NOZZE D’ORO A REDIVO DI AVERARA

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NOZZE – Cinquant’anni e forse li sente tutti. La sagra della prelibata regina d’autunno compie mezzo secolo di vita nell’amato paese. I giorni si stanno accorciando rapidamente ed è il momento in cui, dato l’allungarsi delle ombre, si sale l’erta scala a pioli della malinconia, rischiando di ruzzolare al suolo doloranti; ma è anche il periodo durante il quale i ricci arrivano a maturazione, cadono e si aprono. Una meraviglia per gli occhi del montanaro. La sorpresa interna può essere più o meno copiosa, tutto dipende dal tempo meteorologico intercorso nelle stagioni e dalla zona di “produzione”. La castagna domina un bel pezzo del mese di ottobre, sprigionando, quando arrostita, aromi che invadono tutte le vie, sino ad arrivare sotto la quattrocentesca strada porticata. Le caldarroste mandano in estasi le narici e il palato, una prelibatezza unica, mi sembra alquanto ingiusto che per lungo tempo siano state denominate unicamente, con fare quasi dispregiativo, come il pane dei poveri. Questo è oro puro del creato, spesso riversato copioso sul suolo dei boschi di Averara. L’evento iniziò quasi per caso, merito dell’arguzia di un parroco (Don Lorenzo Grigis) che vide nell’abbondanza di castagni in loco un occasione propizia per racimolare qualche spicciolo utile a sistemare le varie chiese del paese. Dall’alto lo sguardo affabile della presunta Dogana veneta, o per meglio dire casa Bottagisi, ha visto passare sotto le sue finestre migliaia di persone, in un chiacchiericcio allegro, spassoso e sgranocchiante. Tra musica, cibarie, e fiumi di vino, l’atmosfera assumeva spesso un tocco di magia, e oramai questo ambiente averarese ha assunto in pieno i connotati della festa autunnale. La tecnica di cottura della castagna è abbastanza singolare e prevede una rapida bruciatura della pelle a fuoco alto (per evitare inopportune “esplosioni” del frutto), per lasciare poi spazio ad una cottura lenta a brace rovente. Si sa che le caldarroste non amano, per così dire…, la siccità, patiscono l’arsura, per cui è utile nel bel mezzo della preparazione dar loro da bere una spruzzata di buon vino rosso. Se gli addetti sono scaltri, e il raccolto annuale di ottima fattura, il risultato sarà alquanto succulento è croccante, da leccarsi i baffi. Questa è la peculiarità delle “barole” di Redivo, una consolidata tradizione locale che festeggia quest’anno in pompa magna le nozze d’oro. Decine i volontari che si sono alternati ai fornelli (ottimo anche il cibo ivi cucinato) e ai fuochi di cottura, ma i fratelli Egman hanno avuto sempre un ruolo preponderante, rocce su cui è stata edificata la sagra. Dotati di un forte spirito di intraprendenza, supportati in pieno dalle proprie famiglie, sono stati in grado di far scattare quel meraviglioso cameratismo che ha permesso di portare avanti l’evento per così tanto tempo da arrivare al mezzo secolo. Il tutto con un’umiltà spaventosa, spesso rimettendoci di tasca propria in alcuni frangenti; lucidi esempi di altruismo per il bene del paese. Sì, perché poi il ricavato andava sempre, immancabilmente, a Parrocchia o ad associazionismo locale. In tanti anni anche il clima è stato benevolo, pochissime le edizioni con pioggia, come se persino dall’alto questa iniziativa fosse assai gradita e gli angeli addetti all’irrigazione desistessero appositamente per alcuni giorni dal loro lavoro. Nell’ultimo decennio la festa si è ingrandita in maniera esorbitante, e ha raddoppiato le date, grazie alla nascita della associazione denominata Castanicoltori Averara Il fascino rimane però del tutto inalterato come agli albori; i villeggianti e gli oriundi hanno segnato con l’evidenziatore, da tempo, queste date sul calendario per fare repentino ritorno al paesello, riempiendo in tal modo tavoli e panchine sotto la struttura in legno. Una festa simile richiede il supporto di tutti i locali (e graditi aggregati) per dirsi ben riuscita. Non sempre è così: gelosie, egoismi, invidie e stupidi rancori personali fanno venir meno preziosa manodopera. Capita in tal modo, forse più spesso di un tempo, che ci siano delle defezioni inspiegabili, per puerilità che definirei senza remora (nessuno si offenda) infantili. I pionieri poc’anzi citati se ne guardavano bene dall’essere così inutilmente permalosi. Sapevano guardare ben oltre il fatuo orgoglio personale, alzando lo sguardo verso un orizzonte di maggior respiro. Certe luci non si spengono, ma illuminano più forte quando le tenebre avanzano. Forse dobbiamo riappropriarci di questo spirito se vogliamo realmente fare festa, per noi stessi e per gli altri. Personalmente darò il mio piccolo contributo anche stavolta, pur con la ruggine che comincia ad attecchire su neuroni celebrali e muscoli. Un filo di fiato lo risparmierò però per soffiare sulle candele di questa splendida fanciulla nata nel bel mezzo degli anni settanta. Se li porta bene o no questi cinquant’anni lo vedremo nei prossimi fine settimana. Intanto confetti d’oro per tutti e viva la regina d’autu




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