Sarà nelle sale italiane arriva BlacKkKlansman, un film di Spike Lee. Con John David Washington, Adam Driver, Topher Grace, Laura Harrier, Ryan Eggold.
128 minuti dal visionario filmmaker Spike Lee arriva l’incredibile storia vera di un eroe americano. Sono gli anni ’70, un periodo di grandi disordini sociali causati anche dall’infuriare della lotta per i Diritti Civili. Ron Stallworth (John David Washington) è il primo agente afro-americano del Dipartimento di Polizia di Colorado Springs, ma il suo arrivo è accolto con scetticismo e aperta ostilità dai poliziotti di ogni ordine e grado del Dipartimento. Impassibile, Stallworth decide di farsi un nome e di fare la differenza nella sua comunità e si imbarca in una pericolosa missione: infiltrarsi e smascherare il Ku Klux Klan. Fingendosi un fanatico razzista, Stallworth contatta il gruppo e presto si trova a essere invitato a far parte del circolo ristretto dei pochi. Instaura anche un rapporto con il Grande Mago del Klan, David Duke (Topher Grace), che elogia l’impegno che Ron mette nella promozione dell’America Bianca. L’indagine sotto copertura diventa sempre più complessa e il collega di Stallworth, Flip Zimmerman (Adam Driver), finge di essere Ron negli incontri di persona con i membri del Gruppo dell’Odio e da insider viene a conoscenza di un complotto fatale. Insieme Stallworth e Zimmerman fanno squadra per abbattere l’organizzazione il cui vero obiettivo è quello di mitigare la violenta retorica per piacere alle masse. Prodotto dalla stessa squadra del film vincitore dell’Oscar Scappa – Get Out, BlacKkKlansman offre un’analisi chiara e realistica del problema razziale nell’America degli anni ‘70 che è altrettanto fortemente rilevante nel tumultuoso mondo di oggi.
A metà degli anni ‘70, Ron Stallworth ha abbattuto le barriere come primo agente afroamericano del Dipartimento di Polizia di Colorado Springs. Stella nascente con grandi potenzialità, Stallworth si era distinto come agente esemplare nel suo primo importante incarico sotto copertura, partecipare a una conferenza del Leader del Partito dei Black Panther Kwame Ture. Subito dopo sul giornale si è imbattuto nell’inserzione che avrebbe cambiato per sempre la traiettoria della sua vita. Nero su bianco e in grassetto c’era un messaggio di reclutamento del Ku Klux Klan in cerca di nuovi membri. Attraverso una serie di coraggiosi incontri, Stallworth viene invitato ad entrare nella cerchia ristretta dell’Organizzazione. Coltiva addirittura un rapporto personale con il leader del Gruppo dell’Odio, David Duke, che non ha mai sospettato della vera identità di Stallworth né della sua razza. Decenni più tardi, uno Stallworth in pensione ha trascritto le sue incredibili esperienze nel memoir del 2014 Black Klansman, raccontando la storia straordinaria di come un poliziotto nero sia riuscito a diventare un membro associato del KKK. Quasi immediatamente, Hollywood ha cominciato a chiamare facendogli offerte per trasformare il suo libro in un film. Ma Stallworth, saggiamente, è stato cauto perché non voleva che la storia della sua vita capitasse nelle mani sbagliate. Poi è arrivata la QC Entertainment che ha acquisito i diritti del libro e, dopo una partnership di successo su “Scappa – Get Out”, Jordan Peele e la sua Monkeypaw si è ri-unito a Sean McKittrick e Ray Mansfield della QC per produrre il film. Tutti hanno subito convenuto che dovesse essere la voce originale di Spike Lee a portare la storia di Stallworth sul grande schermo. Quando poco dopo si è aggiunta la Blumhouse di Jason Blum, la squadra di produzione di “Scappa – Get Out” era di nuovo al completo. Nel corso della sua straordinaria carriera più che trentennale, il cineasta candidato all’Oscar® Spike Lee ha realizzato un indimenticabile corpo di lavoro, fin dal suo film indipendente della svolta Lola Darling del 1986. Con film come Fa’ la cosa giusta, Malcom X, Inside Man e il documentario in quattro parti When the Levees Broke: A Requiem in Four Acts, Lee ha dimostrato volta dopo volta di essere uno dei registi e sceneggiatori più originali e creativi d’America. Si è fatto una reputazione come forza creativa formidabile e inflessibile la cui arte è radicata nella verità, oltre che come sostenitore instancabile e senza peli sulla lingua dell’equità e giustizia sociale. Peele ha contattato Lee personalmente per valutare il suo interesse nel progetto. “Jordan Peele mi ha chiamato,” dice Lee. “Voleva capire se volevo farlo.” Il cineasta è stato immediatamente intrigato: “Mi ricordava la ‘Dave Chappelle Skit’, ma questa era una storia vera,” dice Lee riferendosi a un famoso sketch in cui Chappelle interpretava un uomo nero cieco che si unisce al Klan perché non sa di non essere bianco. “Mi sembrava che questo film avesse molto in comune con il lavoro di Spike Lee, dal punto di vista della tonalità,” dice Peele. “È divertente. È ricco di suspense. È potente. È di genere ma, allo stesso tempo, è una storia vera. Quindi ho inviato la sceneggiatura a Spike, insieme al libro. Un paio di giorni dopo, conosceva la sceneggiatura molto meglio di quanto non la conoscessi io. Spike è un Maestro. E dal quel momento, sono stato come in reverenziale ammirazione del suo modo di procedere e di lavorare.” Lee si è rivolto al professore di Cinema della Kansas University e suo frequente collaboratore Kevin Willmott (Chi-Raq) per discutere con lui della possibile