Tutto lo sanno – E’ sempre un piacere veder recitare Penelope Cruz attrice molto cambiata dai tempi in cui la conoscemmo in Italia quando venne a Roma per presentare “Vanilla Sky con Tom Cruise.
Da quella mattinata romana sono passati anni e nel frattempo lei e Tom si sono lasciati e dal sodalizio artistico ed affettivo con Javier Bardem l’attrice spagnola sembra aver avuto una grande maturazione professionale.
Esce in queste ore infatti, pochi mesi dopo il successo di ‘Escobar’, il film “ Tutti lo Sanno”
Per la regia di Asghar Farhadi, con Penélope Cruz, Javier Bardem, Ricardo Darín, Eduard Fernández, Bárbara Lennie.
In occasione del matrimonio della sorella, Laura torna con i figli nel proprio paese natale,
nel cuore di un vigneto spagnolo. Ma alcuni avvenimenti inaspettati turberanno il suo
soggiorno facendo riaffiorare un passato rimasto troppo a lungo sepolto.
Tutto questo e molto altro lo troviamo in “Everybody Knows” il titolo originale della pellicola per 130 minuti di film tutti da seguire.
Del film ecco le parole, gli aneddoti e le curiosità direttamente dal regista Asghar Farhadi.
Come è nato questo progetto?
“Quindici anni fa, sono stato nel sud della Spagna. Durante questo viaggio, in una città ho visto diverse foto di un bambino affisse ai muri. Quando ho chiesto chi fosse, ho saputo che era un bambino scomparso e che la sua famiglia lo stava cercando: lì è nata la prima idea del film. Quella storia mi è rimasta sempre impressa e quando ho finito di girare Il passato ne ho tratto un piccolo racconto. Ci ho messo quattro anni, poi, a svilupparlo e a trasformarlo in una sceneggiatura. Ma in realtà il progetto è nato all’epoca di quel viaggio in Spagna. Ad attrarmi sono state soprattutto due cose: il paesaggio e la cultura locale, e il fatto di cronaca al centro della storia. Da allora ho continuato a pensare alla Spagna”.
Perché ha scelto di ambientare questa storia in un paesino anziché a Madrid?
“Questa storia parla dei rapporti umani tra gli abitanti di un paese. E le loro relazioni sono diverse da quelle che ci sono tra gli abitanti di una città. Inoltre, era tanto tempo che avevo voglia di girare in un piccolo paese in mezzo alla natura. Cercavo storie ambientate lontano dalla città e dal suo frastuono e questo mi ha portato inconsciamente a indirizzare la trama verso un luogo dove ci fossero un paese, una fattoria… Cose che mi suscitano un sentimento di nostalgia. In un paese le persone sono più vicine, perché gli abitanti sono pochi e tutti si conoscono. La storia si nutre anche di questo. Se fosse stata ambientata in una città, le persone non si sarebbero incontrate tanto facilmente, le relazioni tra loro sarebbero state diverse. Avrei fatto un altro film. Una delle cose più belle è stato girare in mezzo a tutte quelle fattorie, in un paese dove la gente si riunisce nella piazza principale ogni pomeriggio. Un altro punto che ci tengo a sottolineare è che i protagonisti del film, pur trovandosi in una situazione complicata, sono persone semplici. E collocarli all’interno di un paesino sottolineava questa semplicità”
.Come ha scelto i suoi attori?
“Per prima cosa cerco una storia da cui possa emergere la sceneggiatura iniziale, poi penso ai personaggi e li sviluppo cercando di metterne a fuoco i diversi aspetti. Così, quando il momento delle riprese si avvicina, ho già un’immagine precisa in testa e so cosa voglio. Appena arrivato in Spagna ho visto molti film spagnoli, alcuni per intero altri solo in parte. Ho scelto alcuni attori per ognuno dei ruoli e ho proceduto per esclusione finché non ho trovato quelli giusti. Uno dei punti di forza del cinema spagnolo, secondo me, è che è pieno di attori straordinari e questo mi ha aiutato a trovare quelli più adatti ai loro ruoli, principali e secondari”.
