Cinema e politica – Gli OSCAR del cinema 2019 politicamente di sinistra

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Oscar – Sono stati assegnati gli Oscar del cinema 2019 tra il consueto sfarzo e le poche sorprese ideoligiche.

Da tempo seguo il cinema ma quello dei festival o degli Oscar non mi ha mai entusiasmato perché belli o brutti che siano le pellicole premiate hanno avuto spesso (troppo spesso) l’ideologia a farle da padrona. A suffragare tale argomenti mi viene incontro Marcello Veneziani che così twitta: “Indovinate chi ha vinto gli #oscar2019? Due film contro Trump, il razzismo e l’omofobia. Trionfa il black power. Evviva la monotonia ideologica e il conformismo global. Non c’è scampo nella dittatura radical”.

Difficile dargli torto: contro Donald Trump si usa qualsiasi mezzo per dargli contro ed il mondo del cinema è sempre stato in primo piano in questa ‘lotta’. Il razzismo è da tempo legato esclusivamente al colore della pelle dimenticando gli attacchi ai disabili, agli obesi, il disinteresse sul bullismo o le malattie rare. Sull’omofobia evito di ripetermi: dove le lobby sono forti e primeggiano le tutele sono immense. La dittatura radical impregna certi ambienti della sua presenza e non si tratta di chiacchiere, è sufficiente frequentare il mondo del cinema per rendersene conto facilmente.

Ma andiamo alla cerimonia degli Oscar ed ai suoi premiati.

Dunque una commedia di amore e amicizia, Green Book ha vinto come il miglior film alla 91ma edizione degli Academy Awards. Non era fra i favoriti ma in perfetta linea con una serata i cui temi d’’inclusione’ e d’’integrazione’ hanno monopolizzato l’intera cerimonia. La corroborante storia del viaggio del musicista Don Shirley e del suo autista nell’America profonda e razzista degli anni Sessanta, ha vinto tre statuette: oltre a miglior film, anche migliore attore non protagonista, Mahershala Ali e migliore sceneggiatura originale, scritta tra gli altri da Nick Vallelonga, attore e sceneggiatore italoamericano che si è basato sulla reale esperienza del padre, che fu davvero l’autista del musicista jazz in quell’epico viaggio che sfidò la segregazione razziale.

Regina King, per Se la strada potesse parlare, è stata la vincitrice dell’ambito premio di migliore attrice non protagonista.

Spike Lee, per BlacKkKlansman, ha ottenuto il premio per la migliore sceneggiatura non originale e ha infiammato la platea degli Oscar con un discorso molto politico che si poteva risparmiare ma ormai ogni occasione appare buona negli USA per attaccare il presidente Trump: “Le elezioni 2020 sono dietro l’angolo, ricordiamocelo, possiamo fare una scelta di amore e non di odio”.

Spike Lee ha inoltre ringraziato la bisnonna e “che era stata una schiava. Rendo omaggio a lei e ai nostri antenati, grazie al loro sacrificio siamo qui, grazie per aver costruito il Paese e sopportato il genocidio dei nativi”.

‘Roma’, di Alfonso Cuaron, altro film dalla forte connotazione sociale, grande favorito della vigilia, che racconta la storia della domestica di famiglia nell’infanzia del regista messicano, a Mexico City. Roma, prodotto da Netflix, ha vinto premi importanti: miglior film in lingua straniera, miglior regista, migliore fotografia.

“Questo film è dedicato ai 70 milioni di collaboratori domestici che lavorano nelle nostre case e che di solito sono relegate nello sfondo dei nostri film – ha detto il regista messicano – Gli immigrati e le donne proiettano il mondo in avanti”. La domanda sorge spontanea: gli uomini e i cittadini Usa forse li proiettano indietro?

Rami Malek, vincitore dell’Oscar per il migliore attore protagonista con Bohemian Rhapsody, ha anche lui ha avuto una storia di inclusione da raccontare: “Sono il figlio di immigrati egiziani, americano di seconda generazione, non ero la scelta più ovvia ma a quanto pare ha funzionato”.

Bohemian Rhapsody è il film che ha vinto di più, quattro statuette, le altre però tutte tecniche: montaggio, sound editing e sound mixing.

A sorpresa il premio per la migliore attrice protagonista è andato a Olivia Colman, per ‘La Favorita’, battendo Glenn Close, che, nominata sette volte agli Oscar (questa volta per The Wife) non ha mai vinto (e sinceramente in molti ci domandiamo il perché!).

