Migranti – Alarm Phone ed il prete eritreo in contatto con gli scafisti

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Migranti – Nel continuo braccio di ferro tra governo italiano ed ong ci sono dei personaggi sui quali si sta cercando di fare chiarezza. Per adesso sono molte le ipotesi e alcuni i fatti, ma una cosa è certa, dietro il tragitto di migranti via mare si nasconde un mondo di illegalità e di furbetti che violeno le leggi tutto da scoperchiare.

In questi giorni si sta parlando molto di Don Zerai, il parroco eritreo soprannominato anche “don Barcone”, è fondatore dell’agenzia che gestisce il network telefonico Alarm Phone.

Zerai è al centro del circuito mediatico già nel 2013, anno della strage del 3 ottobre a Lampedusa. È lui a scendere in Sicilia dal Vaticano rilasciando numerose interviste, presenzia anche alle celebrazioni in suffragio delle vittime svoltesi al porticciolo di Agrigento. Una notorietà che gli vale anche la candidatura al nobel per la pace nel 2015. Da allora sono diversi i nominativi a lui affibbiati: si va da quelli positivi, in cui Zerai è “angelo dei migranti”, a quelli più negativi in cui il sacerdote viene dipinto come “don Barcone”.

Negli anni più bui dell’emergenza immigrazione, in tanti si chiedono come mai gli scafisti abbiano il suo numero e conoscano quelli dei centralini del suo network telefonico, Alarm Phone per l’appunto. Lui si difende affermando, su Agensir, che il suo numero in Libia è molto diffuso già nel 2003, quando si trova all’interno di alcune missioni nei campi profughi del paese africano: “Il mio numero da allora inizia ad essere scritto anche sui muri, nel 2011 viene anche enunciato da diverse emittenti”.

Ma su questa questione a voler vedere chiaro sono anche i magistrati di Trapani, che nel 2017 aprono un fascicolo contro don Zerai con l’accusa di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

Alarm Phone è un network della rete di volontari fondata dal sacerdote eritreo. Un network però non esente da sospetti e soprattutto da conclamate bufale, come quella del barcone in avaria del 20 gennaio scorso o come quella di pochi giorni fa, che parla di una bimba morta a bordo di un gommone a largo della Libia, con tanto di accuse al Governo italiano ed alla Guardia Costiera, circostanza poi smentita dalla nostra marina miliare accorsa sul posto.

Sul sito della stessa agenzia si fa riferimento alla missione dei volontari ed ai propri obiettivi. Su Agensir, un’agenzia di stampa cattolica, appaiono invece delle descrizioni più precise. In particolare, in un articolo del 12 agosto 2015, si afferma che Alarm Phone “è un network telefonico dell’agenzia Habeshia, la rete di volontari fondata nel 2006 dal sacerdote eritreo don Mussie Zerai”.

D’altronde senza dubbio delle partenze dalle coste del paese africano, si viene a conoscenza il più delle volte con i Tweet delle stesse organizzazioni non governative le quali a loro volta però danno spazio alle segnalazioni di Alarm Phone network telefonico i cui centralinisti ricevono chiamate direttamente dai barconi. Per questo spesso, nelle segnalazioni social, spuntano sia le foto dei natanti che le coordinate esatte della loro posizione.

I contatti tra Alarm Phone e le ONG vengono narrati con precisione da Fausto Bilolaslavo giornalista dal lavoro inappuntabile: in un episodio del 20 Gennaio scorso un episodio risalente allo scorso 20 gennaio si narra di  un tweet di Alarm Phone che segnala la presenza di un barcone non lontano dalla Libia che rischia di affondare. Scattato l’allarme, sul posto arriva un aereo della missione Sophia le cui foto dimostrano come in realtà il mezzo non sta imbarcando acqua. Gli stessi uomini della missione Sophia individuano un uomo in possesso di un telefono satellitare Thuraya. È lui alla guida del barcone ed è al contempo anche il principale sospettato di essere lo scafista del mezzo, tanto da essere segnalato alla polizia italiana. E non si tratta certo di un caso isolato!

Ecco quindi che emergono i sospetti di contatti diretti tra scafisti ed Alarm Phone e sulla sua opera.

Finalità umanitaria oppure politica?




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