Il Papa è atterrato all’aeroporto della città intorno alle 8.15
Bagnasco, dopo aver ringraziato il Papa, ha ribadito quanto la Chiesa sia attiva e vicina al mondo del lavoro genovese sin dal 1943, “tanto che pubbliche autorità conferirono al Cardinale Arcivescovo, Pietro Boetto, il titolo di Defensor Civitatis”. Ha parlato della crisi del mondo del lavoro e ricordato che la prima tappa di questo pellegrinaggio all’Ilva è “emblematica” di questo contesto.
“Il lavoro è una priorità umana e pertanto, è una priorità cristiana, una priorità nostra”. Lo ha scandito subito il Papa nel suo discorso sotto il gigantesco capannone dell’Ilva dove è stato allestito un piccolo palco. Si è detto commosso nel vedere il porto da cui partì migrante il padre.
La prima tappa del viaggio di Francesco è con 3500 lavoratori dell’Ilva assiepati dietro le transenne che hanno cercato un suo sguardo, tra gli applausi, gli hanno stretto le mani, confidato pensieri ed affidato messaggi. Ferdinando da imprenditore, Micaela come sindacalista, Sergio impegnato in un cammino di formazione promosso dai cappellani, e Vittoria come disoccupata, hanno confidato al Papa paure e difficoltà e chi hanno chiesto a nome di tutti chiarezza e vicinanza.
Il “Papa d’acciaio”, come lo chiamano qui, ha risposto – più volte interrotto dagli applausi – sapendo che ad ascoltarlo c’erano i 13mila lavoratori dell’intero gruppo Ilva, i 40mila dell’indotto e più in generale tutto il mondo del lavoro. Ha parlato dell’importanza della figura dell’imprenditore “fondamentale di ogni buona economia”.
“Non dimentichiamo che l’imprenditore dev’essere prima di tutto un lavoratore. “Nessun buon imprenditore – ha aggiunto – ama licenziare la sua gente”, perché “chi pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando la gente, non è un buon imprenditore: è un commerciante. Oggi vende la sua gente, domani … vende la dignità propria”. Centrale è poi “riconoscere le virtù dei lavoratori e delle lavoratrici”.
Ha parlato poi di un’economia “astratta”, senza “volti” che specula solamente, da “temere”, che è incapace di amare aziende e uomini, incapace di costruire. “A volte il sistema politico – ha proseguito – sembra incoraggiare chi specula sul lavoro e non chi investe e crede nel lavoro”. Francesco ha puntato il dito contro “regolamenti e leggi pensati per i disonesti” che “finiscono per penalizzare gli onesti”.
Ha ha citato il primo articolo della Costituzione, “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, e il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, per ribadire che la dignità è fondata nel lavoro e non nel mero guadagno. Ha lanciato quindi il monito a stare attenti agli speculatori e alle leggi che li favoriscono, perché “alla fine lasciano la gente senza lavoro”.
Ha condannato quello che ha definito il “ricatto sociale”, ovvero il lavoro fatto di orari massacranti, malpagati, il lavoro nero. “Lavorando – ha detto – noi diventiamo più persona”. Per il Papa gli “uomini e le donne si nutrono del lavoro: con il lavoro sono unti da dignità. Per questa ragione, attorno al lavoro si edifica l’intero Patto sociale”.
Ha invocato ancora una volta il “lavoro per tutti”, senza il quale ha affermato “non c’è dignità”, ha rifiutato la logica di uno Stato che manda in pensione senza preoccuparsi della sopravvivenza di chi ha faticato per una vita, poi ha guardato ai giovani ribadendo che “un assegno statale, mensile, che ti faccia portare avanti una famiglia non risolve il problema. Il problema va risolto con il lavoro per tutti”.
“L’impresa è prima di tutto cooperazione, mutua assistenza, reciprocità” – ha continuato – condannando le logiche competitive e i criteri cosiddetti “meritocratici” che strumentalizzando i doni di ognuno favoriscono una “legittimazione etica della diseguaglianza”. La meritocrazia per il Papa comporta un cambiamento della cultura della povertà, dove il povero è considerato “un demeritevole e quindi un colpevole”. E se la povertà è colpa del povero – ha affermato – i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa”.
Poi è tornato a condannare il traffico illegale di armi, la pornografia, i giochi di azzardo, ma anche tutti quei lavori che non lasciano tempo per vivere: “Gli schiavi non hanno tempo libero – ha detto – senza il tempo della festa, il lavoro torna lavoro schiavistico, anche se superpagato. Poi è tornato ha dire che “nelle famiglie in cui manca il lavoro del lunedì, non è mai pienamente domenica”.
Francesco ha anche messo in guardia dal “consumo” che è “idolo del nostro tempo”. Un consumo che promette anche attraverso i “grandi negozi, aperti 24 ore al giorno, la salvezza, la vita eterna”. Ricordando invece che il valore del lavoro che è frutto di fatica, non è finalizzato al mero consumo, ma è “il centro di ogni patto sociale” che regge anche la democrazia e non un mero “mezzo per poter consumare”