I quattrocenteschi portici dell’amato paesello sono patrimonio dell’umanità, esempio d’arte e splendore, una poesia a cielo aperto; bellezze mozzafiato miste a quel pizzico di fede, in grado di far respirare speranza anche a chi l’ha perduta sulla strada asfaltata. Un vero crimine da ergastolo che questo luogo sia sempre più spoglio di mammiferi pensanti con l’anima immortale, transitandovi ho come la sensazione che le pietre stondate sprizzino gioia nel sentirsi goffamente calpestate, e patiscano di brutto le lunghe, apatiche, giornate in solitaria. Dall’alto nel frattempo l’imponente torre ghibellina sopra il precipizio dà sfoggio di tutta la sua tracotanza, riservandosi quell’importanza tipica di certe dame imbellettate con abiti sontuosi, e appariscenti, durante una serata di gala. Sull’altro lato, dinnanzi a simile presunzione, la chiesa parrocchiale inorridisce, mentre San Giacomo Maggiore apostolo sghignazza dalla vetta del campanile: sa benissimo che chi si loda alla fine poi si imbroda. E sottovoce infatti gli sussurra: ”Fai pure la civettuola quanto vuoi, ma sai benissimo che il tuo ruolo di guardia è venuto inevitabilmente meno col tempo, rimani solo un cumulo di pietrisco ben sistemato, a memoria dei tempi che furono.”
Con l’avvento delle tecnologia digitale a portata di dito sono innumerevoli gli scatti in giro per il web che ritraggono i gioielli storici averaresi. Ciò può anche andare bene, se il risultato è gradevole alla vista e non storpiato, l’importante è non far schiattare di solitudine i simpatici ciottoli. Loro come il sottoscritto, parteggiano per la vita, odiano essere troppo “museificati”, adorano la compagnia degli amici fedeli quotidiani, non vorrebbero proprio morire di nostalgia. Non è che poi servano ste grandi ricette da cuoco stellato per cucinare pietanze in grado di far gustare il vociare umano anche al legno; imparare dal passato, senza andare alla ricerca di chissà quali innovazioni, può essere il segreto per tentare di avere un futuro. Qui non si fanno pallide imitazioni da quattro soldi, scopiazzando idee altrui, qui, sotto questi archi decorati da pregiati pittori locali, davvero vi era un mercato e un ristoro coperto per il viandante diretto prima in Valtellina e poi nel cantone svizzero dei Grigioni. L’avvento della più comoda via Priula, sull’altro lato della valle dove nasce il Brembo, avrà anche degradato a ruolo secondario la vecchia Mercatorum, ma oltre seicento anni di storia non si possono cancellare con un tratto di stilografica. Il posto ideale per i mercatini artigianali è proprio in questo luogo, aprendo lo sguardo allo scrigno di bellezza ivi contenuto. Gli altri duplicati, sparsi dappertutto e a sproposito come il prezzemolo, sanno un tantino di pacchiano, nessuno me ne voglia.
Quando, diversi anni orsono, organizzavo in prima persona l’evento, una cosa solo chiedevo espressamente agli espositori: portare le peculiarità e le arti della nostra terra a portata di tutti. Dimostrare praticamente come si crea una scultura, un quadro, un bassorilievo, della bigiotteria, un disegno, una bambola, dei lavori in ferro o con l’uncinetto, mettendo a disposizione talenti e capacità personali agli astanti convenuti. L’amica Olivia, che ha preso con piglio in mano l’organizzazione dopo una lunga parentesi di ferma, sta proseguendo su questa falsariga e ne sono felice e orgoglioso. In agosto vi è stato un ottimo riscontro di partecipazione, stando seduto sulle panchine in pietra sotto gli archi notavo un effervescenza briosa che mi rendeva allegro. In questo sabato con vista panoramica sul Natale è previsto a grande richiesta il bis; e per chi non l’avesse mai fatto è l’occasione per rivedere i portici fiorire di vita, con il proliferare gioioso di stand e banchetti. Magari lunedì mattina, purtroppo, vi sarà il solito malinconico mortorio, ma intanto cominciamo a goderci il mercatino dell’Immacolata, gustando un buon vin brulé per scaldarci dal freddo pungente assieme ad amici e conoscenti. Tutti con Averara (forse) nel cuore e… nel cuore di Averara.