Il 5 Maggio resta una data molto importante nella storia recente ma anche un’opera straordinaria della letteratura.
La lirica è stata scritta di getto da Alessandro Manzoni subito dopo aver appreso, sulle colonne della «Gazzetta di Milano» del 17 luglio 1821, la notizia della morte di Napoleone Bonaparte, avvenuta il 5 maggio precedente.
Obiettivo dell’ode non è tanto glorificare la figura straordinaria del generale francese, né suscitare la commozione per la sua morte (del resto, già con Marzo 1821 il poeta aveva chiarito di non essere tra gli ammiratori dei dominatori stranieri in Italia…), quanto sviluppare attraverso la figura di questo “uom fatale” una personale riflessione sui limiti dell’agire umano e sul grande disegno della Provvidenza divina, cui occorre, cristianamente, adeguarsi.
Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 15 agosto 1769 – Isola di Sant’Elena, 5 maggio 1821) è stato un politico e militare francese, fondatore del Primo Impero francese.
Ufficiale d’artiglieria e quindi generale durante la rivoluzione francese, divenne famoso come principale generale della Francia rivoluzionaria grazie alle vittorie ottenute nel corso della prima campagna d’Italia. Dopo il colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre 1799) assunse il potere in Francia: fu Primo Console dal novembre di quell’anno al 18 maggio 1804, e Imperatore dei francesi, con il nome di Napoleone I (Napoléon Ier) dal 2 dicembre 1804 al 14 aprile 1814 e nuovamente dal 20 marzo al 22 giugno 1815. Fu anche presidente della Repubblica Italiana dal 1802 al 1805, re d’Italia dal 1805 al 1814, «mediatore» della Repubblica Elvetica dal 1803 al 1813 e «protettore» della Confederazione del Reno dal 1806 al 1813.
Grande uomo di guerra, protagonista di oltre venti anni di campagne in Europa, Napoleone è stato considerato il più grande stratega della storia dallo storico militare Basil Liddell Hart,mentre lo storico Evgenij Tàrle non esita a definirlo “l’incomparabile maestro dell’arte della guerra” e “il più grande dei grandi” Grazie al suo sistema di alleanze e a una serie di brillanti vittorie contro le potenze europee, conquistò e governò larga parte dell’Europa continentale, esportando gli ideali rivoluzionari di rinnovamento sociale e arrivando a controllare numerosi Regni tramite persone a lui fedeli (Giuseppe Bonaparte in Spagna, Gioacchino Murat nel Regno di Napoli, Girolamo Bonaparte in Vestfalia e Luigi Bonaparte nel Regno d’Olanda).
La sua riforma del sistema giuridico (confluita nel Codice Napoleonico), introdusse chiarezza e semplicità delle norme e pose le basi per la moderna giurisdizione civile.
La disastrosa campagna di Russia (1812), segnò il tramonto del suo dominio sull’Europa. Sconfitto nella battaglia di Lipsia dagli alleati europei nell’ottobre del 1813, Napoleone abdicò il 4 aprile 1814, e fu esiliato nell’isola d’Elba. Nel marzo del 1815, abbandonata furtivamente l’isola, sbarcò a Golfe Juan, vicino ad Antibes e rientrò a Parigi senza incontrare opposizione, riconquistando il potere per il periodo detto dei “cento giorni”, finché non venne definitivamente sconfitto dalla settima coalizione nella battaglia di Waterloo, il 18 giugno 1815. Trascorse gli ultimi anni di vita in esilio all’isola di Sant’Elena, sotto il controllo dei britannici. Dopo la sua caduta il congresso di Vienna ristabilì in Europa i vecchi regni pre-napoleonici (Restaurazione).
Fu il primo regnante della dinastia dei Bonaparte. Sposò Giuseppina di Beauharnais nel 1796, e in seconde nozze l’arciduchessa Maria Luisa d’Austria, l’11 marzo 1810, dalla quale ebbe l’unico figlio legittimo, Napoleone Francesco, detto il re di Roma (1811-1832). La sua figura ha ispirato artisti, letterati, musicisti, politici, filosofi e storici, dall’Ottocento ai giorni nostri.
Ma qual’era il rapporto tra Napoleone e la Chiesa cattolica?
