Pornodipendenza: uscirne si può. Ecco come

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In quest’ultimo anno è la terza volta che mi capita tra le mani un libro che, di riffa o di raffa, tratta il problema della dipendenza sessuale online. Il primo è stato Dipendenza sessuale online del padre gesuita Giovanni Cucci (del quale peraltro conservo bellissimi ricordi accademici). Il secondo è stato Una gioventù sessualmente libera (o quasi) di Thérèse Hargot, che mi è tanto piaciuto da spingermi ad ingegnarmi per portarlo in Italia. Il terzo è stato Pornotossina di Antonio Morra.

Un gesuita psicologo, una sessuologa filosofa, un webmaster predicatore: il cerchio si chiude senza che ci sia mancato niente. Qualcosa mi dice che questa storia della pornomania ha veramente i tratti di un’emergenza: Cucci analizza le costanti dei casi di dipendenza; la Hargot dedica l’intero primo capitolo del suo libro a bandire una crociata contro la pornografia; Morra spende 150 pagine per svelare i meccanismi dell’assuefazione psicologica (e biochimica, a livello di neurotrasmettitori) alla pornografia. Nessuno dei tre si ferma alla mera constatazione dello stato di fatto, anzi: il primo indica l’apporto positivo delle terapie di sostegno psicologico; la seconda la necessità di trasformare l’ora di educazione sessuale in un corso di filosofia; il terzo propone un metodo di disintossicazione dalla pornografia e lo espone step by step. Se pensiamo alle baby squillo, ai devastanti fenomeni del “sexting” e del “porn revenge”, all’aumento delle violenze sulle donne e degli aborti vediamo che forse sussistono davvero gli estremi per la denuncia di un’emergenza. Difficile pensare che la soluzione consista in comandi contraddittori del tipo “guarda ma non toccare”, “tocca ma non gustare”, “gusta ma non ingoiare”, come vorrebbero i teoreti del libertinismo pop (ed erano i comandi che nel film L’Avvocato del diavolo venivano attribuiti a Dio!), i quali sembrano per qualche motivo convinti che si possano ipersessualizzare precocemente dei bambini esponendoli alla visione di violenze sessuali esplicite e poi applicare una semplice etichetta di bon ton sulle loro eruzioni ormonali.

Antonio Morra è cresciuto nell’alveo di comunità pentecostali partenopee (altra interessantissima crasi culturale) e si è formato in università statunitensi legate alla stessa comunità ecclesiale (la FIRE School of Ministry del Dr. Michael Brown, che è pure il prefatore del libro, con sede a Charlotte, NC – USA): l’estrazione “protestante” è immediatamente evidente, per il palato del lettore cattolico, anche solo per “tic linguistici” come “insegnamenti biblici” o per la metodologia con cui vengono citati i passi delle Scritture. Un tratto che però stupisce il lettore cattolico è la completa assenza di acredine anti-cattolica: in effetti l’“anti-römischer Affekt” è una peculiarità delle arrugginite dialettiche interecclesiali europee, condizionate come sono da emimillenarie incomprensioni, guerre, anatemi reciproci. Morra è portavoce, in questo, di una comunità ecclesiale così giovane e così “leggera”, quanto a struttura, da non recare i segni delle nostre vecchie faide: questo avviene soprattutto perché Morra ha qualcosa da dire, e da dire urgentemente – troppo urgentemente per poter attardarsi su antichi dissapori di famiglia.

Pornotossina è un libro estremamente asettico e oggettivo, ma nasce da un coinvolgimento personalissimo. Nella prefazione si trova la confessione di Morra: «Il mio passato mi ha portato a combattere, da credente e non credente, contro la pornografia ai limiti della dipendenza. La mia esperienza non è stata facile: momenti di buio totale intervallati da momenti di vittoria – una lotta senza tregua con Gesù sempre al mio fianco. Ci sono state tante cadute, lacrime e promesse non mantenute, ma adesso sono vittorioso in Cristo. Quindi questo libro è scritto da qualcuno che ha lottato, sofferto e perso tante battaglie» (p. 10). Come si può vedere, si tratta di una confessio nel pieno senso agostiniano del termine: il peccato di chi scrive che esalta la grazia del Dio che salva mediante il racconto della redenzione. E segue la dimensione ecclesiale, per cui il punto debole di un uomo diventa il suo talento da uomo redento, e va messo al servizio della comunità: «Abramo era vecchio, Giacobbe era insicuro, Lea non era attraente, Giuseppe subì degli abusi, Mosè balbettava, Gedeone era povero, Sansone era influenzabile, Raab era immorale, Davide ebbe una relazione extra-coniugale e ogni specie di problemi familiari, Elia voleva morire, Geremia era depresso, Giona era riluttante, Naomi era vedova, Giovanni Battista era eccentrico, Pietro era impulsivo e collerico, Marta si preoccupava molto, la donna samaritana aveva avuto molti matrimoni falliti, Zaccheo non era popolare, Tommaso aveva dei dubbi, Paolo era violento, Timoteo era timido. Dio ha usato tutte queste persone “poco adatte” per il suo servizio. Userà anche te!» (p. 11).

