Tesnota – Dal prossimo 1 Agosto nelle sale il film di Kantemir Balalov “Tesnota”.
1998, Nalchik, Caucaso del Nord, Russia. Ilana, 24 anni, lavora nel garage di suo padre per aiutarlo a sbarcare il lunario. Una sera, la sua famiglia allargata e gli amici si riuniscono per celebrare l’imminente matrimonio di suo fratello minore David. Più tardi quella stessa notte, la giovane coppia viene rapita ed è avanzata una richiesta di riscatto. In questa enclave ebraica molto unita coinvolgere la polizia è fuori questione. Come farà la famiglia a raccogliere i soldi per salvare David? Ilana e i suoi genitori, ognuno a suo modo, si spingeranno molto in avanti, consapevoli di correre dei rischi…
INTERVISTA A KANTEMIR BALAGOV
Cosa ti ha portato al cinema?
Sono nato a Nalchik, nel Caucaso del Nord, nel 1991, e lì ho frequentato la scuola superiore. Ad essere sinceri, il cinema non mi si è presentato subito; ho studiato Economia all’Università di Stavropol’, seguita da un corso per corrispondenza in Legge. Ma ho subito capito che non faceva per me e ho iniziato a cercare qualcos’altro. Mio padre mi aveva comprato una macchina fotografica e ho incominciato a scattare foto; in seguito ho preso a filmare alcune cose e ho finito per creare serie web a Nalchik. Facevo questo da circa un anno quando un amico mi disse che dovevo andare a vedere Alexander Sokurov (all’epoca non sapevo chi fosse!). Aveva aperto una scuola di cinema a Nalchik tre anni prima. Ci siamo scritti delle lettere, abbiamo parlato al telefono, mi ha suggerito di entrare alla scuola e iscrivermi direttamente al terzo anno. Naturalmente ho accettato, e ora non me ne pento. Infatti, quando Alexander Sokurov aprì questa scuola nella sede dell’Università di Nalchik, voleva che il corso durasse sei o sette anni, ma l’università era contraria quindi il corso di studi sul cinema dura cinque anni. Sono entrato nell’autunno del 2011.
Prima andavi regolarmente al cinema? Che film avevi visto?
Ho recuperato il tempo perduto una volta che ho iniziato a studiare. Abbiamo visto molti classici: la Nouvelle Vague francese, il cinema del periodo del Disgelo1, i film di guerra… Naturalmente non avevo mai sentito parlare della Nouvelle Vague francese prima di entrare alla scuola, non avevo mai sentito parlare di Renoir, Carné, Godard, ecc. Avevo visto unicamente film commerciali, sfortunatamente… A Nalchik abbiamo solo dei multisala, non cinema d’essai, come nella maggior parte delle città della provincia russa. Sostanzialmente, mi sento più vicino alla Nouvelle Vague francese, in particolare ai primi film di Godard, ma adoro anche Amanti perduti di Carné (che per me è un film perfetto), I pugni in tasca di Marco Bellocchio, film degli anni ‘60, Mouchette di Robert Bresson… Se parliamo di cinema russo e sovietico, per me vengono prima Ho vent’anni di Marlen Khutsiev, Quando volano le cicogne di Mikhaïl Kalatozov (l’unica Palma d’Oro russa nella storia di Cannes; assai meritata, a mio parere) e in generale il cinema del Disgelo.
Tesnota è il tuo primo lungometraggio. Che cosa avevi girato prima?
Ho realizzato un film di 40 minuti nel 2013, mentre completavo i miei studi, intitolato Molodoy eschyo, e un documentario di 38 minuti, Andryoukha (su un giovane affetto da insorgenza precoce della schizofrenia, la cui famiglia dipende però dal reddito che gli deriva dal un banco al mercato), oltre che a un corto di 15 minuti nel 2015, Pervyy ya, presentato poi allo Short Film Corner di Cannes di quell’anno (la mia prima volta a Cannes!).