La Colman ha preceduto anche Lady Gaga che si è rifatta con il premio alla migliore canzone, Shallow, da A Star is Born, forse il film dal risultato più deludente della serata che, a fronte di otto candidature ha portato solo quella andata a Miss Germanotta. Lady Gaga ha ritirato il premio tra le lacrime e dopo i ringraziamenti di rito ha poi detto che il segreto del successo è la disciplina e la capacità di tornare in pista dopo gli insuccessi: “il segreto è il numero delle volte che sei in grado di rialzarti dopo le cadute” ha concluso la cantante-attrice, italo-americana di origini nasitane.

‘Black Panther’ primo film tratto da fumetti ha vinto i premi per la migliore colonna sonora, per i costumi e la scenografia.

E l’Italia?

L’unica soddisfazione giunge da ‘Spider-Man: Un Nuovo Universo’ che  ha vinto l’Oscar per il miglior film di animazione e Sara Pichelli, disegnatrice di fumetti di Porto Sant’elpidio, classe 1983, è la creatrice del protagonista. “Sara Pichelli ha creato il personaggio di Miles, ha fatto il lavoro pesante, poi per noi è stato facile portarlo sullo schermo”, ha detto il regista Peter Ramsey in sala stampa.

La fumettista marchigiana (ma romana d’adozione) Sara Pichelli è una disegnatrice della Marvel che, con la sua matita, ha dato vita al primo afroamericano che indossa un costume del supereroe (un premio in che segue le linee guida di questa edizione degli Oscar). Per molti questo film d’animazione, che si era già aggiudicato il Golden Globe, è forse il miglior Uomo Ragno di sempre, dallo stile visivo innovativo e unico nel suo genere.

I fumetti nella vita della giovane disegnatrice sono arrivati molto tardi. Appassionata di cartoni animati e animazione, “di conseguenza questa è stata anche la mia formazione. Fino al 2008 ho lavorato in quel mondo, alla Rainbow Siege. Poi dopo quella esperienza ho capito che forse non era questo ciò che faceva per me”, ha raccontato Pichelli nel 2016, ospite con una mostra personale all’interno di Cartoons on the Bay, il festival dell’animazione televisiva e cross-mediale di Rai Com.

Sara Pichelli, nata a Porto Sant’Elpidio, non è mai stata una grande lettrice di fumetti: “In edicola compravo Topolino”. “Solo dopo il 2008 ho scoperto il fumetto”, ha sottolineato, e “senza tanta speranza” ha partecipato all’unico concorso mai organizzato dalla Marvel per nuovi talenti. Un concorso a livello mondiale, che permetteva nel momento in cui si veniva selezionati di pubblicare con loro. “Sono entrata tra i 12 finalisti, senza tanta speranza perché avevo cominciato da poco a produrre tavole di fumetti, fondamentalmente da autodidatta”, ha ammesso. Alla fine invece è riuscita ad approdare nel gotha dei comics “e da allora è cambiato tutto”.

Un mondo, quello del fumetto, “sempre meno maschilista”, che anche grazie ai cinecomics ha un pubblico sempre più ampio, “fatto anche di donne ma anche di fan con diversi interessi ed etnie”. Neil Gaiman, Alan Moore, Garth Ennis, il francese Manu Larcenet sono tra i suoi fumettisti preferiti senza dimenticare, per quanto riguarda l’Italia, Leo Ortolani (“Compro qualsiasi cosa faccia”) e Zero Calcare (“Lo sosterrò sempre”).

Parlando di Miles Morales, Sara ha detto che “l’idea di inserire un’icona che appartenesse a una minoranza etnica era nell’aria da tempo. Era un’operazione rischiosa, ovviamente – ha ammesso la disegnatrice – ma è stata una boccata d’aria fresca. Ha spaccato il pubblico, perché per i fan hardcore questo stravolgimento era impensabile. Ma credo che dopo Deadpool questo sia il personaggio più riuscito degli ultimi anni”. Nella stessa intervista la 35enne, che ha contribuito a rilanciare I Fantastici Quattro in una nuova serie a fumetti, aveva ammesso che “vedere Miles in una serie tv o in film sarebbe grandioso anche se bisognerà aspettare ancora molto”.

 




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