La prima cosa che Morra rivela dopo la sua personale confessione è che c’è un enorme sommerso di persone che vivono questa problematica e non riescono a uscirne: stando alle sue statistiche, nelle comunità pentecostali italiane in cui si reca per sensibilizzare al problema, ci sono 6 ragazzi su 10 e 4 ragazze su 10 che ammettono di vivere questa problematica. La seconda cosa che spiega è cosa caratterizza la presente emergenza rendendola qualitativamente difforme da ogni contesto in cui la pornografia è stata presente nei secoli e nei millenni precedenti: internet la rende oggi accessibile, abbordabile e anonima. Mai nella storia umana è accaduto che chiunque, purché in dotazione di una connessione al web, potesse istantaneamente accedere a una quantità tanto smisurata di pornografia, senza “metterci la faccia” e senza sborsare un quattrino (fino a vent’anni fa dovevi almeno presentarti a un edicolante). La documentarista francese ed ex pornoattrice Ovidie (pseudonimo di Éloïse Becht) ha calcolato che dal 2009 al 2015 «l’umanità ha guardato l’equivalente di 1,2 milioni di anni di video pornografici e ha visitato 93 miliardi di pagine su piattaforme gratuite», e si chiedeva se «non si stia creando una nuova forma di alienazione» (citazioni tratte dal documentario À quoi rêvent les jeunes filles?, del 2015 e visualizzabile su YouTube).

Questa inedita congiuntura di tecniche, mezzi e giri economici (perché la pornografia si fa per denaro anche se l’utente finale, non pagando in moneta, non se ne rende conto) produce uno scenario che fa somigliare le pagine di Aldous Huxley più a una cronaca che a un romanzo distopico. Cucci, la Hargot e Morra, ciascuno a modo suo, concordano: la dipendenza sessuale online è forse la più pericolosa delle “nuove dipendenze”, a causa dei percorsi neurali scavati dalle potenti scariche degli ormoni sessuali – la modifica delle tracce della corteccia cerebrale rende la dipendenza particolarmente coriacea, e fa sì che il vizio (cioè l’abitudine negativa) diventi incisivo su molti ambiti della vita privata e pubblica di chi ne è affetto.

Il controllo della pornografia online è dunque una delle frontiere su cui deve combattersi la guerra aperta da questa emergenza educativa: non a caso il libro di Morra è realizzato «in collaborazione con il ministero CovenantEyes», che si occupa proprio di filtraggio dei siti internet (non si dovrebbe dimenticare, fra l’altro, che spesso il porno online è l’esca del “deep web”, in cui a diventare “accessibile, abbordabile e anonimo” è ogni sorta di crimine ordito dalla malavita organizzata): l’autore sintetizza e implementa anche i contributi di Lisa Eldred, Luke Gilkerson, Matt Fradd e Sam Black, che a quel circuito fanno riferimento e che hanno arricchito il libro di una notevole quantità di dati statistici e clinici.

Il libro si articola in cinque capitoli e quattro appendici: i primi trattano rispettivamente “Il porno e il cervello”, i “Cinque modi in cui la pornografia deforma la mente”, i “Cinque modi biblici per rinnovare la mente (disintossicarsi dal porno)”, come “Rompere la dipendenza dalla pornografia: uscire dal ciclo continuo” e “Il piano di battaglia (passi pratici)”. Le seconde invece “La masturbazione”, “La pornografia e i vostri rapporti sentimentali”, “Che cos’hanno in comune la pornografia e l’aborto” e una pagina dedicata alla “Trasparenza cristiana: una guida alla discussione”.

