europea: campanello d’allarme che l’Italia non si può ignorare. Da troppi anni il nostro Paese non ha una valida politica del Mare.
E’ necessario sottolineare che per l’Italia nello specifico, l’economia del mare (blue economy) riveste una particolare importanza contribuendo al PIL nazionale per 31,6 miliardi euro (dando occupazione a 471 mila persone fra addetti ed indotto ed in secondo luogo per il fatto che il 54% del commercio estero avviene via mare.
Una nazione come l’Italia in grado di vantare una tra le flotte di bandiera principali al mondo (tra le prime dei grandi Paesi riuniti nel G20) con posizioni di assoluto rilievo nei settori più sofisticati non può esimersi dal recitare un ruolo da protagonista, detenendo inoltre la leadership europea nel traffico crocieristico (con 6,2 milioni di passeggeri e 4.600 scali di navi) e quella mondiale per la flotta ro-ro, con oltre 5 mln di tonnellate di stazza lorda.
Nonostante questi dati positivi l’Italia non riesce però a conquistarsi un ruolo preminente, visto che per sostenere le enormi potenzialità dell’industria marittima vanno necessariamente affrontati anche i punti di debolezza del sistema nazionale, rintracciabili in primis nel deficit infrastrutturale di almeno 40 miliardi di euro l’anno che fa perdere circa 70 miliardi di export, equivalenti a 4 punti percentuali di PIL. “Da questo punto di vista, il nostro sistema di trasporto marittimo potrebbe rivelarsi ancor più importante di quanto è oggi: la favorevole collocazione geografica che ci vede al centro del Mediterraneo potrebbe favorire il pieno sviluppo di un Paese “marittimo”, in grado di avere un ruolo di leadership in un mondo dove il 90% della produzione viaggia su nave. L’Italia dovrebbe quindi riconoscere una priorità assoluta allo sviluppo del suo assetto logistico, promuovendo una politica dei trasporti efficace e ambientalmente sostenibile. Ciò, a maggior ragione, in considerazione degli impatti significativi dell’apertura della “Nuova Via della Seta” sui porti del Mediterraneo e del Nord-Europa.
È dunque determinante per il sistema Paese il ruolo del mare, da cui dipendono la prosperità e la sicurezza nazionale. L’area d’interesse strategico nazionale include le regioni da cui provengono le risorse necessarie al fabbisogno energetico italiano (Golfo Persico, Mozambico, Golfo di Guinea, Nord Africa e Medio Oriente) e le vie di comunicazione marittime lungo le quali viaggiano le materie prime importate, fondamentali per un’economia di trasformazione come quella italiana. Si tratta di un’area molto estesa, densa di opportunità per la nostra realtà commerciale, ma anche di minacce che ne mettono a rischio gli interessi .
Riassumendo il mare rappresenta un insieme di sfide e opportunità non solo per gli attori istituzionali e privati che vi operano, ma anche per l’intera comunità internazionale. Da un lato, infatti, lo scenario geostrategico marittimo è permeato di minacce convenzionali e ibride (si pensi al terrorismo, alla pirateria, ai traffici illeciti di armi, droghe ed esseri umani) che mettono a rischio la libera circolazione di persone e di merci via mare. Dall’altro il settore marittimo è fondamentale per l’economia globale dato che quasi la totalità degli scambi commerciali avviene via mare (circa il 90%). In particolare, il nostro Paese dipende fortemente dalla libera fruizione del mare in quanto l’economia italiana è essenzialmente di trasformazione. Di fatto, l’Italia importa via mare quasi l’85% del suo fabbisogno di materie prime ed esporta il 55% dei prodotti finiti. Altrettanto cruciale è l’import di risorse energetiche: l’80% del petrolio e il 42% di gas che raggiunge le città italiane viaggia via mare. Tali dati esemplificano una condizione che vede l’economia italiana basarsi sulle dinamiche securitarie che hanno luogo non solo lungo gli 8 mila km di costa che bagnano la penisola, ma anche in quello che viene definito “Mediterraneo Allargato”, concetto che allarga la tradizionale area del Mare Nostrum al Mar Rosso, Mar Arabico e Golfo di Guinea. L’avvento della globalizzazione e l’inasprirsi della competizione strategica tra Paesi sta andando ad aumentare l’esigenza di proteggere principi vitali per il nostro ordine economico e sociale, quali la libertà di navigazione e la protezione delle Sea Lines of Communication (SLOCs). L’incrociarsi delle necessità di ordine strategico e difensivo con quelle di carattere economico, dunque, ha evidenziato l’importanza di rafforzare la sinergia esistente tra l’operato degli attori privati e istituzionali e della Marina Militare. La Francia lo sa bene, la Cina, la Turchia, Israele, Russia d USA anche, servono nuove politiche ed il nuovo governo non dovrà rimanere a guardare magari iniziando con il creare un utilissimo Ministero del Mare.