Da dove viene l’idea per la sceneggiatura?
Questa storia riguardante un rapimento per riscatto, cosa relativamente comune negli anni Novanta (questo tipo di problema non si verifica più dai primi anni 2000), e l’ho appresa da mio padre quando avevo 17 o 18 anni. Più tardi, mentre studiavo, pensavo che fosse buon materiale cinematografico e ho iniziato a esplorare la questione della diaspora ebraica – per quel poco che ancora coinvolgeva direttamente Nalchik in quel periodo. Quello che mi interessava di più erano i sentimenti che una famiglia avrebbe provato nell’apprendere del rapimento del proprio figlio e, soprattutto, che cosa i parenti sarebbero disposti a fare per salvare un loro caro. Volevo esplorare questo scontro morale e parlarne. Chiaramente si farebbe di tutto per salvare una persona cara, ma ciò che è stato più interessante da approfondire è proprio quel che le persone NON sarebbero disposte a fare. L’ho scritto
con il mio coautore, Anton Yarush, che viene da San Pietroburgo. Non aveva familiarità con questa regione. È intervenuto su richiesta del mio produttore, dopo che avevo già scritto metà della sceneggiatura, che lui ha quindi valutato e revisionato. Gli avevo detto tutto quello che sapevo. Ciò che mi interessava era mettere in discussione l’assioma in base al quale devi sacrificarti per salvare una persona amata. Ciò è ancor più vero nel Caucaso: è persino un principio essenziale. Eppure per me questa è una domanda profonda: è davvero umano obbligare qualcuno a sacrificarsi per salvare una persona cara? Questo è il punto da cui sono partito per esplorare i personaggi e le situazioni… Avevo in mente alcuni riferimenti: Mouchette di Bresson e Rosetta, dei Dardenne. È una storia vera, ma ovviamente sullo schermo vediamo una raccolta di fatti derivati da diverse storie simili. Abbiamo anche inventato alcune cose, ma le scene chiave sono vere.
Pensi che ci sia una differenza nel modo in cui i cabardi e gli ebrei si avvicinano a questa situazione?
Ebrei e cabardi possono essere tanto simili quanto diversi. La società caucasica è più patriarcale, la società ebraica è più matriarcale. Gli ebrei sono più dinamici, più intraprendenti; i caucasici sono più lenti, più malinconici in un certo senso. Ma la propensione a preservare la famiglia e le proprie radici è comune a entrambi. C’erano molti ebrei in Cabardino-Balcaria. E durante la Seconda Guerra Mondiale e l’invasione del Caucaso da parte delle truppe tedesche, gli ebrei furono spesso nascosti e protetti dai cabardi. Cominciarono ad apprendere la lingua cabarda e molti di loro si insediarono dopo la guerra, creando una vera comunità ebraica a Nalchik, con un quartiere ebraico e una sinagoga che è ancora lì oggi. D’altra parte, dopo la Perestrojka ne sono rimasti pochi: molti sono emigrati a New York e Israele, alcuni si sono trasferiti a Mosca. Bisogna ricordare che alla fine degli anni Novanta ci fu la Seconda Guerra Cecena e l’area divenne pericolosa, anche se non ci fu alcun combattimento nella nostra zona, nemmeno atti terroristici. L’unico ha avuto luogo il 13 ottobre 2005, quando i terroristi hanno cercato di conquistare la città. I cabardi non sono molto diversi dagli altri abitanti del Caucaso. Ciò che li unisce è la loro visione dell’onore
e del rispetto – anche se l’onore e il rispetto sono diventati rari… Non penso che ci siano grandi differenze tra i cabardi, i ceceni
