La donna dello scrittore – “La donna dello scrittore” è un film drammatico francese di Christian Petzold con Franz Rogowski, Paula Beer, Godehard Giese, Lilien Batman, Maryam Zaree.. La pellicola, il cui titolo originale è “Transit” ci immerge, per 101 minuti, nel romanzo “Transito” di Anna Seghers, scritto a Marsiglia nel 1942. Utilizzando uno strabiliante parallelismo tra i fatti storici del passato e la Marsiglia dei giorni nostri, Petzold racconta la storia di un grande amore impossibile fra la fuga, l’esilio e il desiderio di raggiungere un luogo che possiamo chiamare casa.
Franz Rogowsky e Paula Beer interpretano magistralmente i due protagonisti.
Le truppe tedesche sono alle porte di Parigi. Georg, un rifugiato tedesco fugge a Marsiglia appena in tempo. Il suo bagaglio contiene i documenti di uno scrittore di nome Weidel, che si è tolto la vita per paura delle persecuzioni. Questi documenti comprendono un manoscritto, alcune lettere e l’assicurazione dell’ambasciata messicana per un visto. A Marsiglia possono rimanere solo coloro che possono dimostrare che ripartiranno. Per dimostrarlo hanno bisogno di essere in possesso del permesso di ingresso da un potenziale paese ospitante. George ha assunto l’identità di Weidel, memorizzato tutte le informazioni contenute nei documenti e spera così di ottenere uno dei pochi passaggi disponibili in nave. Sprofonda nella mezza esistenza di chi è in fuga: chiacchiera con i rifugiati nei corridoi di un piccolo hotel, nei consolati, nei caffè e nei bar lungo il porto. Il suo unico amico è Driss, figlio del compianto Heinz, morto mentre cercava di fuggire. Ma cosa lo spinge a partire? È possibile iniziare una nuova vita in un altro luogo?
Tutto è destinato a cambiare quando George incontra Marie, una donna misteriosa di cui si innamora. È l’amore o l’interesse a spingere Marie fra le braccia di un medico, Richard, prima di partire alla ricerca del marito? Si dice che quest’ultimo si arrivato a Marsiglia con in mano un visto per il Messico per sé e la moglie.
L’autobiografia di George K.Glaser contiene una frase che ci fa comprendere il suo personaggio: “Improvvisamente, nel momento in cui il mio volo si concluse, mi ritrovai sommerso da qualcosa che potrei definire una sensazione di “sospensione della propria vita”. Georg K. Glaser era uno scrittore tedesco sostenitore del partito comunista, vissuto negli stessi anni nei quali era stato ambientato “Transito” di Anna Seghers. Fuggì in Francia e si rifugiò nella parte della Francia libera, non occupata, di cui a quei tempi faceva parte Marsiglia. Questa sensazione di sospensione di cui parla è simile all’assenza di vento o all’immobilità dell’aria: la brezza che cessa di spingere la barca a vela, che rimane sospesa nell’immenso nulla del mare. Coloro che sono a bordo rimangono così tagliati fuori dalla storia e dalla vita. Sono bloccati nel tempo e nello spazio. Le persone ne La donna dello scrittore sono bloccate a Marsiglia, in attesa di una nave, di un visto per potersi spostare altrove. Sono in fuga – non possono tornare indietro ma non possono andare oltre. Nessuno si occupa di loro, si muovono ignorati da tutti, seguiti solo dalla polizia dai collaborazionisti e dalle telecamere di sorveglianza. Sono fantasmi sospesi in uno spazio tra la vita e la morte, tra passato e futuro. Il presente passa davanti a loro senza riconoscerli. Il cinema ama i fantasmi. Forse perché anche il cinema è uno spazio di transito, una realtà momentanea, nella quale noi, gli spettatori siamo contemporaneamente assenti e presenti.
