Denaro – C’è un filo invisibile che lega Danske Bank e Daphne Caruana Galizia, l’Estonia e Malta. È una cascata di denaro sospetto che si irradia come un fiume carsico dall’Azerbaijan lungo tutta l’Europa e che sbuca a migliaia di chilometri di distanza dove meno te l’aspetti. È l’elemento che salda lo scandalo della banca danese, coinvolta in un oscuro giro di 200 miliardi di euro e incriminata in Danimarca il 29 novembre per violazione delle leggi antiriciclaggio, e le indagini che la giornalista maltese stava conducendo prima di essere assassinata con un’autobomba il 16 ottobre 2017.
Da Baku, capitale dell’Azerbaijan, i miliardi raggiungono Malta, Tallin, Londra, e poi Amsterdam, Francoforte, Lussemburgo, Nicosia. Traiettorie che hanno un’unica origine e che toccano 18 paesi e almeno 15 banche dell’Unione europea dalle quali il fiume di denaro transita prima di disperdersi chissà dove. Centinaia di milioni di euro passano dalla Danske Bank, attraversano la Deutsche Bank e la Commerzbank. Scorrono nella Rabobank, nella HypoVereinsbank e nella Amsterdam Trade Bank, fluiscono per la East-West United Bank in Lussemburgo. Approdano poi, attraverso altri canali, anche alla Pilatus Bank, la banca sulla quale Daphne Caruana Galizia indagava.
Ma da dove arriva questa montagna di denaro? E verso chi è diretta? Un rapporto interno del Consiglio d’Europa, pubblicato il 15 aprile 2018, ha ricostruito il meccanismo di questo percorso. Ma per riannodare i fili di una rete talmente intricata da mettere in crisi la capacità delle banche europee di combattere efficacemente il riciclaggio, dalla sede del Consiglio d’Europa a Strasburgo bisogna spostarsi a Bruxelles e partire da Rue Royale, dagli uffici del Djsoc, la Direzione centrale per la lotta alla criminalità organizzata della Polizia federale belga.
Qui, in questo edificio di vetro e marmo a due passi dal giardino botanico, è custodito un verbale rimasto finora inedito, scritto il 14 giugno 2018 da due funzionari del Djsoc. È l’audizione di Arif Mammadov, 54 anni, oggi autista di Uber a Bruxelles ma fino al 2006 ambasciatore dell’Azerbaijan presso l’Unione europea e poi, fino al 2015, rappresentante diplomatico al Consiglio d’Europa. Nel verbale, Mammadov risponde alle domande di due magistrati italiani, i sostituti procuratori di Milano, Adriano Scudieri ed Elio Ramondini, che indagano sulla vicenda dei finanziamenti azeri elargiti all’ex deputato dell’Udc e del Consiglio d’Europa, Luca Volonté.
L’ex ambasciatore è caduto in disgrazia, costretto a vivere come autista per sfamare la sua famiglia e sa che se tornasse in Azerbaijan finirebbe probabilmente in una prigione. Dunque le sue affermazioni vanno prese per quello che sono, anche perché non esiste il modo di riscontrarle. Ma a un certo punto della testimonianza Mammadov spara un colpo da novanta. «Il sistema di corruzione – dice – è istituzionalizzato nel regime azero. Ogni oligarca finanzia in maniera piramidale tutto il sistema politico e i funzionari pubblici. Esiste per esempio un fondo che si chiama “Heydar Aliyev Foundation”. Ogni uomo d’affari è tenuto ad alimentare questo fondo che appartiene alla prémiere dame (Mehriban, la moglie del presidente azero lham Aliyev). Se gli uomini d’affari non partecipano “volontariamente” a questo sistema, alimentando questo fondo, per esempio con il 50% del fatturato, saranno puniti e accusati di corruzione. Se ottengono un contratto più grande le cifre saranno maggiorate per esempio al 70%. La fondazione è la più importante, visto che la premiére dame cerca di raggruppare questi fondi… Tutto lo Stato funziona in questo modo».
Mammadov aveva già parlato di questo meccanismo anche di fronte alla commissione d’inchiesta del Consiglio d’Europa, il 10 ottobre 2017, che aveva verbalizzato le sue parole.
È questo, secondo l’ex diplomatico, il carburante della corruzione azera, un sistema che ricorda quello dell’Italia di Mani pulite. «Bisogna capire che ogni transazione commerciale fatta da un uomo d’affari – spiega Mammadov – è composta da una piccola parte ufficiale e da una grande parte che serve ad alimentare dei fondi illeciti. Questo sistema è piramidale e arriva fino alla presidenza. Al vertice vi è la presidenza, lo scaglione inferiore è composto da diversi oligarchi responsabili di un settore e questo scende fino alla transazione iniziale. È questo denaro che è utilizzato per avvicinare le persone che possono influenzare positivamente il regime… Ma non è il presidente che decide dell’utilizzo dei fondi e dei dettagli». Teniamo in mente Mammadov, perché le sue parole serviranno più tardi per riannodare un altro importante filo della rete azera. Questa volta a Malta. Intorno a un nome conosciuto da Daphne Caruana Galizia.