1 . Dal 1957 al 1964, dal 20° Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica che denuncia il culto di Stalin, alla rimozione di Nikita Krusciov. o gli ingusci. (Spero di non turbare nessuno, dicendo questo). Ci sono dei codici di condotta, dettati dalla religione musulmana o meno, che non devi trasgredire. Anche alcuni russi sono rimasti nella Repubblica Cabardino-Balcaria, i cabardi ora se ne stanno andando a loro volta. La situazione economica è tale che tutti vogliono tentare fortuna altrove, a Mosca o a San Pietroburgo. Nalchik è diventata una città molto povera. I leader di questa repubblica autonoma non si preoccupano del benessere dei loro compatrioti, che abbiano o meno un lavoro. Ciascuno è lasciato a sé. Ho portato questa storia dentro di me mentre stavo ancora studiando, e nell’autunno del 2015 sono andato a Mosca per raccogliere fondi in modo da poter tramutare la storia in immagini. Sokurov stava facendo la stessa cosa per Sofichka (di Kira Kovalenko)2 e io sapevo che non avrebbe potuto raccogliere fondi per entrambi. Laggiù ho inviato la mia sceneggiatura a tutti i produttori. Ma quelli che hanno risposto mi hanno detto che non era abbastanza commerciale. Alla fine, Sokurov stesso mi ha aiutato mettendo in produzione il film,
senza soldi dallo Stato, o dal Ministero della Cultura o dai fondi per il cinema. Lo ha prodotto Nikolay Yankin, direttore della fondazione Example of Intonation3, raccogliendo da solo i fondi necessari. Poi lo studio Lenfilm è diventato coproduttore, fornendo servizi: attrezzatura per girare, costumi, post-produzione… Ma devo dire che le riprese si sono svolte senza problemi e i pochi soldi che avevamo raccolto si sono rivelati sufficienti.
Dove hai girato il film? A Nalchik?
No. Per ragioni di budget abbiamo girato quasi tutto vicino a San Pietroburgo, in particolare gli interni. Una troupe ridotta è andata anche a Nalchik per fare gli esterni di cui avevamo bisogno, ma solo per quattro giorni. Abbiamo iniziato le riprese a fine settembre 2016, abbiamo completato la porzione di San Pietroburgo alla fine di ottobre, poi siamo andati a Nalchik per quattro giorni all’inizio di novembre. Le riprese sono terminate il 10 novembre 2016. Ho montato il film ogni sera, in parallelo con le riprese, per sapere se dovevo ripetere dei take. Abbiamo girato con una camera Alexa, della prima generazione digitale.
La mia troupe era molto giovane, con l’eccezione di Lydia Kryukova, la costumista, che ha lavorato su quasi tutti i film di Sokurov. Invece è stato il primo lungometraggio per il direttore della fotografia, per il tecnico del suono, per il truccatore… lo scenografo aveva realizzato solo due film in precedenza.
Come hai trovato i tuoi attori? In particolare il fantastico Darya Zhovner?
Sin dall’inizio ero fermamente convinto che i personaggi ebraici dovessero essere interpretati da attori ebrei, e le parti cabarde da attori cabardi. Era una questione di autenticità. Disponevo di un responsabile del casting a San Pietroburgo che ha lavorato instancabilmente. Abbiamo trovato Darya Zhovner a Mosca; aveva appena completato i suoi studi presso il Teatro d’Arte di Mosca. I genitori sono attori teatrali di San Pietroburgo. Il fratello rapito è un cuoco, non un attore professionista – sebbene sia apparso in un film di Aleksey German. Jr. Zalim, il ragazzo cabardo, è un attore professionista che ha studiato al rinomato Istituto D’arte Drammatica Boris Ščukin di Mosca.
Come lavori con gli attori? Consenti loro di improvvisare del tutto?
