L’Ucraina tra passato, presente e futuro

462

ucraina bandiera
La situazione dell’Ucraina è qualcosa di sempre più indecifrabile e per un semplice motivo: le notizie sono poche, la gente muore nell’indifferenza generale (in questi luoghi non vi sono giacimenti petroliferi o profughi da salvare ottenendo denaro contante) e quando i media decidono di parlarne ci raccontano storie “di parte”. E’ proprio così: chi vi scrive segue questa martoriata situazione dal principio del conflitto e si misura quotidianamente con false verità o tentativi, più o meno efficaci di portare l’acqua al proprio mulino. Papa Francesco ha ricevuto spesso richieste di aiuto da parte delle martoriate popolazioni colpite dalla guerra ed ha deciso di mandare un esponente della chiesa cattolica a vedere con i propri occhi quello che sta accadendo.
A Giugno infatti il cardinale Pietro Parolin si recherà in Ucraina per esprimere la solidarietà del Papa alla popolazione sofferente: ad annunciarlo, è stato lo stesso segretario di Stato, in visita in Estonia.
“Data la gravità della situazione attuale, io stesso mi recherò in Ucraina il mese prossimo, per esprimere la solidarietà del Santo Padre a coloro che soffrono. Ricordando la colletta per il Paese indetta dal Papa per lo scorso 24 aprile, il porporato ha sottolineato che “la Santa Sede è particolarmente preoccupata per la questione umanitaria in peggioramento, a causa del conflitto in corso” e dell’inflazione che ha lasciato “più di mezzo milione di persone” senza cibo, provocando “un milione e mezzo di sfollati. Drammatiche anche l’emergenza sanitaria e le condizioni dei bambini che non possono frequentare le scuole e sperimentano quotidianamente la violenza, rimanendone traumatizzati.
Di fronte a tutto questo – ha precisato il segretario di Stato Vaticano – la Chiesa cattolica, sebbene sia una minoranza in Ucraina, “sta rispondendo ai bisogni della popolazione”, mentre la Santa Sede sta preparando “interventi specifici a beneficio di tutti, senza discriminazioni religiose”. Al contempo, ha ribadito l’alto porporato, è importante rispettare il diritto internazionale ed umanitario, incoraggiando le parti in causa “ad intraprendere il dialogo per superare le difficoltà attuali ed alleviare le sofferenze della popolazione”.
Ma cerchiamo di fare chiarezza su un conflitto le cui verità sono nascoste ai più!
Due anni di scontri, intere città rase al suolo, una economia sull’orlo del suicidio, diverse migliaia di morti – soprattutto tra i civili – centinaia di migliaia tra profughi e sfollati.
Il conflitto armato in Ucraina orientale rappresenta il grande punto d’attrito tra l’imperialismo russo e quello occidentale: due giganti che si fronteggiano minacciosi, pronti a sacrificare sull’altare della geopolitica un intero Paese con i suoi abitanti.
Tutto ebbe inizio il 21 novembre 2013, quando il governo ucraino di Viktor Janukovyč decise di bloccare la firma di un accordo di cooperazione con l’Unione Europea. La sera stessa, migliaia di manifestanti invasero piazza Maidan, nel centro di Kiev, protestando contro il provvedimento e chiedendo una maggiore apertura verso occidente. Cortei e proteste andarono avanti fino alla fine di febbraio, sfociando spesso in scontri violenti con la polizia e causando diverse decine di morti.
Così puntuale giunse la temuta divisione: gli oblast’ occidentali supportano le ragioni della protesta, mentre i cittadini di cultura russofona tendono a schierarsi dalla parte del presidente Janukovyč, più affine alla linea moscovita. Il braccio di ferro si trascina per tre mesi, in un turbinio di ingerenze straniere, episodi poco limpidi e atti di violenza.
Il 22 febbraio 2014 Viktor Janukovyč fuggì all’estero, consegnando il potere in mano all’opposizione. Gli succederanno nell’ordine temporale Oleksandr Turčynov e Petro Porošenko, un imprenditore del comparto dolciario, convinto sostenitore dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato.
Le reazioni dei filorussi – appoggiati fattivamente dal Cremlino – non si fece attendere. Il 26 febbraio, quasi senza colpo ferire, gli “omini verdi” presero possesso della Crimea, che il 15 maggio in seguito a un referendum – venne annessa alla Russia.
Tra marzo e aprile, gravi disordini si registrarono anche nelle altre città dell’Ucraina orientale, e in particolar modo a Donetsk e Lugansk, nel bacino minerario del Donbass, dove iniziò a formarsi un movimento separatista anti-Maidan.
I palazzi amministrativi vennero presi d’assalto dalla folla. Tra fine aprile e metà maggio, sia Donetsk che Lugansk dichiararono la propria indipendenza dal governo di Kiev, istituendo una propria milizia, disarmando le locali unità dell’esercito e occupando le basi militari.
Il 2 maggio decine di manifestanti filorussi vennero massacrati presso la casa dei sindacati di Odessa, per mano delle milizie dell’estrema destra ucraina.
Ben presto le manifestazioni e gli scontri assunsero il carattere di una vera e propria guerra civile. A maggio le truppe di Kiev lanciarono una dura controffensiva, riconquistando, nel giro di qualche settimana, le città di Sloviansk, Krematorsk e Mariupol.
Il 17 luglio un aereo della Malaysian Airline venne distrutto in circostanze mai chiarite ( vi sono filmati tenuti segreti sull’abbattimento dell’aereo) sopra i cieli di Donetsk, provocando una ulteriore escalation di tensione e riaccendendo l’interesse dell’opinione pubblica internazionale, che tuttavia non riesce a porre fine al conflitto.
