Vidimus- Il pianeta sul quale per grazia divina abitiamo non è autonomo, vive in rotazione su di un preciso equilibrio, tra luna, sole e altre stelle. Basterebbero pochi millimetri di inclinazione dell’asse terrestre per rendere il nostro mondo spettrale e finire o arrostiti o stecchiti di freddo. Viviamo su un sottilissimo e incredibile filo del rasoio; una concausa di circostanze, a mio modo di vedere non casuali, rendono possibile la vita su questa meravigliosa Terra. Però, appunto, non siamo autonomi, dipendiamo in toto da tutti gli astri del nostro sistema solare, e le giornate e le stagioni si alternano a seconda di quanto il suolo terrestre viene irradiato dalla nostra stella principale, cioè il sole. Senza entrare in particolari difficili, e a me a volte astrusi, possiamo tranquillamente affermare che siamo alle dipendenze totali di una potente luce, e senza di essa siamo perduti. Quando si spegnerà il sole tutto diverrà brullo e inabitabile, e sarà la fine. Dall’irradiarsi della luce naturale trovano giovamento anche anima e corpo, difatti normalmente lavoriamo di giorno e di notte riposiamo; le artificiali illuminazioni create dall’inventiva umana sono solo un utile surrogato, incapaci di eguagliare i raggi della grandiosa palla infuocata che ci riscalda e ci ritempra. Siamo stati fatti per ammirare i chiarori, non per bearci delle oscurità. Nelle giornate più lunghe estive persino la mente è meno sonnolenta, come a ricordarci che dobbiamo ambire a una meta con alta luminosità e goderne quando è il momento propizio, nuotare nelle egocentriche tenebre ci porta solo a inabissarci là dove i fasci luminosi non possono arrivare. Credo che ogni essere umano nella sua esistenza – breve o lunga essa sia – possa, se vuole, irradiare bagliore; esiste, d’altro canto, una libertà di scelta che va rispettata, e c’è chi come i vampiri ha in orrore e detesta le albe radiose. La moltitudine di cupi e tenebrosi, col perenne muso lungo, non è in grado di produrre nemmeno la più fioca fiammella. Cadono e imprecano in continuazione; se avessero l’umiltà di alzare il grugno dalla polvere potrebbero trarre beneficio dallo scintillio sfolgorante, ma sono troppo orgogliosi per farlo. Esiste poi una categoria di mammiferi con l’anima (tra i quali spicca la mia presenza in prima fila) forgiati col carattere debole, in eterna estasi tentennante, i quali trovano la bussola della loro esistenza unicamente grazie ai possenti fari che incontrano nel loro cammino. A loro volta, non sempre, possono farsi specchio e imitare questi bagliori, in un intersecarsi unico e scintillante, quasi come quelle vecchie micro-lampadine natalizie in serie appese ai balconi in cui se se ne fulminava una anche tutte le altre smettevano di funzionare in automatico. Nei nostri decrepiti territori montani questa catena sfolgorante è in via di estinzione da decenni: le lampade di ricambio originali sono sempre meno, quelle d’importazione si carbonizzano subito, e non è bello procedere a tentoni. Ogni persona che viene a mancare è un pezzo di costellazione in meno, un altro lampione spento, e ogni anno che passa sembra rubarci riverberi, lasciando solo una malinconica oscurità in cui è davvero dura non incespicarsi in qualche buca nel terreno. Per dir la verità è un po’ tutt’Italia a soffrire di questa insufficienza di luce; umanamente parlando è come se ci ostinassimo a correre appresso alla notte invece di rimirare il far del giorno. Immersi sino al gozzo in un’appiccicosa e attaccaticcia melma abbiamo da tempo rinunciato alla grande possibilità di essere generatori di stelle, magari sopprimendole prima che possano nascere; o, tentativo subdolo, cercando di spegnere forzosamente gli astri deboli non più in grado di essere autosufficienti. Qui il problema non è credere se Dio si è fatto uomo nascendo in una mangiatoia, ma acclarare che l’uomo si sta facendo Dio, spadroneggiando sui propri simili maggiormente indifesi, e il risultato è pessimo: novelli Erode in una strage perpetua di innocenti. Un mattatoio assoluto. A questa tenebra orrenda, buio pesto simile all’abisso della fossa delle Marianne, occorre contrapporre gente che voglia riaccendere la costellazione italiana. Cercasi urgentemente stellieri, meglio se giovani e con voglia di Famiglia, che si lascino guidare dalla gioia e dai sogni, e non si arruolino nell’esercito dei tetri. Condizione richieste per l’assunzione: stracciare il comodo vestito dell’egoismo e indossare la pesante corazza dell’umiltà e dell’altruismo. Necessitasi, in aggiunta, un forte spirito cameratesco e occhi brillanti pronti a trasmettere stupore. Mica semplice trovare candidati in grado di soddisfare i requisiti, ma una volta vinto il pessimismo e la paura l’addestramento è da ritenersi già a buon punto. Però ci vuole pazienza: nella sagra dei flaccidi di carattere è facile vedere molti di essi gettare la spugna alla prima difficoltà. È chiaro quindi che vanno spronati con forza, dandogli fiducia, dimostrando di credere fermamente in loro anche quando il buio interiore predomina. Mi viene un esempio calzante. Sappiamo tutti che i magi, dall’oriente, si lasciarono guidare con incredibile speranza da una grande stella per arrivare a adorare Colui che spaccò la storia in due; ma a un certo punto persero di vista questo riferimento basilare in cielo e, abbassando lo sguardo, si misero a cercare il Bambino ravanando nella tana del lupo, nelle tenebre della corruzione mondana edulcorata da corone e buonismo. Solo uscendo da questa grotta cupa piena di intrighi diabolici rividero il potente chiarore della cometa e furono in grado di giungere alla vera meta. Anche noi, nel nostro piccolo cammino di vita, possiamo ambire ad arrivare a rimirare questo Big Bang accecante, un roveto inestinguibile in grado di condurci tra luci che non si spegneranno mai. Una sola prerogativa fondamentale per arrivare a ciò: dobbiamo, in simbiosi coi nostri fratelli, alzare lo sguardo oltre la nebbia oscura della nostra finitezza.
Si avvicina la notte delle notti, occorre un proponimento finale, l’innocenza del piccolo pargolo in arrivo lo merita. E poi devo redimermi da tanti errori che solo per grazia non sono diventati orrori. Ci provo, allora: nei giorni a venire tenterò anch’io caparbiamente di “accendere” le stelle, sarà questo il mio mestiere; voglio fare nel mio micro mondo lo stelliere. Santo Natale a tutti.