Mai in un uomo si è veduta una simile combinazione di crudeltà, tirannia, petulanza, dissolutezza, lusso, ed avarizia, come in Napoleone». Bonaparte aveva la rogna, piangeva come una fanciulla, soffriva di continui svenimenti, cacciava a pestoni le amanti dal letto, esiliava gli amici di infanzia, esultava per aver ricevuto una lettera dello Zar. Era faceto, senza religione ma «estremamente superstizioso», «insolente e offensivo nelle conversazioni private». Con queste parole, Lewis Goldsmith, in The Secret History of the Cabinet of Bonaparte (1811) inaugurò la campagna di delegittimazione pubblica contro l’imperatore dei francesi.
Se la missione propagandistica fu un fallimento quasi completo, lo si deve al fascino esercitato dalle sue vittorie e anche ai molti memoriali che uscirono a distanza di pochi anni dalla sua morte. Uno dei più interessanti fu pubblicato a Parigi nel 1840 ed è stato recentemente tradotto in italiano. Si tratta di Sentiment de Napoléon sur le christianisme, Conversations religieuses. Le Conversazioni sul Cristianesimo, pubblicato dall’editrice Esd, contiene un estratto del memoriale, le testimonianze degli uomini esiliati con lui, che confermano l’adesione al cattolicesimo di Napoleone, già poeticamente rivelata da Alessandro Manzoni, nella poesia Il Cinque Maggio.
«Quello che esce da queste pagine», scrive il cardinale Giacomo Biffi, che ne ha promosso la pubblicazione, è un cristiano devoto. Per Napoleone «la fede e la religione erano l’adesione convinta, non a una teoria o a un’ideologia, ma a una persona viva, Gesù Cristo, che ha affidato l’efficacia perenne della sua missione di salvezza a “un segno strano”, alla sua morte sulla croce».
Le testimonianze raccolte dagli uomini della corte riunita sull’isola di Sant’Elena, che condivisero con lui gli ultimi 6 anni di vita, svelano dell’Imperatore l’intimità religiosa. Le conversazioni sono riportate dalle annotazioni dei due medici che l’ebbero in cura e dalle parole del suo esecutore testamentario Charles Tristan De Montholon. All’approssimarsi della morte, il generale corso si faceva trovare in camera con il Vangelo sul tavolino, e parlava tranquillamente del cristianesimo e di Dio. Non lo aveva mai fatto. «Io lo sento, questo Dio, lo vedo, ne ho bisogno, credo in lui», confida a De Montholon.
Bonaparte si dice affascinato da Gesù, dalla sua persuasione, che esercita «con un richiamo al cuore, e non con uno spiegamento sontuoso di logica». «Il suo spirito mi supera, e la sua volontà mi stupisce; tra lui e qualsivoglia altro nel mondo non può esserci un possibile termine di paragone», afferma. Napoleone, nel Vangelo, vede la nascita di Gesù, la storia della sua vita, la profondità del suo dogma come un «mistero insondabile». «Questo mistero – dice – è perennemente sotto i miei occhi, e io non posso né negarlo, né tanto meno spiegarlo. In tutto ciò non c’è niente di umano. Più tento di avvicinarmi, di esaminarlo da vicino, più il mistero mi trascende, e rimane di una grandezza soverchiante; e più medito, più il mistero diventa inafferrabile».
Giustificando il Concordato con la Chiesa, e il ripudio delle dottrine sull’Essere Supremo, figlie del giacobinismo, Napoleone dice: «Domenica scorsa ero qui, in questo giardino, in questa solitudine, in questo silenzio della natura. Poco lontano la campana di Rueil risuonò alle mie orecchie: fui commosso; tanto è forte la potenza delle prime abitudini e dell’educazione. Allora dissi a me stesso: che impressione deve fare questo su uomini semplici e creduli! I vostri filosofi, i vostri ideologi rispondano a questo! Abbiamo bisogno di una religione per il popolo».
Grazie a quel Concordato, Napoleone ricevette la consacrazione del Papa Pio VII alla Repubblica e la conferma della vendita dei beni ecclesiastici, sottratti durante gli anni rivoluzionari. In compenso, «onori militari, in favore di Gesù, furono inseriti nel bollettino delle leggi».Nelle conversazioni a Sant’Elena, l’imperatore si sofferma anche su quegli anni e sullo strano rapporto che intrattenne con Pio VII, che fece “rapire” nel 1811 e che liberò soltanto in prossimità della sua fine politica. «Quando il Papa era in Francia», racconta Napoleone a De Montholon, «gli assegnai un palazzo magnifico a Fontainebleau, e 100.000 corone al mese; avevo messo a sua disposizione 15 vetture per lui e per i cardinali, anche se non uscì mai. Il papa era esausto per le calunnie in base alle quali si pretendeva che io lo avessi maltrattato, calunnie che il papa smentì pubblicamente».