L’offensiva ucraina si arrestò improvvisamente sul finire dell’estate, quando un contingente di oltre mille soldati venne chiuso in una sacca presso il villaggio di Ilovaisk, a sudovest di Donetsk: l’operazione si concluse in un vero e proprio massacro, con centinaia di morti e altrettanti prigionieri.
A settembre, presso il President Hotel di Minsk, vennero siglati i primi protocolli di pace, che tuttavia non saranno mai rispettati da nessuno dei due contendenti. Con l’avanzare dell’autunno, il conflitto assunse i connotati di una vera e propria guerra di trincea, il cui epicentro è rappresentato dall’aeroporto di Donetsk, tra le cui macerie, per lunghi mesi, resisterà indomita una piccola squadra di soldati ucraini, i cosiddetti “cyborg”. Bisognerà aspettare il febbraio del 2015, con la conquista della città di Debaltsevo da parte delle truppe filorusse, perché gli ultimi “cyborg” si decidano ad alzare bandiera bianca. Da allora i combattimenti non sono mai cessati, nonostante la presenza degli osservatori Osce e gli appelli della comunità internazionale.
E la popolazione di cui ben poco si parla? Quale tragico destino sta affrontando in queste terre di guerra e violenza? Nei rifugi sotterranei del Donbass l’esistenza ha assunto una nuova dimensione: non esistono progetti di vita, si ragiona giorno per giorno, come nelle cliniche per malati terminali. A Petrovs’kyi distrikt ogni famiglia ha il suo mini-appartamento. Non esistono porte né muri divisori: ogni vano è delimitato da vecchie coperte stese sulle corde di iuta. I più fortunati hanno conservato un posto di lavoro, un’automobile e uno stipendio: durante il giorno possono guidare fino in città, fare la spesa, collegarsi a internet, visitare parenti e amici.
Donetsk è una città assediata: i prezzi dei generi di prima necessità sono sempre più alti; la valuta scarseggia, così come i bancomat funzionanti. Per ritirare cartamoneta bisogna spingersi verso sud, fino a Maiupol, nel territorio controllato dall’esercito ucraino.
In linea d’aria sono poco più di cento chilometri, ma tra andata e ritorno – considerando le file ai “block post”, le deviazioni e il traffico – può andar via un’intera giornata. Senza contare i rischi dei proiettili vaganti.
Juri, ricercatore di Fisica presso l’università di Donetsk, non ha dubbi: “Questa guerra ci sta rapidamente logorando – dice -. Resistere è sempre più difficile, specie per chi, come me, non ha intenzione di abbandonare il proprio lavoro. I miei ultimi stipendi si trovano in Ucraina: mi appartengono, ma non posso ritirarli. Viviamo in una terra di mezzo, senza diritti né garanzie. Il nostro governo non è riconosciuto da nessuno, neppure dalla Russia. A pochi chilometri dalle nostre case si continua a combattere. Quale futuro possiamo immaginare per i nostri figli?”
Drammatiche anche le testimonianze di chi la guerra la vive nei racconti di parenti ed amici: la vice-presidente dell’associazione “Russkoe pole”, Irina Marchenko: “Nonostante l’accordo di Minsk prevedesse la fine delle violenze e la stabilizzazione della pace nel territorio nulla di tutto questo è realmente avvenuto. Kiev sta rifiutando persino lo scambio dei prigionieri Persino il giorno della Festa della Vittoria (lo scorso 9 maggio), in molte città del Sud-Est dell’Ucraina si è sparato utilizzando anche armi pesante tipo mortaio in dotazione all’esercito ucraino.
Durante la giornata della Vittoria vi sono stati molteplici atti di terrorismo con tanto di utilizzo di esplosivo che fortunatamente non hanno causato vittime.
La guerra dunque continua e vi sono sempre vittime anche tra i civili seppur gli scontri siano diminuiti. Il governo ucraino continua ad ignorare il popolo del Sud-Est, considerandolo ‘subumano’ e congelando pensioni e stipendi guadagnati onestamente.
L’11 maggio e stata proclamata la Repubblica Popolare di Donetsk grazie ad un referendum popolare con un consenso del 75% della popolazione.
Festeggiamenti in strada e nelle piazze con la presenza di oltre 70 000 persone.
L’associazione “Russkoe pole” si occupa dall’inizio del conflitto nel Donbass organizzando manifestazioni, eventi con l’intento di far conoscere la verità sulla guerra agli italiani e constatiamo il silenzio della maggior parte dei media italiani.
Abbiamo inviato aiuti umanitari raccogliendo ed inviando denaro soprattutto agli orfanotrofi, ai tanti bambini che sono rimasti senza genitori. Il nostro auspicio è che la verità trionfi e che il buon senso prevalga e si metta fine a questo conflitto infinito e drammatico. E disumano e contro ogni logica dividere artificialmente un popolo unito da sempre”.
Interessanti anche le parole di Irina Osipova presidente dei RIM un’associazione di giovani italo-russi che vivono a Roma che dal 2011 organizzano diversi eventi culturali per conservare le radici russe e per far conoscere l’anima e la cultura russa agli italiani. Ho chiesto ad Irina se secondo lei Putin rimarrà male per questa visita di Parolin: “Assolutamente no, perché la popolazione sta soffrendo ed ha bisogno di solidarietà e di attenzione internazionale. La guerra in Ucraina si svolge nel Donbass. E’ lì che sono esplose le bombe e sono morti i civili, bambini, anziani e tanti cittadini. Sì, l’ovest ha mandato i soldati i quali anch’essi sono stati uccisi in guerra, ma il danno per i civili è stato fatto nel Donbass. Spero che gli inviati del Papa vadano a portare a loro la solidarietà. La guerra non ha colpito Leopoli e Kiev, ma Lugansk e Donetsk”.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *