Per non dimenticare – Ustica tragedia incomprensibile

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E’ giusto non dimenticare mai uno degli scandali italiani storici più indecenti del dopoguerra. Ustica ed i suoi silenzi, Ustica ed il suo muro di gomma, Ustica ed una strage dalle troppe lacune, dai mille misteri…. La vera «bomba» della strage di Ustica sono le tracce radar di quattro aerei militari ancora formalmente «sconosciuti» – due/tre caccia e un Awacs – su cui la Nato, dopo una rogatoria avanzata un anno fa dalla Procura della Repubblica di Roma (con il sostegno operativo ma silenzioso dell’ufficio del consigliere giuridico del capo dello Stato), sta decidendo in questi giorni se apporre le bandierine d’identificazione. Tutti gli indizi portano allo stormo dell’Armée de l’air che nel 1980 operava dalla base corsa di Solenzara. Lo stesso contro cui puntò il dito pubblicamente (poi anche a verbale) Francesco Cossiga. Forse dopo aver saputo che i caccia francesi avevano lasciato le loro impronte su un tabulato del centro radar di Poggio Ballone (Grosseto), miracolosamente non risucchiato dal buco nero che dalla sera dell’esplosione del DC9 Itavia aveva ingoiato nastri, registri e persino la memoria di tanti testimoni. La questione non è più militare ma sostanzialmente politica. E non solo perché la risposta ai magistrati italiani deve prima ottenere il benestare dei 28 paesi membri dell’Alleanza, nessuno escluso. Il fatto è che, come in un surreale gioco dell’oca, dopo trentun anni gli attori tirati in ballo nella strage (Italia, Francia, Stati Uniti) si ritrovano insieme alla casella di partenza. Alleati in una guerra (stavolta dichiarata) a Gheddafi, vittima designata oggi come allora, e al solito con posizioni tutt’altro che sovrapponibili. In più l’identificazione certa dei caccia francesi non sarebbe cosa facile da digerire nei rapporti bilaterali, visto che Parigi ha sempre negato che il 27 giugno 1980 i suoi aerei fossero in volo nel cielo di Ustica e, persino contro l’evidenza delle prove raccolte dalla magistratura italiana, ha sostenuto che nella base di Solenzara le luci furono spente alle cinque e mezza del pomeriggio. Il 2 ottobre del 1997, il segretario generale della Nato Javier Solana graziò Parigi consegnando al nostro governo la relazione di sei pagine di un team di specialisti dell’Alleanza atlantica che aveva incrociato tutte le tracce radar sopravvissute al buco nero, identificando in una tabella dodici caccia in volo quella sera (americani e britannici) ma evitando di apporre la bandierina su una portaerei e quattro aerei la cui presenza nella zona e all’ora della strage non veniva comunque messa in discussione. Un lavoro ripetuto più e più volte con i sistemi informatici in dotazione alla Difesa aerea dell’Alleanza e definito dagli stessi specialisti Nato senza alcuna possibilità di errore. Però reticente su un unico punto, cruciale: l’identificazione dei caccia francesi. Ma il radar di Poggio Ballone (Grosseto), all’epoca uno tra i più efficienti, aveva visto che tre di quegli aerei provenivano da Solenzara e a Solenzara erano rientrati dopo l’esplosione del DC9 Itavia. E il quarto – un aereo radar Awacs – era rimasto in volo sopra l’isola d’Elba registrando tutto ciò che era accaduto nel raggio di centinaia di chilometri, quindi anche a Ustica. Sarà un caso che il registro della sala radar con cui si sarebbero potuti incrociare i dati del tabulato non fu trovato durante il sequestro ordinato dal giudice istruttore Rosario Priore e che l’Aeronautica lo consegnò cinque giorni dopo senza il foglio di servizio del 27 giugno 1980? Sarà un caso che Mario Dettori, uno dei controllori, dichiarò a moglie e cognata che si era arrivati «a un passo dalla guerra» e poi fu trovato impiccato a un albero? Sarà un caso che il capitano Maurizio Gari, responsabile del turno in sala radar e perfettamente in salute, sia morto stroncato da un infarto a soli 32 anni? Sarà un caso che i capitani Nutarelli e Naldini, morti anche loro nella disastrosa esibizione delle Frecce tricolori nel 1988 a Ramstein, con il loro TF 104 abbiano incrociato quella sera tra Siena e Firenze il DC9 sotto cui si nascondeva un aereo militare sconosciuto e siano rientrati alla base di Grosseto segnalando per tre volte e in due modi diversi l’allarme massimo come da manuale (codice 73)? C’è grande fibrillazione intorno a questa perizia della Nato su cui molti hanno cercato inutilmente di mettere le mani, in alcuni casi negandone addirittura l’esistenza. Ma il documento, un macigno sulle parole di chi ha sostenuto che il DC9 sia esploso per una bomba in un cielo deserto, ora è tornato a galla e ha consentito ai magistrati della Procura di Roma di preparare la partita finale di quest’indagine. Cinque rogatorie che potrebbero finalmente rendere giustizia alle 81 vittime di quella strage e di un segreto ancora inconfessabile. di Andrea Purgatori, Corriere della Sera del 26 giugno 2011

Alle 20:08 del 27 giugno 1980 il volo IH870 diretto da Bologna a Palermo parte, con due ore di ritardo, e si svolge regolarmente nei tempi e sulla rotta previsti fino all’ultimo contatto radio tra velivolo e controllore procedurale di Roma Controllo, che avviene alle 20:58. Alle 21:04, chiamato per l’autorizzazione di inizio discesa su Palermo, il volo IH870 non risponde. L’operatore di Roma reitera invano le chiamate; lo fa chiamare, sempre senza ottenere risposta, anche da due voli dell’Air Malta, KM153, che segue sulla stessa rotta, e KM758[2], dal radar militare di Marsala e dalla torre di controllo di Palermo. Passa senza notizie anche l’orario di arrivo a destinazione, previsto per le 21:13. Alle 21:25 il comando del Soccorso Aereo di Martina Franca assume la direzione delle operazioni di ricerca, allerta il 15º Stormo a Ciampino, sede degli elicotteri HH-3F del Soccorso Aereo. Alle 21:55 decolla il primo HH-3F e inizia a perlustrare l’area presunta dell’eventuale incidente. L’aereo è ormai disperso. Nella notte numerosi elicotteri, aerei e navi partecipano alle ricerche nella zona. Solo alle prime luci dell’alba viene individuata da un elicottero HH-3F del Soccorso Aereo alcune decine di miglia a nord di Ustica, una chiazza oleosa. Poco dopo raggiunge la zona un Breguet Atlantic dell’Aeronautica e vengono avvistati i primi relitti e i primi cadaveri. È la conferma che il velivolo è precipitato in quella zona del Tirreno dove la profondità supera i tremila metri.




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