Cesare Battisti – La latitanza lunga ben 37 anni di Cesare Battisti si è conclusa nel carcere di Oristano dove trascorrerà sei mesi di isolamento. La vicenda del terrorista comunista si conclude grazie al lavoro delle forze dell’ordine ed ai mutamenti politici che stanno aprendo uno squarcio nelle coperture che il terrorismo di sinistra mostra di avere nel mondo. Certo vi sono ancora molti latitanti, in buona parte in ‘vacanza’ nella vicina Francia (e non solo), ma Battisti era certamente il più ricercato ed il più conosciuto per aver sfidato più volte la giustizia italiana e gli stessi italiani.
Oltre 13mila giorni e poi, la svolta politica, dovuta soprattutto all’ascesa in Brasile di Bolsonaro, che ha rappresentato un vero e proprio punto di rottura nella storia del Paese sudamericano.
Per correre ai ripari Battisti era fuggito in Bolivia, dove poteva contare su un’importante rete di covi e di contatti ma è stato seguito, scovato dagli inquirenti che hanno anche saputo cogliere il momento in cui è stato abbandonato dai suoi contatti forse perché non era più utile!
Ormai esiste un altro Brasile, ideologico, anti-comunista e legato agli apparati della sicurezza. Bolsonaro punta su quel Brasile, quello che è contrario a tutto ciò che hanno rappresentato i suoi predecessori. Così a fine 2018 ecco lo squarcio atteso 37 anni: cambia anche la percezione dell’intelligence italiana e dei reparti della Pubblica sicurezza che da anni sono alle calcagna di Battisti. Sono due in particolare gli uomini che seguono le tracce del terrorista e che sono pronti a scattare non appena percepiscono che l’uomo è pronto alla fuga: Lamberto Giannini, capo dell’Antiterrorismo, e Nicolò D’Angelo, vicecapo della Polizia di Stato e direttore centrale della Polizia criminale e dei Servizi di cooperazione internazionale della Polizia.
il metodo utilizzato si chiama “imbuto“. “Si mettono sotto osservazione una serie di utenze, si incrociano i dati delle chiamate che ricevono, da dove provengono, a quali Imei sono associate. Finché l’imbuto non setaccia e restringe il collo della ricerca a pochi numeri, associandoli a un contesto e dunque a un ragionevole scopo, offrendo una traccia di ricerca se non univoca quantomeno non generica”. È questo il metodo che ha fatto cadere Battisti nella trappola.
Quando la polizia italiana capisce che il nuovo quadro politico in Brasile può alimentare i pericoli di fuga di Battisti, l’imbuto viene riattivato. Iniziano ad arrivare i primi riscontri: il terrorista telefona o contatta utenze italiane e queste, a loro volta, contattano altre utenze. Sembra di vedere l’immagine di una macchia d’inchiostro che si allarga su un foglio: è la rete di Battisti per preparare la fuga? Probabile. E l’intelligence vuole vederci chiaro.
Se Battisti ha potuto vivere tutto sommato tranquillo 37 anni di latitanza era perché aveva importanti amicizie politiche e conosceva il mondo della criminalità.
A Santa Cruz, in Bolivia, Battisti si sentiva sicuro. Era consapevole che le amicizie politiche, in particolare quella con il vicepresidente Álvaro García Linera potessero ancora salvarlo. Ma il terrorista è stato sacrificato sugli altari della real politik. La Bolivia non permettersi passi falsi con l’Italia e poi voleva dare anche una lezione al Brasile di Jair Bolsonaro e così l’ha estradato direttamente verso l’Italia. Proprio quest’ultimo punto è stata la ciliegina sulla torta degli inquirenti italiani: riuscire a farlo partire per l’Italia in tempi molto stretti e senza farlo transitare per il Brasile è stato un vero e proprio colpo di genio. Già in queste ore in Bolivia ci sono forti rimostranze e polemiche per non aver offerto aiuto al terrorista rosso e l’eventuale passaggio in Brasile avrebbe potuto fornire possibilità importanti a Battisti.
Ma Santa Cruz è stato solamente l’ultimo covo di Battisti. Uno dei tanti. Il terrorista ha avuto a disposizione un consistente gruppo di fiancheggiatori, sembra fornito dai narcotrafficanti, e un altrettanto elenco di appartamenti, ripetutamente cambiati per non lasciare indizi.
Però gli errori li commettono tutti ed allora ….. Battisti commette un errore fatale. A metà dicembre, il cellulare del Pac lascia una traccia: si collega al wi-fi dell’aeroporto di Sinop, lì dove si imbarca per La Paz, capitale della Bolivia.
