Sigonella: Craxi e l’Italia “forte”

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Fu una notte speciale, un evento che resterà per sempre nella storia italiana. Per una volta l’Italia disse no agli USA ed agli uomini della Delta Force. L’allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi fece rispettare la sovranità nazionale ai suoi alleati statunitensi. Come in un film, cinquanta carabinieri che circondarono un aereo egiziano e che a loro volta vennero circondati cinquanta militari della Delta Force. Poteva sembrare un episodio di Nikita invece era ed e’ stata storia reale. Sulla pista di una base Nato siciliana. Ora quella storia, ultimo atto del sequestro dell’Achille Lauro, diventa un libro, La notte di Sigonella, Mondadori, in libreria, a firma del protagonista numero uno di quelle giornate dell’autunno 1985: Bettino Craxi. Un volume particolarmente interessante, soprattutto perché dai documenti, alcuni inediti, e dalla corrispondenza, finalmente declassificata, a stelle e strisce, si capisce che, nel turbinio di quelle ore fra notizie contraddittorie e confuse, Craxi prese infine la strada giusta. Il governo italiano assicurò alla giustizia i quattro dirottatori dell’Achille Lauro, responsabili dell’atroce morte dell’ebreo americano Leon Klinghoffer, ucciso a sangue freddo e gettato in mare; l’Italia però non si piegò agli Usa che avevano organizzato un blitz a Sigonella per catturare e portare via Abu Abbas, il mediatore della vicenda, ritenuto dagli americani un complice dei terroristi. Craxi disse no e ora, dalle carte finalmente disponibili, s’intuisce che gli americani dovettero infine riconoscere, al di là del malumore, le ragioni italiane.

In una missiva del 24 ottobre 1985, l’ambasciatore a Roma Maxwell Rabb scrisse alla Segreteria di Stato: «L’esperienza dimostra che dobbiamo migliorare il nostro coordinamento, agire insieme piuttosto che unilateralmente».

«Secondo il nostro trattato di estradizione, se l’Italia processa per gli stessi fatti per i quali vorremmo processare, l’Italia ha il diritto di rigettare la nostra richiesta di estradizione. Non abbiamo alcuna giurisdizione sull’omicidio di Leon Klinghoffer».
Quell’altro di coraggio italico quel no detto e ripetuto, lacera la tela dei rapporti ma non la strappa. E semmai costringe gli Usa a riflettere.

Del resto gli americani in quelle ore trattano Roma come una colonia. La storia comincia alle 13.10 del 7 ottobre quando al largo di Port Said, in Egitto, viene dirottata la nave da crociera; i terroristi sono palestinesi. Arafat invia Abu Abbas e il 9 ottobre sembra delinearsi il lieto fine: la nave viene liberata. All’apparenza senza spargimento di sangue e invece non è così, in un susseguirsi di colpi di scena. Il primo: si scopre che un passeggero paralitico è stato scaraventato in mare. Il secondo arriva alle 23.50 del 10 ottobre; la Casa Bianca chiama il premier Bettino Craxi e annuncia: il Boeing dell’EgyptAir, con a bordo i dirottatori e Abu Abbas, è stato intercettato da quattro caccia F-14 e obbligato a dirigersi verso l’Italia. Di lì a pochi minuti tutti i velivoli saranno a Sigonella. L’America vuole tutto e subito: la consegna degli assassini e dei mediatori palestinesi che verranno immediatamente trasferiti negli Usa. Craxi però non si arrende e anzi delinea una sua linea ben precisa: i sequestratori hanno colpito una nave italiana in acque internazionali, dunque saranno processati a Roma e non negli Usa. Inoltre Abu Abbas è un mediatore e non un complice, anche se il commando è una scheggia impazzita della sua fazione. In quell’interminabile notte si rischia un conflitto a fuoco senza precedenti: i carabinieri sono intorno al Boeing egiziano, ma sono a loro volta nel mirino dei militari americani del generale Carl Steiner. Lunghi minuti di tensione. Poi, alle quattro del mattino, l’alto ufficiale si ritira e lascia il campo ai padroni di casa. E’ finito il primo round, la contesa va avanti.

In una intricata operazione di equilibrio, Craxi sposta il Boeing da Sigonella a Ciampino. E questo per due ragioni: per garantire ai membri dell’Olp a bordo la possibilità di consultarsi con l’ambasciata egiziana a Roma e poi per dare tempo agli americani che stanno cercando nuove prove contro Abu Abbas. Alle sei del mattino del 13 ottobre gli Stati Uniti recapitano la richiesta di arresto provvisorio. L’Italia però scandisce un altro no: le prove non ci sono. Abu Abbas è libero e abbandona l’Italia via Belgrado. Craxi affermo’: «Mi si chiedeva una cosa francamente impossibile e perciò non la feci, anche se mi costò una crisi di governo, subito poi rientrata. Il presidente americano mi scrisse una lettera che iniziava “caro Bettino” e mi invitava a New York». L’Italia disse no agli USA del presidente Ronald Reagan. La vicenda rientrò con successo quando Reagan scrisse una lettera a Craxi con il famoso incipit Dear Bettino nella quale invitava il Presidente del Consiglio a recarsi in viaggio negli Stati Uniti, viaggio annullato a causa di questa vicenda. Quando l’incontro ebbe effettivamente luogo, dopo quasi un mese, Craxi dichiarò a Reagan che «lui non avrebbe potuto fare diversamente da come aveva fatto». Sapeva che liberando Abu Abbas avrebbe dato un dispiacere a Reagan, ma non aveva assolutamente altra scelta nella situazione in cui si era venuto a trovare.

Le reazioni statunitensi erano state molto forti ed erano apparse ingiuste alla parte italiana. C’erano due punti che Craxi mise in rilievo. In primo luogo, l’Italia si era detta pronta ad intervenire a bordo dell’Achille Lauro. Era una nave italiana, sotto la responsabilità dello Stato italiano, che aveva accettato l’assistenza statunitense in caso di estrema necessità. In secondo luogo, il Governo italiano diede immediatamente l’autorizzazione per l’atterraggio dell’aereo americano a Sigonella (sebbene l’intercettazione non fosse stata una operazione ortodossa) non appena si ritenne che quella era il solo modo per assicurare alla giustizia italiana i quattro responsabili del dirottamento.

Nella conversazione telefonica avuta con Reagan, Craxi aveva assicurato al presidente statunitense che anche gli altri due palestinesi sarebbero stati trattenuti per investigazioni, nonostante il fatto che durante le prime ore del mattino la posizione di questi ultimi non fosse ancora nota. Si era poi scoperto che essi viaggiavano su un aereo ufficiale egiziano, come ospiti di Mubarak, sotto la protezione di dieci guardie armate. Dopo che il magistrato di Siracusa aveva completato i suoi accertamenti, e aveva dichiarato che per lui l’aereo e gli altri passeggeri, ad eccezione dei quattro dirottatori, potevano ripartire, era stato possibile con grande difficoltà convincere il comandante dell’aereo a trasferirsi da Sigonella a Roma. Nel frattempo da parte americana veniva richiesto l’arresto di Abbas: alle cinque del mattino di sabato l’ambasciatore Rabb aveva presentato la richiesta al Ministero di Grazia e Giustizia, accompagnata dalle relative prove. Tali prove venivano attentamente esaminate, ma trovate insufficienti. Alle dieci il Ministero aveva concluso che non c’era base sufficiente per arrestare Abbas.




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