Non sono battute ironiche. A confermarne la veridicità ci sono gli scritti del Cardinal Bartolomeo Pacca (che Napoleone fece imprigionare), il quale ricorda la contentezza di Pio VII, dopo le visite con il suo persecutore corso. Il vecchio Papa lo chiamava «caro figliolo», «figliolo caparbio». Lo stesso Napoleone confessa ai compagni di Sant’Elena di provare per Pio VII dell’affetto. Lo ritiene un uomo «buono, dolce e bravo», che non ha mai rinunciato alla speranza che si confessasse con lui: «e me lo ha anche più volte ripetuto, con innocente dolcezza, mentre discorrevamo da buoni amici: “Prima o poi, lei lo farà, con me o con qualche altro, e vedrà quale gioia e felicità ne avrà lei stesso”». Napoleone a quella richiesta sempre si sottrasse: «Santità – gli diceva – ora sono troppo occupato; lo farò quando sarò vecchio».
Bonaparte non fu mai ateo. A Sant’Elena lo ribadisce: era un corso, aveva ricevuto un’educazione religiosa. Aveva vissuto a Parigi negli anni atei rivoluzionari, senza abbracciare alcuna filosofia. Era un guerriero e vedeva nella religione del popolo, la sua religione, tanto da difendere la necessità dell’esistenza di un clero, come riferisce ancora Thibaudeau: «Ci saranno sempre i preti, finché ci sarà senso religioso nel popolo»; a chi gli chiede di abolire la casta, spiega: «Sono andati i tempi buoni», «non c’è più nulla da prendere al clero».
Napoleone, in seguito, cercando di sottrarre Roma al papato subì la scomunica. E da quel momento, la fortuna si rovesciò. In pochi anni, arrivarono sconfitta ed esilio; l’umiliazione e la paura del viaggio che lo portò all’Elba, mentre il popolo lo inseguiva per metterlo a morte, accusandolo di essere il peggiore dei tiranni. Quando giunse in Italia, Bonaparte era spossato e senza speranza. Ma si commosse dell’accoglienza degli isolani. E, al Te Deum, nella chiesa di Porto Ferraio, qualcuno lo vide piangere. Nemmeno quando tornò al potere durante i “cento giorni”, le spie straniere riuscirono a risolvere il mistero di quel comportamento amletico, «commediante», che l’imperatore aveva tenuto durante quei giorni all’Elba.
Sull’isola aveva mangiato la zuppa con i pescatori di Porto Ferraio, giocato a carte con le signorine dell’isola e si era fatto beffe dei cortigiani, infilando pesci nelle tasche. Si era dato alla zappa e alla costruzione della sua nuova “reggia”, immaginando camere, e saloni. Nei momenti di sconforto aveva infilzato il terreno con il bastone. Si era mosso per il suo nuovo piccolo regno a cavallo, intrattenendo conversazioni con i suoi nuovi “sudditi”.
Il secondo esilio, a Sant’Elena, definitivo, ormai chiude la sua epoca. Napoleone è consapevole che non rivedrà più la patria e gli onori. Non ha più nulla da nascondere, quando inizia la lunga malattia che lo porterà alla morte, e al Generale Bertrand, che sull’Elba era stato vittima delle sue burle, dice, lasciandolo di stucco: «Se lei non capisce che Gesù Cristo è Dio, ebbene ho sbagliato io a nominarla generale!». Ai cortigiani, almeno inizialmente stupiti di quella devozione, Bonaparte spiega che la causa della conversione è da rintracciarsi nelle opere della madre e del vescovo di Nantes, i quali lo hanno «aiutato a raggiungere la piena adesione al cattolicesimo».
Fra una lamentazione e l’altra (sostiene di aver avuto «più traditori di Augusto»), intrattiene discorsi teologici e ordina di costruire un altare per dire Messa. Gli mancano il suono delle campane, la moglie, il figlio. Gli mancano persino i preti, e di tanto in tanto, pensa di crearne uno: «E se io, Imperatore consacrato, vescovo io stesso – dice a De Montholon – ne consacrassi uno qui? Clodoveo e i suoi successori non erano stati consacrati con la formula di Rex Christique sacerdos? Non era quella la vera carica di vescovo?». Alla fine si decide a chiedere allo zio vescovo un prete colto che abbia meno di quarant’anni.