Anche solo a guardare l’indice si capisce la struttura della parte in capitoli: i primi tre sono strettamente collegati, e varrà la pena di soffermarsi un po’ su questo; gli ultimi due rispondono ai primi nella proposta di una “road map” per l’esodo telematico ed esistenziale da questa nuova “schiavitù d’Egitto”. La parte in appendici, invece, comprende argomenti importanti (e sorprendenti, come vedremo) che però non sarebbe stato possibile implementare nella prima se non a rischio di appesantire il tutto e sbilanciare il telaio del libro, che si potrebbe così sintetizzare: «Anziché giustificare i comportamenti di dipendenza con scuse neurologiche e sociologiche, quest’informazione ha lo scopo di schiudere le porte della conoscenza. La scienza ci insegna che il cervello è stato creato per imparare, e talvolta “bisogna disimparare ciò che si è imparato”. Per molti, si tratta di un momento di rinnovamento della mente. Sì, il nostro incredibile cervello può talvolta lavorare a nostro svantaggio, ma è anche in grado di formare nuovi percorsi neurali e nuove abitudini positive» (p. 16).

La trasparenza è uno dei pregi del libro di Morra, che premette francamente la sua concezione della sessualità (sua e della sua comunità ecclesiale): «Il sesso è inteso per il matrimonio, e tutto ciò che esula da questo contesto – tipo i rapporti occasionali, lo scambio di contenuti sessualmente espliciti o la pornografia – va contro il meraviglioso piano di Dio» (p. 16). Può sembrare una premessa da talebani, perfino per non pochi cattolici nutriti a pane e compromessi: è invece una posizione condivisibile e condivisa anche da pensatori laici, purché capaci di interrogare il fenomeno della persona umana (ad esempio la stessa Hargot). Morra parafrasa – con toni coloriti inusuali nel contesto cattolico medio – il racconto biblico della tentazione e della caduta dei progenitori per esemplificare paradigmaticamente i meccanismi psicologici che intervengono in ciascuno di noi a corrodere l’adesione al precetto morale. Il sottotesto filosofico, chiaramente, è che il precetto non può integrarsi in una struttura personale incompiuta, ma che d’altro canto l’incompiutezza è strettamente imparentata con la finitudine creaturale della persona umana: la fessura con cui l’essere umano potrebbe comunicare con l’altro per esperire esistenzialmente un compimento che alluda alla Pienezza del suo Destino, quella fessura stessa diventa invece la breccia per cui il precetto viene disatteso e – caduta dopo caduta – diventa sempre più difficile da osservare. Considerazioni forse noiose e apparentemente fuori luogo, se uno ha preso in mano il libro di Morra con l’ansia di risolvere il proprio problema, ma ritenute dall’autore parte integrante della consapevolezza da cui parte la liberazione.

«Sia che la pornografia diventi abituale nella gioventù oppure nell’età adulta, il filo conduttore è lo stesso. La pornografia, secondo il Dr. Laaser, diventa una valvola di sfogo che viene usata per alleviare le sofferenze emotive, fisiche, sessuali o spirituali. È stata una brutta giornata? Basta una cura a base di pornografia e masturbazione, e il cervello riceve subito una scarica di sostanze chimiche che concedono una tregua temporanea. I dolori della gioventù o del passato si fanno sentire? Basta correre a rifugiarsi nella pornografia. Ben presto, la pornografia e la masturbazione diventano una parte abituale della vita, o si evolvono addirittura in quella che i terapisti definiscono una vera e propria dipendenza» (pp. 30-31). Partendo da queste premesse sociologiche, Morra si addentra nella dimensione più tecnica, anzi biochimica, della pornodipendenza: la “desensibilizzazione al piacere” avviene tramite il traviamento del percorso naturale della dopamina («il neurotrasmettitore incaricato di aiutarci a ricordare dove poter soddisfare i nostri bisogni naturali»), che indica sempre e sempre più insistentemente nella pornografia la via per la soddisfazione delle pulsioni sessuali. «La continua esposizione alla pornografia, specie per lunghi periodi di tempo, rilascia ondate su ondate di dopamina, procurando al cervello una sensazione artefatta di sballo. Infine, il cervello arriva ad un punto di esaurimento, lasciando lo spettatore con la sensazione di volerne ancora senza però riuscire a raggiungere il livello di appagamento. Questo effetto si chiama desensibilizzazione. Le gioie di ogni giorno, compreso il sesso, cominciano a “perdere forza” e il consumatore amplia i propri gusti pornografici, andando alla ricerca di materiale nuovo o più esplicito per ottenere lo stesso livello di eccitazione» (p. 33).

