Una full immersion nel mondo di Steve Jobs, come era il genio al di là del mito, le luci e le ombre in un film “fatto nonostante molti no, perché la storia dell’uomo che ci ha cambiato la vita andava raccontata”. Danny Boyle, il regista inglese premio Oscar 2008 per The Millionaire, è a Roma per presentare Steve Jobs, il film che uscirà il 21 gennaio per Universal. Scritto dal premio Oscar Aaron Sorkin (l’autore di The Social Network), basandosi sulla biografia di Walter Isaacson, che ha venduto milioni di copie, vede protagonista uno straordinario Michael Fassbender che interpreta il fondatore della Apple con Kate Winslet nella parte di Joanna Hoffman, suo braccio destro, e con Seth Rogen e Jeff Daniels.
L’idea cinematografica è raccontare il dietro le quinte, pochi minuti prima dell’evento, dei lanci dei tre prodotti che hanno fatto di Jobs un mito partendo con il Macintosh del 1984 e finendo con l’iMac del ’98. “La cosa che mi ha affascinato di più mano mano che entravo in questa storia – ha detto all’ANSA Boyle – è stato rintracciare il dolore di Steve Jobs. Nell’84 ha già più di 400 milioni di dollari e non riesce a superare di essere stato abbandonato dai genitori biologici, un dolore che lo ha formato e che si porterà dentro tutta la vita, ecco perché è diventato un maniaco del controllo, ecco perché ha creato prodotti end-to-end, una filosofia che lo rappresenta persino nel rapporto con la figlia. Mettiamo in fila i fatti della sua vita e scopriamo con questo film che alla fine quello che ha messo in questi prodotti è l’amore, perché lui da lì cercava l’approvazione, gesti che per lui significano prodotti, per essere amato. E noi siamo totalmente connessi a questi prodotti, affidiamo segreti che mai scriveremmo sui diari, abbiamo accettato l’idea di questo amore”.
Al centro del film c’è un “attore straordinario che ha assorbito la figura di Steve Jobs in un modo incredibile: ogni giorno, tre quattro volte al giorno, Michael leggeva la sceneggiatura ad alta voce e anche di notte durante le riprese continuava a immergersi, finché Jobs non gli è entrato nella mente e persino nella pelle. Sul set ogni attore ha in genere i fogli del copione che ripassa ebbene durante le riprese non ho mai visto un pezzo di carta tra le sue mani e non ha mai perso una battuta anzi sapeva anche quelle degli altri e li aiutava se c’era bisogno”. Boyle racconta che questo film ha incontrato difficoltà: “La vedova di Steve Jobs non lo voleva. D’accordo bisogna rispettare il dolore delle persone ma io ho deciso lo stesso di fare il film, lei in questo film non c’è, raccontiamo fatti precedenti. Inoltre bisogna essere coraggiosi e affrontare anche le difficoltà che possono venire dal raccontare in un film queste grandi e potenti aziende. Non sarebbe stato giusto fermarsi per questo. Jobs ha cambiato per sempre le nostre vite, l’importante è che pur nella finzione io mi sia basato su fatti”. Il film è uscito in America ma gli incassi sono piuttosto deludenti e sui siti americani è comparsa la parola flop. “A New York e a Los Angeles – risponde all’ANSA Boyle – il film è andato bene e anche in un’altra trentina di città. Forse bisognava essere più umili, partire con meno schermi e puntare sul passaparola. Del resto la storia di Steve Jobs non è un Blockbuster perché non ci sono esplosioni né uccisioni”. Non sarà che la lettura poco mitologica di Jobs condizioni il mercato americano? “Può darsi ci sia anche questo, la prospettiva americana per noi è interessante: in Usa Jobs è riconosciuto come un pioniere, un innovatore e quello che conta è l’uomo d’affari di grande successo”.
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