Manifestazione degli islamisti a Jakarta contro Basuki Tjahaja Purnama, cristiano, accusato di blasfemi
Manifestazione degli islamisti a Jakarta. Nella capitale dell’Indonesia almeno duecentomila persone sono scese in piazza su appello dei gruppi musulmani conservatori per chiedere l’arresto del governatore della città, Basuki Tjahaja Purnama, cristiano, accusato di blasfemia.
Alla protesta ha partecipato anche il presidente Joko Widodo, un alleato del governatore, che ha chiesto ai manifestanti di disperdersi. Purnama è accusato di aver insultato l’islam con commenti blasfemi sul Corano durante la campagna elettorale.
E’accusato di di blasfemia per aver offeso il Corano nel tentativo di mettere a tacere i suoi detrattori. Si tratta della seconda protesta di questo tipo dopo quella del 4 novembre, che aveva portato nelle strade 100mila persone causando anche un morto in brevi disordini.
Come un mese fa, i manifestanti non vogliono che Ahok si ricandidi alle elezioni del prossimo anno. La colpa del governatore, che è cristiano, è quella di aver dato dei “bugiardi” ai suoi critici che utilizzavano un versetto del Corano a sostegno della loro tesi secondo cui i musulmani non dovrebbero essere governati da membri di altre religioni.
Il caso sta facendo riaffiorare le tensioni religiose nell’arcipelago di quasi 250 milioni di abitanti, e conosciuto per il suo Islam moderato, nonché per le sue minoranza cristiane e induiste.
Secondo i risultati di un sondaggio diffusi dalla Wahid Foundation, un’organizzazione impegnata nella promozione dell’armonia religiosa in Indonesia, dall’Indonesian Survey Insitute, circa 12 milioni di musulmani indonesiani – su una popolazione di circa 250 milioni di abitanti – hanno posizioni fondamentaliste. Di essi 2 milioni sono simpatizzanti del cosiddetto Stati Islamico. Una minoranza che tuttavia rischia di destabilizzare la tradizionale armonia religiosa del Paese sancita dalla Costituzione del 1945.
Il paese è tra quelli poco sicuri per le minoranze religiose. Le forze di sicurezza sono state accusate di violazioni dei diritti umani, compresol’uso eccessivo o non necessario della forza. Durante l’anno ci sonostati arresti arbitrari di manifestanti pacifici, soprattutto a Papua. Il governo ha imposto restrizioni agli eventi di commemorazione del 50° anniversario delle gravi violazioni dei diritti umani del 1965-1966. In tutto il paese le minoranze religiose hanno subìto molestie, intimidazioni e aggressioni. Ad Aceh è entrato in vigore a ottobre un nuovo codice penale islamico, che ha ampliato l’uso delle punizioni corporali, prevedendole anche in caso di rapporti sessuali consensuali. Ci sono state 14 esecuzioni.
Nonostante gli impegni assunti durante la campagna elettorale del 2014, il presidente Joko Widodo non ha affrontato le violazioni dei diritti umani commesse in passato. La libertà d’espressione è stata ulteriormente limitata ed è aumentato il
ricorso alla pena di morte per reati di droga.
Sono continuate le segnalazioni di violazioni dei diritti umani commesse da polizia ed esercito, tra cui uccisioni illegali, uso non necessario ed eccessivo della forza, tortura e altri trattamenti o pene crudeli, disumani o degradanti.
A marzo, i membri della brigata mobile di polizia (Police mobil brigade – Brimob)hanno attaccato i residenti nel villaggio di Morekau, nel distretto di Seram Bagian Barat della provincia delle Molucche, dopo che questi si erano lamentati perché l’ingresso nel villaggio degli agenti del Brimob aveva disturbato una cerimonia religiosa. Tredici persone sono rimaste gravemente ferite. Nonostante le promesse di un’indagine da parte del capo della polizia a livello regionale, nessuno è stato incriminato.
Ad agosto, militari fuori servizio hanno ucciso due persone dopo aver aperto il fuoco di fronte a una chiesa a Timika, nella provincia di Papua. Sempre a Timika, a settembre la polizia ha sparato a due studenti delle scuole superiori disarmati
durante un’“operazione di sicurezza”, uccidendone uno.
A ottobre, a Giacarta, la polizia provinciale ha fatto uso non necessario della forza contro i partecipanti a un raduno pacifico di lavoratori. La polizia ha arrestato e picchiato 23 manifestanti, oltre a due attivisti che facevano assistenza legale, i quali hanno riportato ferite a testa, viso e stomaco. La polizia ha accusato i manifestanti delle violenze. Tutti sono stati rilasciati dopo essere stati incriminati per minacce a funzionari pubblici e rifiuto di disperdersi.
A più di 10 anni dall’assassinio del noto difensore dei diritti umani Munir Said Thalib, le autorità non sono riuscite a portare davanti alla giustizia tutti i responsabili della sua morte.
A settembre ricorreva il 50° anniversario delle gravi violazioni dei diritti umani del 1965-1966. Organizzazioni per i diritti umani hanno documentato una serie di violazioni dei diritti umani nel contesto del tentato colpo di stato del 1965, tra cui uccisioni illegali, torture, compresi stupri, sparizioni forzate, schiavitù sessuale e altri reati di violenza sessuale, schiavitù, arresti e detenzioni arbitrari, sfollamento forzato e lavoro forzato. Si stima che in quel periodo furono uccise tra 500.000 e un milione di persone, mentre centinaia di migliaia furono detenute senza accusa né processo
per periodi che andavano da pochi giorni a più di 14 anni. Sebbene non esistessero impedimenti giuridici al godimento della piena cittadinanza per le vittime di questi crimini, la cultura dell’impunità ha continuato a proteggere i responsabili.
A maggio, il procuratore generale ha annunciato che il governo avrebbe istituito un meccanismo non giudiziario per risolvere la questione delle violazioni dei diritti umani del passato attraverso un “comitato di riconciliazione”. Gruppi per i diritti
umani lo hanno interpretato come un passo piccolo ma positivo dopo decenni di Asia e Pacifico.