Christian Petzold ci ha specificato il rapporto tra il suo film ed il romanzo da cui è tratto…
“Il libro è stato sottoposto alla mia attenzione molto tempo fa da Harun Farocki, che lo considerava un libro fondamentale. Harun era nato nel 1944 nel Sudetenland da genitori che avevano dovuto lasciare la propria terra, e ho pensato che avesse sempre cercato di scoprire particolari connessioni tra il XX secolo e scrittori come Franz Jung, George Glaser e Anna Seghers. Quello che esisteva prima del fascismo era una innocenza perduta e “Transito” è un libro che è stato essenzialmente scritto in quel momento di transizione. Durante gli anni, lo abbiamo letto e riletto perché è un libro a cui entrambi potevamo relazionarci: vivere in uno stato di transizione e avere un personaggio la cui storia si sviluppa in uno spazio specifico ma senza avere una casa. In “Transito” non esistono case in cui poter tornare. Essere a casa coincide di fatto con la condizione di non averne una”.
Come nasce l’idea di collocare la storia de La donna dello scrittore che si svolge nel 1940, a Marsiglia ai giorni nostri?
“Avevo già girato Il segreto del suo volto, un altro film storico insieme ad Harun, ambientato negli stessi anni e che ricostruiva quella situazione, quello stato d’animo. Harun ed io avevamo già scritto un primo trattamento da cui partire per realizzare La donna dello scrittore e lo avevamo concepito come un film storico ambientato a Marsiglia nel 1940. Dopo la morte di Harun, ho ripreso in mano il progetto ma non ero più sicuro di voler realizzare un film storico. Non volevo ricostruire il passato. Ci sono rifugiati in ogni parte del mondo e viviamo in una Europa in cui riemergono i nazionalismi, non volevo ritrovarmi nella comfort zone della ricostruzione storica. Intanto avevo realizzato due film per la televisione ambientati ai giorni nostri, un’epoca che mi è più familiare. I motivi per cui sono ritornato a La donna dello scrittore sono essenzialmente due: tempo fa stavo parlando con un architetto che mi spiegava che l’aspetto affascinante dell’architettura della DDR è che gli edifici, risalenti a quel periodo, non sono stati demoliti ma li possiamo osservare ancora integri, accanto alle nuove costruzioni. La storia della DDR non è nascosta sotto altri strati ma è rimasta visibile integralmente. C’è un dibattito a Monaco sulle “Stolpersteine”, le pietre d’inciampo, ciottoli di ottone placcato incastonati sui marciapiedi che ci ricordano gli ebrei stati deportati nei campi di sterminio. Considero le pietre d’inciampo una delle più grandi forme di arte moderna, ci rendono testimoni del passato mentre attraversiamo il presente. Hanno qualcosa di spettrale è questo mi ha fatto pensare a Transiti. Una zona di transito è per definizione un luogo di passaggio. Come il check-in di un aeroporto, consegni il tuo bagaglio ma non sei ancora andato da nessuna parte. Anna Seghers descrive questa zona di transito come un luogo tra l’Europa e il Messico, ma potrebbe anche essere – così come lo sono le pietre di inciampo o l’architettura – una zona di passaggio tra il passato e il presente”.
Lei utilizza spesso il termine “Geschichtsstille”, momento di sospensione, quando parla di passaggi “Durante la preparazione del film ho letto “Secret and Violence” di Georg K.Glaser, un altro dei libri preferiti da me e Harun , fondamentale per la scrittura del film. Glaser è fuggito dalla Germania nazista scappando da un campo di concentramento vicino Görlitz. Era un comunista come Anna Seghers ma non un intellettuale. Quando scrisse “Secret and Violence” aveva già perso la sua seconda casa, il partito comunista. Ed è stato in quel momento che è nato il termine da cui sono rimasto affascinato “Geschichtsstille”, uno stato di sospensione. Quando questo stato di sospensione è finito Glaser ha potuto ricominciare, è diventato cittadino francese e ha potuto costruirsi una nuova vita. Anna Seghers invece è rimasta una solitaria; quando leggi i suoi libri messicani ti accorgi che prova a scrivere di se stessa nei suoi libri, ma hai la sensazione che non ne faccia parte veramente. Nel romanzo “Transiti”, il manoscritto che lo scrittore Weidel abbandona è essenzialmente il testo del libro che Anna Seghers scrisse che avrebbe potuto essere trovato in una stanza d’albergo. La scrittura di questo testo, che al tempo stesso è il testo del narratore, è un tentativo di superare la disperazione e ripartire da capo dopo che la “Geschichtsstille”, la fase di sospensione, è terminata. Questo accade quando Georg legge il manoscritto e dice: “Quello è stato il momento in cui ho compreso l’intera storia, ho capito me stesso, ho capito il senso di impotenza di tutta questa gente”.