Ha scritto qualcuno dei personaggi pensando a un attore in particolare?
“I due personaggi principali sono stati scritti per Penélope e Javier. Erano quattro anni che parlavamo della sceneggiatura e avevano già accettato di fare il film. Quindi ho scritto il copione pensando a loro. Ma gli altri li ho scelti tutti dopo aver scritto il copione”.
Come mai ha scelto Penélope Cruz e Javier Bardem?
“Quando ero in Francia per girare Il passato, una delle candidate per il ruolo della protagonista era Penélope, che purtroppo in quel momento era già impegnata… O meglio, aveva appena partorito. Così, non abbiamo potuto lavorare insieme, ma siamo diventati amici. Ho parlato di questo progetto prima con lei e poi con Javier, quando l’ho incontrato a Los Angeles. Nei quattro anni successivi siamo rimasti in contatto e hanno seguito gli sviluppi del progetto. Ma dopo Il passato ho deciso di tornare in Iran e di girare un altro film, e questo ha rimandato il nostro progetto di altri due anni. Non ci siamo mai persi di vista, però. Al di là delle loro interpretazioni, questi due attori hanno contribuito in modo determinante alla realizzazione del film. In tutti questi anni hanno sempre risposto con grande generosità alle mie domande su qualsiasi argomento potesse riguardare il progetto. Oltre ad essere due attori straordinari, sono anche persone di grande umanità, e il rapporto che c’è tra noi va oltre la collaborazione professionale”.
Come le sono venuti in mente i due personaggi principali?
“All’inizio non mi concentro mai sui personaggi. Cerco semplicemente di sottolineare nella storia gli aspetti che influiscono su ognuno di loro, senza difendere o giustificare l’uno o l’altro. I personaggi principali devono tutti avere le stesse possibilità di esprimersi. Questo consente allo spettatore – e non al regista – di scegliere liberamente a quale personaggio affezionarsi fin dall’inizio. È il metodo che ho seguito per realizzare questo film, e tutti gli altri del resto. In pratica, cerco di fare in modo che sia lo spettatore a giudicare. Acuni credono che io incoraggi il pubblico a non giudicare nessuno dei personaggi, mentre quello che cerco di fare, in realtà, è eliminare ogni traccia di giudizio da parte mia, per lasciarlo al pubblico”.
Penelope Cruz appare molto soddisfatta del film: “Mi piacevano molto i film di Asghar, soprattutto Una separazione, che secondo me è un capolavoro. Asghar mi ha chiamato e mi ha detto che aveva voglia di girare un film in Spagna e che pensava a me per un ruolo. La telefonata di quest’uomo è stata una delle sorprese più belle che abbia ricevuto in tutta la mia carriera. Lo ammiro moltissimo, è uno dei più grandi registi viventi. È un uomo buono, brillante, con una sensibilità fuori dal comune”.
“Asghar mi ha parlato di questo progetto circa cinque anni fa, anche se da allora la storia è molto cambiata. Ma da quando io e Javier abbiamo accettato di fare il film, Asghar ci ha sempre tenuto al corrente dei suoi sviluppi, passo dopo passo. La cosa più interessante, comunque, era quello che gli interessava raccontare attraverso questa storia. In un certo senso, la famiglia del film è una sorta di metafora di quello che accade intorno a noi. Come dice la poesia di Djalal al-Din Roumi che ho scoperto durante le riprese del film grazie a un altro amico iraniano, “se un membro della famiglia soffre, tutti soffrono”. Per me, questa poesia racchiude il senso del film. E in effetti, quando ne ho parlato con Asghar, mi ha detto che la conosceva e che gli era tornata in mente proprio la sera prima. Abbiamo avuto molti momenti così durante le riprese”.
Chi è Laura?
“Laura è una donna che non ha avuto una vita facile. Ha dovuto prendere decisioni difficili, che coinvolgevano altre persone, e questo le pesa. Ognuno di noi si trascina dietro un bagaglio pieno di esperienze e di traumi. Alcuni di noi più di altri. Laura è una donna che vive con un segreto, e che all’improvviso si ritrova ad affrontare un vero e proprio dramma. Questo la costringe a rivelare il suo segreto e quindi a fare riemergere una serie di cose sepolte che dovevano pesarle enormemente. Per lei è un trauma. È stato senz’altro il personaggio più difficile che io abbia mai dovuto interpretare”.