Mi interessa che ci sia un po’ di improvvisazione, altrimenti gli attori si annoiano. Abbiamo fatto delle prove, naturalmente; solo le scene chiave, ovvero le scene familiari, così che durante le riprese gli attori avrebbero potuto poi aggiungere qualcosa. Non abbiamo provato eccessivamente perché non volevo che i personaggi perdessero spontaneità. Abbiamo modificato alcuni dialoghi che, sebbene sembrassero ben scritti in fase di sceneggiatura, sono diventati banali una volta pronunciati dagli attori, che nel frattempo avevano sviluppato i personaggi.
Mostri dei video di esecuzioni: come li hai scelti?
Il più lungo è un video che io e i miei amici abbiamo avuto per le mani quando avevamo circa dodici, tredici anni, su VHS o DVD – non ricordo – e che eravamo soliti guardare insieme. Lo ricordo molto chiaramente perché è stata la prima volta che mi sono confrontato con la morte, che ho visto qualcuno morire lentamente. Eravamo come ipnotizzati, incollati a quelle immagini girate allora, nel 1998, in un villaggio del Daghestan. Non eravamo alimentati da sentimenti anti-russi, non abbiamo provato alcun piacere in queste immagini, ma non siamo riusciti a distogliere gli occhi… Le reazioni dei personaggi quando guardano questo nastro sono modellate sulle reazioni mie e dei miei amici, tutti molto diversi l’uno dall’altro.
È raro vedere didascalie così personali in un film, come quelle dell’inizio di Tesnota.
Sofichka è il debutto cinematografico di Kira Kovalenko, un altro studente di Alexander Sokurov, girato in Abcasia – un territorio georgiano occupato dalle forze militari
russe – e il primo film girato in lingua abcasa.
Questa fondazione senza scopo di lucro è stata creata da Alexander Sokurov nel 2013 per “sostenere i giovani autori che muovono i primi passi nell’arte del cinema”. Prende il nome dall’omonimo
documentario diretto da Alexander Sokurov nel 1991 su Boris Eltsin.
Ciò si deve ad una proiezione che avevo organizzato; un paio di critici russi mi hanno detto che mancava un contesto per aiutarli a capire meglio la storia. Alexander Sokurov ha suggerito l’idea delle didascalie in modo da poter collocare la storia in un contesto: tempo storico, geografia, nazionalità… Inoltre ho amato l’idea perché vi ho visto l’opportunità di mostrare un momento di autentica sincerità al pubblico.
Le tue scelte circa il taglio delle inquadrature e il suono sono a volte inquietanti. Puoi dirci di più sul tuo lavoro con il
direttore della fotografia e il tecnico del suono?
Ho insistito su una parola chiave mentre li dirigevo: “costrizione”4. Volevo che il pubblico lo sentisse, tanto nella composizione e nell’inquadratura come nella luce e nei colori, quanto nel suono. Desideravo uno sviluppo dei colori man mano che il film avanzava; volevo che la camera si agitasse, a volte, come se si stesse innervosendo, senza che dovessi chiedermi se sarebbe stato bello o no. Per quanto riguarda il suono, ero, per questo film, un fiero sostenitore della presa diretta.
APPUNTI
I cabardi, gente del Caucaso del Nord che parla cabardo (non una lingua slava), sono stati sottoposti alla dominazione russa dal 1825. Con i balcari (un popolo di lingua turca ed etnicamente turco), dal 1936 hanno formato la Repubblica Autonoma di Cabardino-Balcaria, inclusa nella Repubblica russa. Il territorio fu occupato dalle truppe tedesche per cinque mesi durante l’inverno del 1942-1943. La repubblica autonoma occupa 13.000 km2 di territorio (confina con la Karačaj-Circassia ad ovest, il distretto di Stavropol’ a nord e Ossezia Settentrionale-Alania ad est – tutti e tre inclusi nella Repubblica russa – e la Georgia a sud) e ha poco più di 800.000 abitanti (il 57% sono cabardi, il 23% balcari e il 13% russi). La capitale è Nalchik (240 milioni di abitanti). Su questo territorio sorge la più alta montagna europea, il monte Elbrus, alto 5642 metri.