«Avrei desiderato rivedere mia moglie e mio figlio; ma sia fatta la volontà di Dio», con questo sentimento Bonaparte si avvicina alla morte. Stando alle cronache, chiede all’abate Vignali di confessarlo, dà disposizioni sulla camera ardente e si fa somministrare il santo viatico. Muore, il 5 maggio del 1821, secondo testamento, nella religione Cattolica romana e apostolica.
Ecco il testo del 5 Maggio la poesia scritta dal Manzoni nel 1821 quando “l’imperatore” passò a miglior vita:
- Ei 1 fu. Siccome immobile,
- dato il mortal sospiro,
- stette la spoglia immemore 2
- orba di tanto spiro,
- così percossa, attonita
- la terra 3 al nunzio sta,
- muta pensando all’ultima
- ora dell’uom fatale;
- né sa quando una simile
- orma di piè mortale
- la sua cruenta polvere 4
- a calpestar verrà.
- Lui folgorante in solio 5
- vide il mio genio 6 e tacque;
- quando, con vece assidua,
- cadde, risorse e giacque 7,
- di mille voci al sonito
- mista la sua non ha:
- vergin 8 di servo encomio
- e di codardo oltraggio,
- sorge or commosso al subito
- sparir di tanto raggio:
- e scioglie all’urna 9 un cantico 10
- che forse non morrà.
- Dall’Alpi alle Piramidi,
- dal Manzanarre al Reno 11,
- di quel securo 12 il fulmine
- tenea dietro al baleno;
- scoppiò da Scilla 13 al Tanai 14,
- dall’uno all’altro mar 15.
- Fu vera gloria? Ai posteri
- l’ardua sentenza 16: nui
- chiniam la fronte al Massimo
- Fattor 17, che volle in lui
- del creator suo spirito
- più vasta orma stampar.
- La procellosa e trepida 18
- gioia d’un gran disegno,
- l’ansia d’un cor che indocile
- serve 19, pensando al regno;
- e il giunge, e tiene un premio
- ch’era follia 20 sperar;
- tutto ei provò 21: la gloria
- maggior dopo il periglio,
- la fuga 22 e la vittoria,
- la reggia e il tristo esiglio 23:
- due volte nella polvere,
- due volte sull’altar.
- Ei si nomò 24: due secoli,
- l’un contro l’altro armato 25,
- sommessi a lui si volsero,
- come aspettando il fato;
- ei fe’ silenzio, ed arbitro
- s’assise in mezzo a lor.
- E sparve, e i dì nell’ozio
- chiuse in sì breve sponda 26,
- segno d’immensa invidia
- e di pietà profonda,
- d’inestinguibil odio
- e d’indomato amor 27.
- Come sul capo al naufrago
- l’onda s’avvolve e pesa,
- l’onda su cui del misero,
- alta pur dianzi e tesa,
- scorrea la vista a scernere
- prode remote invan 28;
- tal su quell’alma il cumulo
- delle memorie scese!
- Oh quante volte ai posteri
- narrar se stesso imprese,
- e sull’eterne 29 pagine
- cadde la stanca man!
- Oh quante volte, al tacito
- morir d’un giorno inerte,
- chinati i rai fulminei,
- le braccia al sen conserte,
- stette 30, e dei dì che furono
- l’assalse il sovvenir!
- E ripensò le mobili
- tende 31, e i percossi valli,
- e il lampo de’ manipoli,
- e l’onda dei cavalli,
- e il concitato imperio,
- e il celere ubbidir 32.
- Ahi! forse a tanto strazio
- cadde lo spirto anelo,
- e disperò: ma valida
- venne una man dal cielo,
- e in più spirabil 33 aere
- pietosa il trasportò 34;
- e l’avviò, pei floridi
- sentier della speranza,
- ai campi eterni, al premio
- che i desideri avanza,
- dov’è silenzio e tenebre
- la gloria che passò.
- Bella Immortal 35! benefica
- fede ai trionfi avvezza!
- scrivi ancor questo, allegrati;
- ché più superba altezza
- al disonor del Golgota
- giammai non si chinò 36.