Il rapporto del Consiglio d’Europa è prodigo di dettagli sul caso di Luca Volontè, che è stato assolto in primo grado dall’accusa di riciclaggio (ora si attende la data dell’appello dopo il ricorso della procura di Milano) ma è stato rinviato a giudizio per l’ipotesi di reato di corruzione. L’udienza preliminare si terrà il 5 dicembre. Per i pm Scudieri e Ramondini, l’ex parlamentare avrebbe accettato la promessa di 10 milioni di euro per assicurare il proprio sostegno alle posizioni politiche dell’Azerbaijan e per orientare le votazioni dell’assemblea del Consiglio d’Europa contro un rapporto (il rapporto Straesser) che puntava il dito sulle condizioni dei prigionieri politici nell’ex repubblica sovietica.
Secondo i pm Volontè avrebbe ricevuto 2.390.000 euro provenienti da fondi pubblici o privati dell’Azerbaijan attraverso società e conti bancari offshore. I soldi sarebbero arrivati al politico italiano attraverso la Danske Bank.
Di questi versamenti si parla anche nel rapporto interno che la banca danese ha reso pubblico lo scorso settembre e che ha rivelato l’esistenza di un (per ora presunto) riciclaggio internazionale da 200 miliardi di euro, di soldi prevalentemente russi e azeri. Settantacinque clienti della filiale estone della banca sono coinvolti nel cosiddetto “Azerbaijani laundromat”, la lavanderia azera che avrebbe ripulito circa 3 miliardi di euro di soldi illeciti. Uno di questi clienti è Luca Volontè.
L’indagine del Consiglio d’Europa, l’audit interno della Danske Bank e l’inchiesta della procura di Milano consentono di ricostruire le tessere di un mosaico che vale almeno 3 miliardi di euro. Un puzzle rivelato dai giornalisti investigativi del consorzio Occrp (Organized crime and corruption reporting project), i primi a indagare sull’”Azerbaijani laundromat”.
Un lavoro importante lo hanno svolto anche il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza di Milano e il Nucleo della Banca d’Italia a supporto dell’autorità giudiziaria guidato da Nicola Mainieri, che ha ricostruito il flusso di soldi veicolati dalle società britanniche Hilux Services Lp, Polux Management Lp, Lcm Alliance Llp e Metastar Invest Llp, e dalla società neozelandese Jetfield Networks Limited, coinvolte nel giro di soldi provenienti dall’Azerbaijan.
Attraverso queste società scudo sono transitati tra il 2012 e il 2014 ben 3 miliardi di dollari, 519 milioni di euro, 1,2 miliardi di rubli (pari a circa 26,6 milioni di euro), 3 milioni di sterline e un milione di franchi svizzeri. Le società possedevano conti presso la filiale estone della Danske Bank, presso la banca lettone Baltikums Bank, oggi BlueOrange Bank, e sempre in Lettonia nella Ablv Bank, il terzo istituto di credito del paese oggi in liquidazione dopo la decisione della Bce di congelarne l’attività nello scorso febbraio in seguito alla fuga di depositi causata dalle accuse del Tesoro Usa secondo il quale la banca era una centrale di riciclaggio e aveva contribuito a finanziare il programma missilistico nuclare della Corea del Nord.
I soldi degli azeri girano come trottole nelle banche dell’Unione europea, dove le banche dei Paesi baltici – a cominciare dalla filiale di Tallin della Danske Bank – sono insolitamente protagoniste.
I soldi opachi degli azeri superano anche i confini della Ue per irradiarsi verso la Turchia soprattutto, ma anche negli Usa, in Cina, in Russia, Svizzera, Ucraina ed Emirati Arabi.
In Estonia la fa da padrona la Danske Bank, in Lettonia ci sono la Ablv, la Rietumu Bank e la Baltikums Bank; in Olanda la Amsterdam Trade Bank e la Rabobank; in Lussemburgo la East-West Bank, nella Repubblica Ceca la Raiffeisenbank; in Germania ci sono Commerzbank, Deutsche Bank Privat und Geschaftskunden e UniCredit Bank HypoVereinsbank; in Lituania la Ukio Bank; in Austria la Erste Bank; in Ungheria la Mbk Bank Zrt; a Cipro la Cyprus Public Company. È una lunga lista di banche quasi sempre inconsapevoli dell’origine dei soldi gestiti.