Georg ha interiorizzato il suo essere di passaggio e la lotta per la sopravvivenza a tal punto da non riuscire più ad avere un obiettivo finale?
“L’aspetto più affascinante di un racconto di formazione come “Transiti” è farti comprendere il percorso che ci porta a diventare una persona con un obiettivo, ricordi, desideri e necessità. Georg all’inizio è vuoto, una pedina, una vittima della storia; va in giro, siede nei bistrò, non ha passato né futuro, semplicemente vive nel presente. Continua a lottare nella vita perché pensa di non aver niente da perdere e di non aver ancora perso nulla. E’ scaltro, quasi come un criminale; decifra i segnali intorno a lui e possiede un talento naturale nel fingere. Solo quando legge il manoscritto, durante la fuga, mentre il suo amico muore accanto a lui, ecco allora diventa improvvisamente una sorta di eroe tragico. Subisce una trasformazione. Si innamora. Assumere l’identità di qualcun altro gli dà uno scopo nella vita, sebbene costruito su una bugia. E durante tutta la storia, assumere l’identità di qualcuno che ha sentimenti e bisogni, lo porterà, alla fine, a sacrificarsi”.
Definirebbe La donna dello scrittore un film d’amore?
“Si, si penso che la storia di qualcuno che fugge possa essere raccontata solo come una storia d’amore. L’amore richiede tempo ma crea qualcosa che l’allontanamento non può distruggere. Gli innamorati possono creare qualcosa che trascende il tempo e lo spazio. Possono prendere distanza dalla storia. Penso sia meraviglioso.
Il personaggio di Marie sembra avere una doppia natura, divisa a metà tra l’interesse
personale e la devozione.
“Durante il lavoro di preparazione, Paula Beer sosteneva che nel libro – nonostante l’autore fosse una donna – il suo personaggio fosse una proiezione maschile.
Le sue caratteristiche fisiche sono appena accennate, non hai idea di come sia fatta fisicamente. Quello che ho amato molto del personaggio è la sua doppiezza, Mariee non è solo pura e devota. A differenza di George lei ha un profondo senso di colpa. Ha perso i contatti con il marito e non vuole imbarcarsi finché i suoi sensi di colpa non si saranno placati. Lei dice: “Ho bisogno di trovare mio marito. Ci sono, ti amo ma non potrò iniziare una vita nuova con te finché non avrò saldato i debiti con il mio passato.
Non può vivere con quel tradimento”.
Il manoscritto dell’autore è incompleto. La fine del romanzo suggerisce che il narratore si ritira sulle montagne…
Si, è possibile che lo faccia. Ma è anche seduto sul Monte Ventoux all’inizio del racconto di Anna Seghers, anche se avrebbe dovuto essersene andato da tempo. E’ un’immagine bellissima quando dice che Marie viene dalla terra delle ombre. E ogni volta che la porta si apre ed appare un’ombra sul muro, egli alza lo sguardo. Osserva le ombre che entrano nel caffè, pensando che la prossima potrebbe essere Marie. Quella probabilmente è la parte migliore, per qualcuno che è già in un mondo immaginario per dire: “se la nostra mancanza di radici può diventare una storia bellissima ed appassionata, allora posso aspettare qui in questo ristorante, fino a quando Marie ritornerà dal regno dei morti”.