Come sono andate le riprese con Farhadi?
“Benissimo. Le riprese sono durate circa quattro mesi. E in quattro mesi ne succedono di
cose! Asghar è molto esigente, ma è anche un ottimo maestro. Chiede molto, ma con
tatto. Ti fa venire voglia di dare il massimo. È una fonte continua di ispirazione. Ti apre
delle porte per farti andare dove vuole lui. E lo fa con eleganza perché è un vero artista.
Una persona geniale, un essere a parte, dotato di una straordinaria sensibilità. Le persone
come lui sono rare. Ne ho incontrate poche da quando faccio questo mestiere, e quando
succede ti accorgi subito che quella persona è diversa dalle altre. Riesce a toccare le
corde più profonde quando racconta una storia. E lo fa con grande umiltà. Ai miei occhi è
molto più che un semplice regista”.
Javier Bardem ci parla del suo personaggio: “Paco È un uomo che vive in un villaggio, anche se ha dei contatti con la grande città. Ha lavorato sodo per arrivare dov’è. È nato nella casa in cui vive la famiglia di Laura. Un po’ alla volta si è messo a coltivare la terra, a occuparsi del suo vigneto. All’inizio del film, lo troviamo soddisfatto della sua vita personale e professionale. Ma a un certo punto avviene qualcosa che lo coinvolge e lo impegna a tutti i livelli: psicologico, emotivo, fisico e perfino morale. In pratica, la sua vita comincia a incrinarsi. All’improvviso, il suo passato riaffiora e ripercuote sul suo presente. Paco è un personaggio pieno di sfumature, almeno sulla carta. Ma io spero che lo sia anche sullo schermo”.
Come è approdato a questo film?
“Doveva essere il 2013 o il 2014, a Los Angeles. Se ricordo bene Asghar era lì per la promozione di un film e anch’io mi trovavo lì per lavoro, così ci siamo incontrati. Sono andato all’appuntamento emozionato e impaziente di conoscere l’artista, ma anche e soprattutto l’uomo. È una persona che mi affascina, come del resto mi affascinano i suoi
film. Abbiamo parlato in inglese, alla meglio, e abbiamo accennato alla possibilità di lavorare insieme. Qualche mese più tardi ho ricevuto un trattamento di quella che sarebbe diventata una sceneggiatura, e da allora siamo sempre rimasti in contatto”.
Qual è stata la sua prima impressione leggendo la sceneggiatura?
“In pratica, Asghar lavora su idee, concetti, storie. Aveva scritto una ventina o trentina di pagine, a cui era allegata una sinossi piuttosto dettagliata. Come un copione senza dialoghi. Mi è molto piaciuta la storia, l’ambientazione e in particolare i rapporti tra i personaggi.
Come nei suoi film precedenti, Todos lo saben parla di rapporti tra individui, del modo in cui le persone interagiscono tra loro, del passato che riaffiora, di come quel passato può avere delle conseguenze sulla nostra vita attuale. Era anche un ritratto estremamente accurato di una comunità rurale spagnola. E venendo da uno straniero, mi è sembrato straordinario”.
Che rapporti ha avuto con gli altri attori? Com’è stato tornare a lavorare con Penélope e con Ricardo?
“Con Penélope avevamo appena finito di girare Escobar, in cui interpretavamo due personaggi dal carattere molto forte legati da un rapporto estremamente tossico. Avevamo diverse scene insieme, ed è stato un lavoro molto impegnativo. Qui è stato tutto più facile. Penélope è un’attrice che cresce con ogni nuovo ruolo ed è un piacere vederla raffinarsi ogni volta di più. Inoltre, per noi è facile lavorare insieme perché ci conosciamo, e questo ci aiuta sicuramente.
Potrei parlare per ore degli altri attori. Ci sono quelli che non avevo mai incontrato, come Inma Cuesta, di cui conoscevo comunque il lavoro. E altri con cui avevo già lavorato e che già conoscevo, come Elvira e Eduard.