Circa 1,5 miliardi di dollari provengono direttamente dall’Azerbaijan, in prevalenza dalla società Baktelekom Mmc, fondata da Rasim Asadov, figlio del ministro degli Interni del primo governo azero dopo l’indipendenza dall’Urss. Quasi tutti arrivano alle cinque società scudo attraverso altre società di comodo domiciliate in Gran Bretagna e controllate generalmente da entità offshore del Belize, delle Seychelles, delle Bahamas e delle isole Marshall. Si tratta di Limited partnership (Lp) o Limited liability partnership (Llp), alcune delle quali sono domiciliate in Scozia, presso un negozio Mail Boxes Etc.
Secondo le autorità azere è tutto regolare. La fonte dei trasferimenti di denaro – scrivono I rappresentanti del governo di Baku – «è Baktelekom, società privata. L’origine di questo denaro non è illegale, è completamente trasparente, e non appartiene alla categoria del denaro “sporco”. Il trasferimento di denaro da parte di Baktelekom società privata mostra che questi trasferimenti di denaro non hanno niente a che fare con le società pubbliche». Secondo gli azeri, infatti, i finanziamenti che sarebbero stati dati a Luca Volontè attraverso la fondazione Novae Terrae facevano parte di un protocollo di intesa tra l’Association for civil society development of Azerbaijan (Acsda) e la fondazione di Volontè. Un programma legato alla decisione del governo dell’Azerbaijan di promuovere a livello internazionale I contenuti del piano di sviluppo della Repubblica fino al 2020. «L’Acsda – affermano le autorità di Baku – ha avviato un’utile raccolta di fondi per preparare un piano di lavoro strategico. Così un numero di conosciute e influenti Ong azere si sono riunite, hanno fondato la coalizione Acsda e si sono rivolte a diverse imprese commerciali per una non rimborsabile assistenza finanziaria». I fondi della Baktelekom arriverebbero da questa iniziativa.
Ma torniamo all’ex ambasciatore azero Arif Mammadov. Nel verbale redatto dalla polizia federale belga, Mammadov afferma che i soldi utilizzati per pagare i parlamentari del Consiglio d’Europa provenivano da un influente oligarca dell’Azerbaijan, Kalamaddin Heyradov, il ministro delle Emergenze che fino al 2016 «controllava anche le dogane, le tasse, i permessi per costruire, i servizi di urgenza. È notoriamente saputo – è sempre Mammadov che parla – che era l’oligarca numero uno del paese. La provenienza dei fondi messi a disposizione da Kalamaddin è del “denaro sporco” di origine privata messo a disposizione del regime».
Sei mesi prima di morire, Daphne Caruana Galizia aveva rivelato sul suo blog l’identità del più importante cliente della Pilatus Bank, la banca alla quale la Bce ha tolto qualche settimana fa la licenza e che era stata fondata dall’iraniano Seyed Ali Sadr Hashemenijad, oggi in carcere negli Stati Uniti. «È Kamaladdin Heydarov, il ministro dell’Emergenze dell’Azerbaijan – scriveva la giornalista maltese assassinata il 16 ottobre 2017 -. Il più ricco e potente componente dell’élite azera dopo il presidente Ilham Aliyev». Heydarov è il legame invisibile tra le indagini di Daphne Caruana Galizia e il maxi riciclaggio nella Danske Bank.
La Pilatus Bank gestiva 250 milioni di euro ma tra i clienti annoverava anche i figli di Aliyev. E, secondo le informazioni rivelate alla giornalista maltese dalla whistleblower russa Maria Efimova, ex impiegata della Pilatus Bank oggi fuggita in Grecia, nella banca ci sarebbero state le prove di una tangente versata dal regime azero a esponenti del governo di Malta attraverso società panamensi e triangolazioni con Dubai.
Secondo questa ricostruzione, la Egrant Inc, una società registrata a Panama apparterrebbe a Michelle Muscat, la moglie del primo ministro maltese Josep Muscat.
Daphne Caruana Galizia aveva pubblicato sul suo blog una serie di documenti che dimostrerebbero come la società panamense avrebbe ricevuto nel 2016 diversi bonifici (uno di questi da oltre un milione di dollari) provenienti dalla Al Sahra Fzco, una società offshore di Dubai e appartenente a Leyla Aliyeva, figlia del presidente dell’Azerbaigian. Aliyev ha firmato negli ultimi anni parecchi accordi in campo energetico con il governo maltese. Fiumi di denaro si
muovevano dall’Azerbaijan verso Malta e poi altrove. Non c’è nessun elemento che colleghi l’assassinio di Daphne Caruana Galizia alla Pilatus Bank. Il mistero non è stato risolto. Così come ignoti sono ancora i mandanti del suo omicidio.