Ecco perché “pornotossina”: il vizio delle rivistacce esiste dai tempi degli egizî fino a Playboy (e a proposito, Morra ci informa che Hugh Hefner, l’ormai novantenne fondatore della più nota rivista erotica del Novecento, riusciva a eccitarsi solo guardando pornografia e praticando masturbazione, anche nei contesti più “paradisiaci” che il Corano possa prefigurare a un uomo), ma niente poteva preparare l’umanità alla micidiale sovraesposizione sessuale cui è ora sottoposta. Questo aspetto riveste un’importanza particolare che fa del libro di Morra (come di quello di Cucci e di quello della Hargot) uno strumento utilissimo per prendere coscienza di un fatto: noi che accendiamo il televisore, controlliamo la posta elettronica, andiamo in bici per le città e prendiamo la metro, tutti noi siamo continuamente intossicati da pubblicità ipersessualizzate che impongono subliminalmente non solo i canoni della bellezza estetica, ma anche quelli del piacere erotico. Naturalmente, se questa esposizione non è “corroborata” dalla masturbazione, che rilascia testosterone, norepinefrina e ossitocina nei solchi aperti dalla dopamina, l’intossicazione sarà meno grave, ma resta il fatto che chiunque viva e si muova nelle nostre società (del mondo sedicente libero) è per questo stesso fatto esposto alla contaminazione da pornotossina. Commentando uno studio rilevante nei capitoli successivi, Mary Anne Layden osservava: «Quando fu realizzato questo studio, quello che era stato definito Gruppo ad Esposizione Intensa [da pornografia, n.d.r.] – cioè, quelli che avevano guardato cinque ore di porno per un periodo di sei settimane – oggi potrei definirlo il Gruppo della Normalità Quotidiana».

Proprio per via di questa componente biologica e biochimica, Morra indugia anzitutto sul rapporto tra pornografia e cervello. Poiché però «il nostro cranio è ben più di un contenitore di sostanze chimiche» (p. 43) la questione non può ridursi alla mera dipendenza da sostanze, e la chiave d’uscita sta proprio nella mente, che mentre esprime il supporto del cervello ne trascende la finitudine aprendosi alla dimensione spirituale del sé.

A suon di statistiche e indagini sociologiche, l’autore documenta quindi le cinque vie in cui la pornografia inquina la mente: essa inquina il sesso, inquina i rapporti, inquina le donne, inquina la giustizia (proprio in senso penale!), uccide la libertà. A queste cinque vie d’inquinamento, Morra fa seguire le cinque vie di “disintossicazione biblica” da pornografia: qui sta uno di quei “tic linguistici” cui mi riferivo sopra, perché l’aggettivo “biblico” non si riferisce strettamente alla frequentazione delle Scritture (anzi, solo la seconda di queste vie è “biblica” in senso stretto). Morra intende qui, per “modi biblici” di disintossicazione, delle “vie ispirate alla Rivelazione cristiana così com’è veicolata nella Scrittura e interpretata dalla viva tradizione della Chiesa” (ecco, così c’è qualche tic linguistico cattolico, forse, ma basta capirsi). Questi cinque modi sono: responsabilità e trasparenza (avere un confidente o mentore con cui aprirsi e un gruppo ristretto per il confronto e l’esortazione reciproca); assimilazione delle Scritture; esercitarsi nei piaceri puri e buoni; stabilire una vera relazione spirituale con Dio, che conosce i cuori e può guarirli da ogni malattia; alimentare la speranza della giustizia.

Ora, ciascuno di questi “modi” meriterebbe molte considerazioni, ma un rilievo complessivo va fatto: da questo approccio si vede non solo il solido realismo sottostante al libro di Morra, ma pure la non trascurabile sapienza che lo innerva, perché si promuove di fatto un’etica delle virtù che ripari la devastazione di un vizio, e lo si fa con un’oculata declinazione di quella che Giovanni Paolo II chiamava “legge della gradualità”. A dispetto del presunto fondamentalismo di cui spesso sono tacciati non pochi predicatori evangelici, il battente rimando alle Scritture non è per Morra un’occasione per minimizzare la complessità della liberazione dalla pornodipendenza, né porta a dimenticare i tempi talvolta lunghi che una piena disintossicazione richiede: a lettura avanzata si riporta perfino un diagramma che rappresenta il ciclo della dipendenza come è stato schematizzato da Phil Monroe, e si forniscono utili accorgimenti a cui attenersi per tenere alta la guardia sulla propria dipendenza.