E poi, finalmente ho potuto recitare accanto a Ricardo Darín, una cosa che desideravo da tempo. Abbiamo poche scene insieme, ma molto intense. È stato anche stupendo veder recitare Ramón Barea. È un uomo e un attore straordinario: nonostante abbia una lunga carriera alle spalle, è sempre pronto a sperimentare cose nuove. Lo trovo un esempio
fantastico, una lezione da imparare”.
Qual è la sua scena preferita? E quella che è stata più difficile da girare?
“È stato un film impegnativo, ma tutti i film lo sono, ognuno a modo suo. Qui il soggetto contribuiva a creare una forte tensione emotiva. Alcune scene erano particolarmente impegnative. Asghar faceva così: proponeva una scena e stava a guardare, dopodiché modificava alcuni dettagli a seconda degli aspetti che voleva accentuare. Non c’era niente
di definitivo. Non ci diceva mai «bisogna fare così e basta». Asghar è un uomo che ama la vita, e vuole che le scene del suo film siano vive, reali.
Ora che le riprese sono finite, direi che le scene più difficili sono state quelle di gruppo.
Eravamo in tanti, e ogni attore ha un suo modo di recitare. Anche se l’ingrediente è lo stesso – la paura, poniamo – ognuno lo interpreta a modo suo. Alla fine spetta al regista armonizzare il tutto, ma le scene di gruppo richiedono un grande sforzo di concentrazione da parte degli attori. Bisogna ascoltarsi a vicenda, quello sempre, ma quando si è in tanti bisogna soprattutto non perdere la concentrazione”.
Ricardo Darin ci parla del suo ruolo: ” Ho avuto un primo incontro con Asghar nel suo albergo di Madrid. In realtà ero andato lì per ringraziarlo della sua offerta e dirgli che avevo già preso un altro impegno per uno spettacolo teatrale a Madrid, e che quindi mi sarebbe stato difficile fare il film. Lui mi ha subito detto che adorava il teatro e mi ha chiesto quale fosse lo spettacolo. Quando gli ho risposto che si trattava di «Scene da un matrimonio» di Bergman, ha sgranato gli occhi e mi ha detto: «Credo che sia stato proprio Bergman a farmi venire voglia di diventare un
cineasta». Questo ha creato immediatamente un legame tra noi. Ci capivamo. Così, mi ha detto che avrebbe cercato di programmare le riprese in modo tale da conciliare le riprese del film con i miei impegni teatrali. E ha funzionato.
Alejandro aveva una buona posizione un tempo, ma poi ha perso il lavoro e ora è praticamente al verde. In passato, però, ha molto aiutato il paesino spagnolo di cui è originaria sua moglie Laura. Quando la sorella di Laura li invita in Spagna al suo matrimonio, Alejandro è costretto a restare a Buenos Aires per cercare lavoro e superare
la crisi. Ma appena scopre cosa è successo la sera del matrimonio, vola in Spagna non soltanto per essere d’aiuto, ma anche per assumere il controllo delle operazioni. Una volta arrivato lì, si trova a fare i conti con una serie di situazioni impreviste che secondo medanno ancora più forza alla tensione drammatica del film.
Quali sono stati i suoi rapporti con gli altri attori?
“Avevo già lavorato con Inma, Eduard e Elvira, ma mai con Javier e Penélope. La persona con cui il mio personaggio interagisce di più è ovviamente la moglie Laura, interpretata da Pénelope. L’incontro con lei è stato una rivelazione. Ci siamo studiati per diversi giorni, per capire come ci muovevamo sul set, e credo che questo ci abbia dato una
grande sicurezza. Ci ha permesso di affrontare qualsiasi situazione con serenità. Penélope è un’attrice molto intelligente e attenta, e questo ha reso la collaborazione stimolante. Con Javier siamo amici da anni e avevamo sempre voluto lavorare insieme. I nostri personaggi non si incrociano spesso, ma compaiono in alcune scene chiavi estremamente forti, ed è stato veramente stupendo recitare con lui. Spero che questo si veda sullo schermo.