angolazione da cui rileggere la storia di Stallworth e della prima sceneggiatura scritta da David Rabinowitz e Charlie Wachtel. Attraverso il loro racconto della pericolosa missione di Stallworth per distruggere il KKK, volevano sottolineare l’impressionante connessione tra il passato e il presente, mettendo in risalto tematiche che non potrebbero essere più pertinenti al mondo di oggi. La storia sarà pure ambientata negli anni ’70, ma per Lee e Willmott, BlacKkKlansman non è un film storico. “Io e Kevin abbiamo parlato e capito cosa dovevamo fare, dovevamo renderlo contemporaneo in modo che la gente potesse metterlo in connessione con il folle mondo in cui tutti viviamo oggi,” dice Lee. Prima ancora di volare a L.A. per incontrare i produttori McKittrick, Jason Blum, Ray Mansflied, Peele e Shaun Redick, i due sapevano esattamente cosa volevano ottenere con il film e la loro idea era la chiave più giusta per condividere la storia di Stallworth con il mondo. “Aveva assolutamente bisogno di una voce, di un filmmaker con una visione e un obiettivo e questa è proprio la definizione di Spike Lee,” dice McKittrick. “Siamo sempre stati attratti dalla forza della storia di Ron… per me la parte più spaventosa è quanto sia importante per quello che sta succedendo ogni in questo Paese. Spike e Kevin Willmott le hanno dato voce,” dice McKittrick. “Questa è la storia di un uomo che va contro il Grande Odio che vede nel nostro Paese,” aggiunge Mansfield. “Del coraggio che ci vuole per farlo. Se questa storia non fosse vera non ci crederemmo mai.” “Quello che ha fatto Ron Stallworth ha cambiato la società un po’,” dice Redick. “Ha avuto il fegato per fare la differenza.”
RON STALLWORTH ci racconta: “ Ho scritto il libro perché nel 1978 sono stato il primo agente nero nella storia del Dipartimento di Polizia di Colorado Springs; ero anche l’agente più giovane nella storia di quel dipartimento. Ero seduto in ufficio nella divisione intelligence, e una delle cose che facevamo era controllare i giornali ogni giorno per vedere cosa succedeva che potesse avere un impatto sulla nostra città. Quel giorno in particolare, ho visto quell’inserzione dove era scritto ‘Ku Klux Klan, per informazioni contattare’ e poi c’era una casella postale. Fondamentalmente mi sono seduto e ho scritto un messaggio a questa casella postale che diceva, ‘Sono un uomo bianco puro americano con sangue ariano e odio…’ e una lunga lista di diverse etnie e appartenenze. Ho scritto che volevo unirmi al Klan per fare qualcosa in proposito. Poi ho fatto un errore perché ho firmato con il mio vero nome – non chiedetemi perché, so solo che quel giorno ho fatto una cretinata. L’ho spedito e me ne sono dimenticato. Circa due settimane dopo, ho ricevuto una telefonata. Il gentiluomo si è identificato come il presidente della sezione locale—si è definito l’organizzatore –, mi ha detto che aveva ricevuto la mia lettera, che avevo delle idee molto interessanti e che voleva parlarne con me. Questo ha dato il via all’indagine.
Che atmosfera c’era a Colorado Springs nell’ottobre 1978?
“Non c’era attività razzista a Colorado Springs, niente di significativo o diverso da ogni altra comunità degli USA. Colorado Springs era ed è una città militare. Ci sono quattro basi. Ci sono tanti gruppi diversi di persone che entrano ed escono dalla città e il fatto che fosse spuntata fuori questa particolare inserzione sul giornale colpiva. Non c’era mai stato niente di simile. Essendo nero, ho capito immediatamente che era un fatto unico che valeva la pena di approfondire. Ma non c’era niente in città che lo aveva scatenato”.
Vedere il film l’ha riportata indietro nel tempo?
“Ridacchiavo guardando gli eventi nei quali sono stato coinvolto recitati sul grande schermo. Ricordo molto bene quei momenti. Cioè, tutto quello che è successo è molto vivido nella mia mente. È stata un’esperienza davvero surreale stare seduto lì a guardare quel capitolo della mia vita svolgersi, sentire pronunciare il mio nome e rendermi conto che qualcuno ha pensato che questa fosse una storia degna di essere raccontata, rendermi conto che è diventata una dichiarazione politica su questo Paese. Quello che io ho fatto è stato scrivere un libro. Non avevo in mente di fare un’importante dichiarazione sui rapporti tra le diverse razze, sull’America di Trump, né niente di simile. Spike ha fatto un lavoro magistrale unendo questi puntini”.
Ha visitato il set durante le riprese?
“Spike ha portato me e mia moglie a una lettura del copione a Brooklyn. John David mi ha fatto tante domande sullo sviluppo del personaggio, come mi sembrava, cosa ne pensavo di questo e di quello, cosa indossavo a quei tempi, se sapevo ballare e se fossi un buon ballerino in quegli anni della disco music. Io me la sono cavata. Spike ha detto a tutti di mettermi tra i numeri in memoria; potevano contattarmi quando volevano”
Com’è stato lavorare con Spike?
“Lo trovo molto onesto e vero. Non è un tipo affettato. Dice quello che pensa senza preoccuparsi di quello che dicono gli altri. Come mi ha detto uno dei produttori quando Spike si è interessato al progetto, ‘È il mondo di Spike, e ci viviamo tutti dentro.’ Gli sono grato per aver visto del valore nella mia storia e per averlo voluto far diventare un film e sono molto contento del risultato. Ma chi potrebbe mai essere scontento che Spike Lee dirige una storia che è parte della tua vita?”.