- Tu dalle stanche ceneri
- sperdi ogni ria 37 parola:
- il Dio che atterra e suscita,
- che affanna e che consola,
- sulla deserta coltrice
- accanto a lui posò 38.
- Egli fu. Come immobile,
- dopo aver esalato l’ultimo respiro,
- stette il corpo senza più ricordi
- e privata di tanta anima,
- così chiunque, saputa la notizia,
- rimane scosso, senza parole,
- [chiunque resta] muto ripensando all’ultima
- ora dell’uomo mandato dal fato;
- né sa quando un uomo
- simile a lui
- verrà a calpestare
- il suo cammino sanguinoso.
- La mia poesia vide Napoleone in trionfo
- sul soglio imperiale ma tacque;
- quando, in rapida successione,
- fu sconfitto, tornò al potere e ricadde a terra,
- [la mia poesia] tra mille voci indistinte
- non ha mischiato la sua:
- priva di adulazione servile
- e di offese codarde,
- [la mia ode] sorge ora triste per l’improvvisa
- mancanza di tanta luce:
- ed alza in direzione della sua tomba
- un canto che forse non morirà.
- Dalle Alpi alle Piramidi
- dal Manzanarre al Reno,
- la vita fulminea di quell’uomo ardito
- seguiva rapidamente il suo pensiero;
- scoppiò [quel fulmine] da Scilla al Don,
- dal Mediterraneo all’Atlantico.
- Fu gloria autentica? La difficile risposta
- la daranno i posteri: noi
- chiniamo la fronte a Dio,
- che volle fissare in lui
- un segno più evidente e netto
- del suo spirito creatore.
- La pericolosa e ansiosa
- gioia della realizzazione di un grande disegno,
- l’ansia di un cuore che, non domato,
- si sottopone agli altri, pensando al proprio
- obiettivo; e lo raggiunge, e ottiene un successo
- che era quasi folle ritenere possibile;
- Tutto egli provò; la gloria
- massima dopo il pericolo,
- la fuga e la vittoria,
- il potere regale ed il triste esilio:
- due volte fu sconfitto,
- due volte fu vittorioso.
- Egli stesso si diede il nome: due secoli,
- opposti militarmente,
- si rivolsero a lui sottomessi,
- come se dipendesse da lui il destino;
- egli impose il silenzio, e come arbitro
- si sedette in mezzo a loro.
- E sparì, e i suoi giorni concluse
- nell’ozio obbligato nella minuscola Sant’Elena,
- segno di grande invidia
- e di profonda pietà,
- di odio infinito
- e di passione indomabile.
- Come sulla testa del naufrago
- l’onda si avvolge e pesa,
- l’onda sulla quale la vista del misero,
- prima alta e tesa,
- cercava di scorgere
- rive lontane che non avrebbe mai raggiunto;
- così su quell’anima scese
- il peso dei ricordi!
- Oh quante volte cercò di scrivere
- le sue memorie per i posteri,
- ma sulle infinite pagine
- si fermò la mano ormai stanca!
- Oh quante volte, al termine
- di un giorno inutile e improduttivo,
- abbassato lo sguardo fulminante,
- le braccia conserte,
- stette, e dei giorni passati
- lo prese il ricordo!
- E ripensò alle tende
- degli accampamenti, alle trincee assaltate,
- al fulminar delle spade dei suoi soldati,
- agli assalti della cavalleria,
- al comando rapido
- e all’ubbidire pronto dei soldati.
- Ahi! Forse per tanto dolore
- lo spirito affannato cedette,
- e si disperò: ma in aiuto
- scese una mano misericordiosa dal cielo,
- e in un mondo più sereno
- con pietà lo trasportò:
- e lo condusse, per i floridi
- sentieri della speranza,
- verso i campi eterni, verso il premio
- che supera anche i desideri,
- dove è silenzio e tenebra
- la gloria ormai passata.
- O bella Immortale! Benefica
- fede avvezza ai trionfi!
- Scrivi ancora questo, rallegrati;
- perché nessun uomo così superbo
- mai si inchinò
- davanti alla croce di Cristo.
- Tu [la Fede] dalle ceneri stanche
- disperdi ogni parola malevola:
- Il Dio che atterra e che rialza,
- che crea affanno e che consola,
- sul letto di morte deserto
- accanto a lui sedette.