Già perché con l’elezione di Bolsonaro, il terrorista rosso non si sentiva più sicuro come prima. Battisti infatti aveva disposto che la moglie sposata in Brasile, Priscilla Luana Pereira, potesse avere accesso ai suoi conti correnti e comunque a tutto ciò che possa rendere autonomi lei e il figlio ancora minorenne che da lei ha avuto. E poi avvia l’ennesima fuga. Infatti durante un controlla la casa di Cananeia la trovano vuota ma la tecnica del’imbuto è ormai attivata. L’incrocio dei numeri e dei contatti porta in direzione Mato Grosso, al confine con la Bolivia.
Ma torniamo alla traccia del wi-fi dell’aeroporto di Sinop, lì dove si imbarca per La Paz, capitale della Bolivia.
L’intelligence si attiva immediatamente Antiterrorismo, Digos e Aise partono a La Paz. L’imbuto inizia di nuovo a dare i suoi frutti, vengono fornite nuove utenze e si rintracciano due schede telefoniche boliviane. Poi, il 21 dicembre ecco la certezza: il ministero degli Esteri boliviano riceve la richiesta di asilo. Ma da la Paz tutto tace mentre l’imbuto fornisce anche le celle telefoniche vicino a due pensioni in cui può aver soggiornato il terrorista.
La polizia boliviana segue le tracce con l’attiva presenza dell’Antiterrorismo italiano. L’Italia è conscia del pericolo che il governo di Evo Morales possa contrastare l’arresto di Battisti come risposta alla caccia di Bolsonaro e all’asse con Matteo Salvini, o anche come eredità degli amici del leader socialista. L’imbuto dà una nuova traccia: Santa Cruz de la Sierra. È l’atto finale. La polizia boliviana lo ferma, gli agenti di Interpol, Aise, Digos e Antiterrorismo si muovono: è lui, è Cesare Battisti.
Ed è proprio per evitare intoppi e far seguire tutta la partita anche da “occhi” italiani che, in stretto contatto con il ministro dell’Interno Matteo Salvini e quello della giustizia Alfonso Bonafede, ha deciso di inviare a Santa Cruz un aereo del Cai, con a bordo uomini dei servizi segreti dell’Aise, già dalla serata del 12 gennaio: poco dopo che era giunta ai vertici nazionali la notizia dell’arresto del terrorista in Bolivia.
L’ultimo tentativo per Battisti è stato quello della richiesta di asilo in Bolivia mai esaminata dalle autorità ma è stato un tentativo vano.
La decisione è stata presa in considerazione del fatto che il terrorista italiano era entrato in modo irregolare dal Brasile. E per questo, in applicazione della legge 370 sull’immigrazione, è stato disposta la sua uscita obbligatoria (salida obligatoria) dai confini del Paese sudamericano. La questione è stata spiegata dal ministro dell’Interno boliviano, Carlos Romero.
Nelle ultime ore sono scoppiate forti polemiche in Bolivia: “Il presidente Evo Morales ha discusso il tema Battisti nel suo viaggio per l’insediamento del ‘fratello’ Bolsonaro? La consegna in 24 ore sembra un metodo usato nell’Operazione Condor, non la decisione di un governo del popolo. Ancor di più se è vero che” Battisti “aveva chiesto asilo”, ha scritto il giornalista Pablo Stefanoni soffermandosi sui rapporti tra il presidente Morales e l’omologo brasiliano Jair Bolsonaro. “La rete dell’estrema destra mondiale oggi riceve un regalo”, ha sentenziato Susana Bejarano, politologa e volto noto della tv: “Dov’è finita la nostra sovranità? E la solidarietà? E l’ideologia?”.
Oggi, per la prima volta, questo processo di cambiamento si sviluppa in maniera controrivoluzionaria, gli interessi dello stato hanno sovrastato la morale rivoluzionaria”, ha scritto Raul Garcia Linera, fratello del vicepresidente boliviano Alvaro Garcia Linera, su Facebook. “Per la prima volta mi vergogno e sono deluso dall’azione del governo, contraria alla morale rivoluzionaria. E con tutta la mia anima grido che questa azione è ingiusta, codarda e reazionaria”, ha aggiunto.
Dunque la conferma: attendere avrebbe potuto ‘salvare’ ancora una volta Battisti ma così non è stato!
Ed in Italia si festeggia e la festa è ‘quasi’ la gioia di tutti
Salvini: “Giornata storica per l’Italia” – “Finalmente l’assassino comunista Cesare Battisti torna nelle patrie galere. Giornata storica per l’Italia, state con noi”. Così Salvini ha scritto su Twitter trasmettendo l’arrivo di Cesare Battisti in Italia dalla Bolivia. “Ci sono voluti 37 anni per vedere qui questo balordo che mi sembrava sogghignante nonostante i morti che ha sulle spalle. Comunque, una bella soddisfazione”.