Soprattutto nel capitolo quinto, però, ho avuto l’impressione di star leggendo qualcosa di ispirato agli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola: l’autore, da me interpellato in merito, ha negato di aver mai fatto o letto gli Esercizi, anche se non esclude che alcuni dei suoi collaboratori di CovenantEye possano avervi attinto. In effetti, si parva licet magnis comparare, Pornotossina e gli Esercizi Spirituali hanno almeno due cose fondamentali in comune: l’una e gli altri sono stati scritti per accompagnare le persone a «vincere sé stesse e a mettere ordine nella propria vita senza prendere decisioni in base ad alcuna affezione che sia disordinata» (annotazione 21 agli Esercizi Spirituali). In positivo, poi, entrambe le proposte consigliano di prendere coscienza del proprio stato di miseria per poi confortarlo con la contemplazione del Mistero della salvezza rivelato in Cristo e con l’annotazione costante e metodica degli effetti della suddetta contemplazione (all’illustrazione di questo metodo è dedicato il capitolo quinto).

Un ulteriore punto di contatto tra le due opere, non me ne vogliano i lettori troppo pii, sta poi nello stesso punto di partenza: gli Esercizi Spirituali nascono dall’esperienza religiosa di Ignazio, la quale ha inizio il giorno in cui il soldato di Loyola, allettato dopo un intervento chirurgico, chiese per passare il tempo dei “romanzi cavallereschi” (genere ben ricco di contenuti erotici), ma essendo il luogo della degenza privo di simili letture glie ne portarono di devote (una Storia di Cristo e delle Vite dei Santi). Il confronto delle sensazioni di differente piacere e di differente amarezza dopo queste letture, con quelle provate rispettivamente dopo le letture di avventure erotiche, fu il primo passo mosso da Ignazio verso la propria mirabile esperienza di Dio (e verso l’immenso tesoro che è la Compagnia di Gesù per la Chiesa e per il mondo). Pensiamo che valga la pena segnalare il libro di Morra anche per questa assonanza che, se forse non è voluta, certamente è indice di qualità.

Un’ultima segnalazione dobbiamo farla tra le appendici, delle quali la terza è dedicata all’inquietante legame sussistente tra pornografia e aborto: «Se guardi la pornografia – si sentì dire un giorno Morra in un seminario a Nashville – stai bevendo dallo stesso pozzo dell’aborto». Una dichiarazione scioccante, che però l’autore sostanzia e argomenta in modo tutt’altro che peregrino: «Migliaia di uomini, indeboliti dalla vergogna che porta la pornografia, non sono più in grado di difendere i deboli. È difficile prendere posizione per la tutela dei bambini e delle donne quando la notte prima eri attaccato ad uno schermo di un computer (tablet o cellulare) guardando come la pornografia vittimizza e oggettivizza queste ultime.

La nostra società è in continuo dibattito su come arginare il fenomeno degli stupri e degli abusi. Discutendo da varie cattedre, dimentichiamo le scene emanate dagli schermi di migliaia di gadget che incitano alla più perversa depravazione: le violenze di gruppo (gang bang) sono tra i video più cliccati nell’emisfero del porno. Il futuro del porno è sempre più oscuro.

Tanti credono che la pornografia sia solo un’innocua fantasia. Il sociologo e ricercatore Dr. Gail Dines puntualizza che il porno più “popolare” dei nostri giorni sprigiona un’enorme odio verso le donne, denigrandole di ogni dignità fisica e mentale.

Se ogni notte milioni di uomini disumanizzano le donne sugli schermi dei loro computer, quanto semplice sarà disumanizzare il frutto dei loro grembi? Quanto semplice sarà rendere oggetto un bambino non ancora nato?».

Riteniamo che Pornotossina sia un libro utile a chi sta forse annaspando in una dipendenza inedita nella storia e rischia di restarne schiacciato. Esso sarà però un testo utilissimo per tutti, uno strumento di sensibilizzazione per una rivalutazione del pudore: prima o poi il mondo si accorgerà che una sessualità casta dev’essere anche, tra l’altro, molto più appagante. E per questo, se c’è un Dio ce ci ha creati per essere felici, anche a Lui piace così.

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