“In carcere un assassino che non ha mai chiesto scusa” – “A nome di 60 milioni di italiani ringrazio le forze dell’ordine. Il clima è cambiato, chi sbaglia paga. Va in carcere un assassino, un delinquente che non ha mai chiesto scusa”, ha aggiunto il vicepremier nella conferenza stampa approntata sulla pista dell’aeroporto di Ciampino. L’arresto di Cesare Battisti, ha quindi sottolineato, non è un “punto d’arrivo ma un punto partenza. Sono sicuro che le forze dell’ordine, con i servizi d’intelligence, potranno riassicurare alle galere altre decine di delinquenti, vigliacchi e assassini che sono in giro per il mondo a godersi la vita”.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato: “Lo dovevamo alla giustizia e alle vittime” – La cattura di Cesare Battisti, secondo il premier, Giuseppe Conte, è “un grande risultato che dovevamo non solo in astratto perché avesse effettività la giustizia, ma soprattutto ai familiari delle vittime”. Conte ha quindi sottolineato il “grande lavoro di squadra” non solo a livello di governo ma anche “con le forze di intelligence, di polizia, di Interpol, a tutti i livelli”. “Osservo solo – ha quindi spiegato il presidente del Consiglio – che abbiamo garantito il percorso più sicuro e veloce perché Battisti arrivasse in Italia: ho parlato con il presidente del Brasile e ribadisco il grazie del governo sul cambiamento di rotta che è stato determinato. Grazie anche al governo boliviano per la collaborazione”.
Il capo della polizia, Franco Gabrielli, ha ringraziato il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro. “Grazie alla posizione che ha assunto, che ha tolto quelle protezioni di cui godeva prima Battisti durante la presidenza Lula, siamo stati favoriti nel portare a termine l’operazione”.
Per chi non lo rammantasse Cesare Battisti (Cisterna di Latina, 18 dicembre 1954) è un ex terrorista italiano attivo durante gli anni di piombo. Evaso dal carcere di Frosinone nel 1981 dopo essere stato condannato a 12 anni in primo grado per banda armata, è stato condannato in seguito in contumacia per partecipazione a quattro omicidi. Ha ricevuto asilo fuori dei confini italiani come rifugiato politico e ha svolto l’attività di scrittore di romanzi di genere noir.
Già membro del gruppo Proletari Armati per il Comunismo, Battisti è stato condannato all’ergastolo, con sentenze passate in giudicato, per quattro delitti, due commessi materialmente, due in concorso con altri (concorso materiale in un caso, morale nell’altro, secondo la legislazione d’emergenza degli anni di piombo), oltre che per vari reati legati alla lotta armata e al terrorismo. Egli afferma la propria innocenza per quanto riguarda gli omicidi, oltre ad aver richiesto una soluzione di amnistia per il periodo 1969-1990. Dagli anni ’90 si è dedicato alla letteratura, ottenendo un discreto successo con romanzi noir e d’ispirazione autobiografica. Trascorse la prima fase della sua latitanza in Messico e in Francia, dove beneficiò a lungo della dottrina Mitterrand, si sposò ed ebbe due figlie, ottenendo la naturalizzazione, poi revocata prima di ottenere il passaporto, infine in Brasile dal 2004 al 2018.
Arrestato nel paese sudamericano nel 2007, Battisti è stato detenuto in carcere a Brasilia fino al 9 giugno 2011. Ha scontato in totale circa sette anni di carcere. Inizialmente gli fu concesso lo status di rifugiato, poi revocato. Il 31 dicembre 2010 il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva annunciò il rifiuto dell’estradizione in Italia e concesse il diritto d’asilo e il visto permanente (status di “residente permanente”). Della questione tuttavia fu investito il Tribunale supremo federale brasiliano, su sollecito della nuova presidente del Brasile Dilma Rousseff, che l’8 giugno 2011 negò definitivamente l’estradizione, con la motivazione che avrebbe potuto subire “persecuzioni a causa delle sue idee”. Battisti fu quindi scarcerato, dopo aver scontato la pena per ingresso illegale tramite documenti falsi, rimanendo in libertà fino al 12 marzo 2015, giorno in cui viene nuovamente arrestato dalle autorità brasiliane in seguito all’annullamento del permesso di soggiorno, ma viene rilasciato quasi subito. Nell’ottobre 2017 è di nuovo tratto in arresto al confine con la Bolivia, ma scarcerato poco dopo.
Secondo la legge della Repubblica Federale del Brasile i crimini commessi da Battisti sarebbero caduti in prescrizione nel 2013.[10] L’uomo inoltre ha avuto un terzo figlio da una donna brasiliana nel 2013 ed è sposato con una cittadina brasiliana dal 2015, tutti fatti che impedirebbero l’estradizione ai sensi dello Statuto dello Straniero vigente nel paese sudamericano. Contro l’estradizione si sono schierati molti intellettuali di sinistra come Gabriel García Márquez, Bernard-Henri Lévy, Daniel Pennac, Tahar Ben Jelloun, Valerio Evangelisti e anche – a titolo personale – alcuni esponenti sudamericani di Amnesty International